Dubbi sulla certificazione dello stabilimento in continuità industriale nonostante fosse fermo da tempo e sulla rivalutazione del valore passato da 2 a 30 milioni poco prima che venisse ceduto
La settimana scorsa all'ex Gkn di Firenze sono ripartiti i licenziamenti, i 185 lavoratori rimasti in cassa integrazione a Campi Bisenzio saranno definitivamente licenziati dal 1° gennaio. A oltre due anni, quindi, da quando lo stabilimento è passato dal fondo d'investimento Melrose all'advisor del fondo stesso Francesco Borgomeo, che si era incaricato di trovare nuovi acquirenti per lo stabile, i dubbi di una speculazione si fanno sempre più forti. Anche perché di acquirenti dopo due anni lo stabilimento non li ha mai visti. Tant’è che ogni piano di vendita è stato disatteso e il piano di reindustrializzazione mai presentato.
«È la semplicità che è difficile da raccontare», dice Dario Salvetti del collettivo Gkn: «L’ipotesi è sempre la stessa: il fondo finanziario scappa invece che affrontare con lo stato e la comunità i danni determinati dalla delocalizzazione intestando tutto a un imprenditore terzo. Il quale afferma di non essere in grado di reindustrializzare lo stabilimento a causa dell’assemblea permanente dei lavoratori. Quando la premessa dell’assemblea permanente è proprio la mancanza di un piano di reindustrializzazione».
Ci sono una serie di passaggi poco chiari nella storia recente dello stabilimento da lasciare spazio all’idea di speculazione. Tra il 2020 e il 2021 poco prima della vendita dell’ex Gkn, il fondo Melrose si occupa di far rivalutare lo stabilimento. E approfittando di una legge in deroga contenuta nel decreto Agosto del 2020, fa lievitare il valore delle immobilizzazioni immateriali da 2 milioni a 30 milioni di euro, registrando un aumento di 27 milioni di euro sul valore complessivo dello stabilimento. La stortura è evidente: perché far valutare uno stabilimento fermo? Soprattutto tenendo in considerazione i motivi che possono essere alla base di una rivalutazione: offrire un'immagine più aggiornata dello stato patrimoniale e ammortare lo stesso per pagare meno tasse. Ma anche in questo caso: se lo stabilimento non produce, non deve pagare tasse e quindi cosa deve risparmiare? L'azienda ferma non la rivaluti, la rivaluti se c'è continuità.
E qui entra in gioco il fattore forse più preponderante: la continuità aziendale. In linea generale, stando all’ordine dei commercialisti di Roma la continuità è il presupposto in base al quale un'impresa viene considerata in grado di continuare a svolgere la propria attività, senza che vi sia né l’intenzione né la necessità di porla in liquidazione o di cessarne l'attività. In sostanza, si presume che un’impresa sia in grado di far fronte alle proprie obbligazioni ed impegni nel corso della normale attività. Nel 2021 quando la proprietà dello stabilimento passa a Borgomeo, i bilanci vengono redatti seguendo questo principio anche se lo stabilimento non era attivo, e nonostante il titolare non fosse pienamente in grado di far fronte agli impegni presi e alle obbligazioni. Come dimostra peraltro molto bene il sistematico ricorso alla cassa integrazione per pagare gli stipendi, e il mancato pagamento della liquidazione ai lavoratori.
La società che si è occupata della revisione e quindi della certificazione del bilancio in continuità aziendale è Ernst & Young. La quale attraverso la figura di un commercialista partner della società, sembra essere tra gli unici ad aver potuto visionare le motivazioni alla base della continuità produttiva dello stabilimento. Interpellata per un commento EY ha dichiarato che «tenuto conto degli obblighi di riservatezza richiesti al revisore, non può fornire informazioni ulteriori rispetto a quelle che sono disponibili dal bilancio pubblicato». Tuttavia l’obbligo di riservatezza per l’attività di revisore comprende delle eccezioni. Stando infatti all'art 5 del D.Lgs n 138/2005 l'unica attività che fa eccezione dal riserbo è appunto quella di revisione e certificazione, nonché le funzioni di sindaco o revisore di società od enti.
Il concetto di continuità – in termini di speculazione – risulta utile inoltre per capire le ragioni alla base della valutazione dello stabilimento avvenuta nel 2020. Perché nel caso in cui non fosse stata riconosciuta, il bilancio d’impresa sarebbe stato basato su tutt’altre considerazioni. Ad esempio, le immobilizzazioni, in ipotesi di continuità aziendale, sono valutate considerando la loro vita utile e la recuperabilità mediante l’uso; mentre, in ipotesi di liquidazione, viene preso a riferimento il loro valore di realizzo. In liquidazione infatti non si considera più la vita utile di un macchinario, ad esempio, ma il valore dei metalli che contengono. E in questo senso lo stabilimento sarebbe stato valutato non solo in maniera differente, ma una mancata certificazione della continuità non avrebbe neppure permesso di poter richiedere qualsiasi tipo di cassa integrazione.
Sorprendono quindi le parole del Ministro Urso, che la settimana scorsa a margine di un evento e interpellato sul tema ha dichiarato «ci vuole un piano che sia sostenibile nel tempo, perché ovviamente nell'utilizzare le risorse pubbliche dobbiamo essere molto attenti». Soprattutto tenendo in considerazione come il Mimit sulla base di questa continuità abbia preso delle decisioni ed erogato fondi. Sarebbe quindi interesse prima di tutto del Ministero capire se sull’ex Gkn si stia compiendo una speculazione, chiedendo le carte – a oggi non consultabili – che hanno garantito il valore di uno stabilimento che non funzionava come avrebbe dovuto.
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