In Italia, il dibattito sui giovani è spesso segnato da una comunicazione preoccupata. Il discorso pubblico enfatizza rischi e pericoli legati alla socializzazione giovanile, dando spazio a campagne allarmistiche su temi ricorrenti: droghe, incidenti del sabato sera, abuso di alcol (su cui si è soffermata, su questo giornale, Franca Beccaria).

Negli ultimi anni, questa retorica si è arricchita di nuove emergenze: ansia e stress tra i giovani, attribuiti tanto alla pandemia quanto alla dipendenza dai social media. Si è inoltre diffusa l’idea di una crescente indisponibilità dei giovani al lavoro e di una loro presunta apatia verso politica e società. Un esempio recente è l’indagine pubblicata dal Sole 24 Ore, che descrive i giovani tra i 16 e i 24 anni come depressi, isolati e in fuga dalla società.

La condizione giovanile viene così rappresentata come una fase critica e pericolosa, da sorvegliare con attenzione. Questo modello comunicativo non si limita a leggerla attraverso il disagio, ma spesso si traduce in stigma e rimprovero.

Da un lato, il disagio viene naturalizzato, attribuito all’età o alla pandemia. Dall’altro, si colpevolizzano i giovani per l’abuso di sostanze e tecnologia, la scarsa motivazione lavorativa, il disimpegno pubblico. Il frame dominante è quello dell’infantilizzazione, che riafferma la centralità del mondo adulto e giustifica il controllo sociale esercitato da famiglie e istituzioni.

Narrazione parziale e distorta

Questa narrazione è parziale e distorta. Se da un lato i dati mostrano un aumento del disagio psicologico, dall’altro i giovani stanno ridefinendo il loro rapporto con il mondo, esplorando nuove forme di partecipazione e consapevolezza. La sfida è superare la retorica della gioventù bruciata per restituire una rappresentazione più complessa delle nuove generazioni, che ne riconosca anche la capacità di innovazione.

Negli ultimi anni, l’Oms ha denunciato un incremento dei disturbi d’ansia e depressione legati al Covid, con un impatto particolarmente forte tra i giovani. Tuttavia, anziché concentrarsi solo sugli effetti della pandemia, occorre considerare quanto evidenziato nel World Mental Health Report (2022, pag. 26): i disturbi psicologici, l’abuso di sostanze e il tasso di suicidio aumentano dopo crisi economiche e in paesi con forti disuguaglianze di reddito e polarizzazione sociale.

Non vi è dubbio che l’incertezza riguardo al futuro segni in modo distintivo l’esperienza delle ultime generazioni, specialmente in Italia. Oltre al declino economico e alla precarietà lavorativa, fattori come il cambiamento climatico, l’instabilità internazionale e le guerre alimentano un senso diffuso di insicurezza. Non a caso, si parla sempre più spesso di una generazione della policrisi (La giovane Italia, Il Mulino, 4/2023).

Tuttavia, questa generazione non appare affatto passiva o arrendevole. Le mobilitazioni dell’ultimo anno – per la Palestina, il clima, la parità di genere – dimostrano che i giovani italiani non si stanno ritirando dalla società, ma stanno ridefinendo le modalità di partecipazione. L’impegno si sta spostando dalle forme tradizionali (partiti, sindacati) verso modalità più fluide e orizzontali.

Nuove forme di impegno

Un rapporto Eurobarometro (aprile 2024) indica che circa un giovane europeo su due (48 per cento) ha intrapreso azioni per cambiare la società. Tra le aree di maggiore impegno, il 34 per cento si è attivato per i diritti umani, il 33 per cento per il clima e l’ambiente. Inoltre, due giovani su tre hanno partecipato alle attività di una o più organizzazioni e tre su quattro hanno modificato il proprio stile di vita per ridurre l’impatto ambientale. In tutti questi ambiti, le percentuali dei giovani italiani risultano superiori alla media europea.

Piuttosto che vedere i giovani solo attraverso il prisma del disagio, dovremmo considerare le nuove forme di impegno sociale, la creatività e resilienza nel mondo del lavoro e la crescente attenzione al bilanciamento tra vita professionale e privata. Ridurli a una generazione ansiosa e in crisi significa ignorarne la capacità di reazione e trasformazione. L’aumento dei problemi di salute mentale è una realtà, ma è accompagnato da una maggiore consapevolezza e capacità di gestione del proprio benessere.

Le nuove generazioni non sono né apatiche né rassegnate: stanno riscrivendo le regole dell’impegno sociale e del lavoro. La ricerca e la comunicazione pubblica dovrebbero contribuire a una narrazione più equilibrata, evitando stereotipi che li dipingono solo come vittime alienate, valorizzando invece le strategie innovative con cui affrontano le sfide del presente.

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