- Potrebbe essere opportuno un ulteriore ampliamento, seppur graduale, dell’utilizzo del Green pass a condizione che ciò avvenga sempre mediante un’intervento normativo ad hoc, soprattutto per alcuni settori e categorie di lavoratori impegnati nello svolgimento di un’attività che comporta un contatto con il pubblico, e pertanto un maggior rischio di contagio e diffusione del virus.
- La proposta di una estensione dell’obbligo di Green pass nei luoghi di lavoro, può solo avvenire attraverso una norma di rango primario, nel rispetto della riserva di legge.
- Alla contrattazione collettiva e agli accordi tra le parti sociali e le istituzioni, invece, ben si addice il ruolo di fonti integrative che contengono regole chiare e dettagliate, nel rispetto delle fonti sovraordinate.
Il Governo Draghi ha esteso l’obbligo di Green pass nel nostro Paese. Infatti, se il decreto legge n. 105/2021 ha disposto che da questo 6 agosto sarà consentito esclusivamente ai soggetti muniti di una delle certificazioni verdi COVID-19 l'accesso a determinati servizi e attività (vedi ristoranti), il più recente decreto n. 111/2021 ne ha esteso l’obbligo, a partire dal 1° settembre 2021, per l’accesso dei cittadini ad alcuni mezzi di trasporto, nonché a tutto il personale scolastico e universitario ed agli studenti universitari. Si riaccende cosi il dibattito sociale e politico sulla vaccinazione anti Covid-19 per la generalità dei lavoratori e sulla possibile obbligatorietà del Green pass in tutti i luoghi di lavoro.
Vaccinazione indispensabile
Che la chiave di volta per battere la pandemia sia la vaccinazione di massa è una semplice convinzione alla quale si è arrivati già da tempo, anche se dopo percorsi lunghi e tortuosi nei quali si sono mescolate, di volta in volta, le questioni delle aperture-chiusure accanto a quelle sulla possibile obbligatorietà della somministrazione del vaccino anti COVID-19 alla comunità lavorativa. Evitando di riproporre pedissequamente le svariate e contrastanti posizioni emerse, basti dire che il terreno di
confronto è stato ampio e si è polarizzato principalmente sulla possibilità di configurare tale obbligo attraverso l’emanazione di una specifica disposizione di legge o se, invece, esso sia già ricavabile dalle disposizioni vigenti a tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (art. 2087 c.c., art. 20 d.lgs. n. 81/2008 e artt. 279, commi 1 e 2, e 42 del TU), nel pieno rispetto della riserva assoluta di legge prevista dall’art. 32 della Costituzione.
Obbligo per gli operatori sanitari
A placare il dibattito è stato l’auspicato intervento del legislatore che, con l’art. 4 del decreto legge n. 44/2021 (convertito con modifiche dalla legge n. 76/2021), ha introdotto l’obbligo di sottoporsi alla vaccinazione per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, farmacie, parafarmacie e studi professionali socio sanitari. Obbligo imposto fino alla completa attuazione del Piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da SARS CoV-2, e comunque non oltre il 31 dicembre 2021.
Quindi, dal quadro fino ad ora descritto, è assodato che in materia di obbligo vaccinale sussistono: un diritto all’autodeterminazione costituzionalmente tutelato; l'assenza di un obbligo legislativo di vaccinarsi per la generalità dei cittadini; la vigenza di un obbligo alla vaccinazione per i soli operatori socio sanitari. Inoltre, giova altresì evidenziare che, con riguardo più generale al contesto lavorativo, la normativa emergenziale vigente, nel prevedere specifiche misure volte a ridurre il rischio di contagio da Covid-19 in ambienti in cui si svolge anche un’attività lavorativa, non ha introdotto quella relativa al possesso di un certificato attestante l’avvenuta vaccinazione o il risultato negativo di un test per Covid-18 se non per il personale scolastico e universitario.
Un obbligo indiretto
Difatti, riconoscere ai datori di lavoro la possibilità di richiedere alla generalità dei lavoratori l'esibizione di una certificazione verde valida ai fini di regolare l'ingresso nei luoghi di lavoro o di svolgere delle mansioni lavorative, equivarrebbe a riconoscere un obbligo indiretto di sottoporsi a vaccinazione per gli stessi.
Del resto, il possesso di un attestato comprovante lo stato di avvenuta vaccinazione, la guarigione dall’infezione o l’effettuazione di un test molecolare o antigenico rapido con risultato negativo, non può essere una condizione necessaria per consentire l’accesso a luoghi, servizi o attività o per definire le modalità di svolgimento dell'attività lavorativa, a meno che ciò non sia previsto da una specifica disposizione di legge, come avvenuto da ultimo per il settore scolastico e universitario.
Infatti, come evidenziato anche dal Garante per la protezione dei dati personali, la competenza in merito all’introduzione di misure di limitazione dei diritti e delle libertà fondamentali che implichino il trattamento di dati personali, ricade nelle materie assoggettate alla riserva di legge statale.
È possibile
Inoltre il Garante, con provvedimenti di carattere generale e documenti di indirizzo, ha più volte chiarito che eventuali trattamenti di dati personali inerenti alla vaccinazione dei lavoratori sono allo stato consentiti, per il tramite del medico competente, nei limiti e alle condizioni previste dalle disposizioni vigenti in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro che ne costituiscono la base giuridica. Dunque, ad eccezione di quanto previsto dai decreti legge n. 44/2021 e n. 111/2021 sopra citati, che prevedono rispettivamente la vaccinazione quale requisito essenziale per l'esercizio delle professioni sanitarie e di interesse sanitario e l’obbligo di Green pass per il personale scolastico e universitario, il trattamento da parte del datore di lavoro di dati relativi allo stato vaccinale dei lavoratori non è previsto da alcuna disposizione di legge.
In tale prospettiva non è neppure condivisibile l'idea di interpretare estensivamente il dettato degli articoli 9-bis e 9-quater del decreto legge n. 52/2021 (convertito in l. n. 87/2021), assoggettando all’obbligo del possesso del Green pass chi deve espletare un’attività lavorativa, oltre che per gli avventori, in uno dei servizi/attività e mezzi di trasporto individuati dalle norme.
Tuttavia, per come sono scritti, gli articoli 9-bis e 9-quater restano di dubbia interpretazione nella parte in cui fanno riferimento “all’accesso” a servizi/attività e ai mezzi di trasporto, data la ambiguità della loro formulazione. Più utile sarebbe l'introduzione di una precisazione normativa che chiarisca l’utilizzo del Green pass per finalità diverse da quelle espressamente previste dal decreto definendone meglio l’ambito di applicazione soggettivo ed oggettivo.
Invece, in assenza di tale precisazione, ritenere che il Green pass sia una condizione necessaria per l’accesso di chi deve espletare un’attività lavorativa in uno dei servizi o attività di cui all’art. 9-bis o nei mezzi di trasporto di cui all’art. 9-quater, potrebbe ingenerare non poche criticità applicative, tra cui una disparità di trattamento rispetto a tutte le altre categorie di lavoratori che nulla hanno a che vedere con tali servizi e attività.
Inoltre, ciò implicherebbe anche indirettamente la conoscenza da parte del datore di lavoro di dati personali degli interessati, ponendosi in contrasto con le disposizioni del nostro ordinamento che vietano allo stesso di conoscere informazioni attinenti alla salute e alla sfera privata del lavoratore.
Di fronte ai dubbi interpretativi che nascono intorno alle disposizioni normative richiamate e che danno luogo alle problematiche applicative analizzate, è chiaro che l’intervento del legislatore sia sempre eletto a soluzione preferita e dirimente.
Personalmente, ritengo opportuno un ulteriore ampliamento, seppur graduale, dell’utilizzo del Green pass a condizione che ciò avvenga sempre mediante un’intervento normativo ad hoc, soprattutto per alcuni settori e categorie di lavoratori impegnati nello svolgimento di un’attività che comporta un contatto con il pubblico, e pertanto un maggior rischio di contagio e diffusione del virus.
Per cui la proposta di una estensione dell’obbligo di
Green pass nei luoghi di lavoro, può solo avvenire attraverso una norma di rango primario, nel rispetto della riserva di legge. Alla contrattazione collettiva e agli accordi tra le parti sociali e le istituzioni, invece, ben si addice il ruolo di fonti integrative che contengono regole chiare e dettagliate, nel rispetto delle fonti sovraordinate.
Altre categorie
In alternativa, può essere posta al vaglio del legislatore la possibilità di estendere l’obbligo vaccinale ad altre categorie di lavoratori. Soluzione fattivamente praticabile anche alla luce di precedenti interventi normativi (obbligo vaccinale anti tetano o contro la tubercolosi) introdotti dal legislatore per alcune categorie di lavoratori impegnati nello svolgimento di una determinata attività di lavoro. In assenza di obblighi puntuali in materia, resta fermo in ogni caso ed in tutti i contesti lavorativi l'obbligo di rispettare i protocolli anticontagio, tempo per tempo aggiornati, anche grazie al coinvolgimento delle rappresentanze sindacali.
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