Nel giorno dell’udienza preliminare al tribunale di Palermo, in cui i giudici siciliani decideranno se aprire il dibattimento nei confronti dell’ex ministro degli Interni accusato di sequestro di persona e abuso d’atti d’ufficio, le migliaia di pagine depositate agli atti che Domani ha letto raccontano le drammatiche condizioni sanitarie dei migranti a bordo della nave di Open Arms, mentre i verbali dei funzionari interrogati rivelano la catena di comando del Viminale, inchiodando il leader della Lega alle sue responsabilità politiche, prima ancora che giudiziarie
- Il 2 ottobre 2019 l’attuale Prefetto di Roma, Matteo Piantedosi, viene sentito per due ore dai magistrati siciliani negli uffici romani dello Sco – allora diretti da Alfredo Fabbrocini – e rivela la catena di comando che presiede agli eventi che si snodano tra l’1 e il 20 agosto 2019, quando a 164 migranti salvati dalla nave spagnola Open Arms viene impedito l’ingresso nelle acque italiane.
- Dopo l’interrogatorio, il procuratore capo di Palermo, Francesco Lo Voi, chiede, in un primo momento al Tribunale per i reati ministeriali del capoluogo siciliano, di procedere ad indagini nei confronti di Salvini e di Piantedosi, capo di gabinetto del ministero degli Interni, ipotizzando a loro carico i reati di «plurimo sequestro di persona aggravato e rifiuto di atti di ufficio».
- I medici di Emergency avevano consigliato già il 13 agosto l’immediato sbarco, per donne e uomini, un terzo dei quali minori, che avevano già subito in Libia, Egitto, Eritrea, «abusi, violenze fisiche, torture a scopo estorsivo» e che nei giorni di agosto del 2019, invece, in mezzo al mare sentivano «ansia, profonda angoscia, terrore».
«Chi è l’autorità in Italia che a una richiesta di Pos (Place of safety, porto sicuro ndr) da parte di una imbarcazione che ha salvato dei naufraghi, che può essere una imbarcazione civile, un’imbarcazione militare, una organizzazione non governativa (ong), ha il potere di rilasciare il Pos?».
È il 2 ottobre del 2019 e negli uffici del servizio centrale operativo (Sco) della polizia, a Roma, i pubblici ministeri Cecilia Baravelli, Luigi Patronaggio e Salvatore Vella, interrogano l’attuale prefetto di Roma, Matteo Piantedosi, che fino a qualche mese prima rivestiva l’incarico di capo di gabinetto del ministero degli Interni guidato dal leader della Lega, Matteo Salvini.
Alla domanda specifica di Vella Piantedosi ha risposto che ad autorizzare e indicare il “porto sicuro” e quindi l’esigenza di soccorso è «la capitaneria di porto, perché autorità nazionale di salvataggio e soccorso». E poi ha aggiunto: «Sono le capitanerie di porto che devono fare le valutazioni che riguardano il soccorso delle persone, nell’architettura normativa sono loro, questo lo potete verificare».
Apparenti contraddizioni
I magistrati incalzano il prefetto: «Abbiamo fatto la stessa domanda, ieri, al suo vicario, Emanuela Garroni, che mi sembra abbia dato una risposta diversa. A pagina 3 del suo verbale, dice che ad agosto del 2019 la competenza per il rilascio del Pos alla nave Open Arms era del ministero dell’Interno».
Il prefetto Matteo Piantedosi è stato sentito per due ore e nel corso dell’interrogatorio ha rivelato la catena di comando che ha gestito gli eventi che si sono svolti tra l’uno e il venti agosto del 2019, quando a 164 migranti salvati dalla nave spagnola Open Arms è stato impedito l’ingresso nelle acque italiane. Situazione che è stata sbloccata solo quando il procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, dopo un’ispezione a bordo della nave bloccata fuori dal porto di Lampedusa, ne ha disposto il «sequestro preventivo d’urgenza, l’attracco e l’evacuazione immediata dei migranti a bordo», ravvisando una situazione di emergenza all’interno dell’imbarcazione.
Sono i venti giorni di Open Arms quelli che il prefetto Piantedosi racconta ai magistrati. Rivelando: «È chiaro che un evento di sbarco può porre una serie di problemi perché va anche valutata l’esigenza di soccorso delle persone, anche se mettiamo arrivano dei terroristi o comunque delle persone che fanno un ingresso clandestino sul territorio. Sono queste due funzioni che integrano l’esigenza di amministrazione diverse». E sostanzialmente confermando ai magistrati la linea politica tenuta dal suo superiore, l’allora comandante in capo del Viminale, Matteo Salvini.
Perché tutti in Italia?
«Il tema non è il salvataggio, ma perché devono venire tutti in Italia?», dice Piantedosi. «Ma voi avevate contezza dei soggetti che c’erano a bordo di Open Arms, in relazione a quelli che potevano avere diritto all’asilo? E mi riferisco ai minori, donne stuprate, soggetti provenienti da guerre civili, voi avete contezza della composizione dei migranti?», chiede Patronaggio.
L’attuale prefetto di Roma risponde: «No, ci viene rappresentata a un certo punto la consistenza di 28 minorenni, per i quali non eravamo tenuti, come dire, all’assistenza dei minori, al fatto che pure questi dovessero sbarcare, perché c’è sempre il tema della responsabilità dello stato di bandiera. Perché mettono piede per la prima volta in territorio europeo quando salgono sulla Open Arms che è territorio spagnolo, arrivano in acque nazionali italiane dopo».
Lo sviluppo delle indagini
A seguito di quell’interrogatorio, il procuratore capo di Palermo, Francesco Lo Voi, il 27 novembre del 2019, chiede al tribunale per i reati ministeriali del capoluogo siciliano, di procedere a indagini nei confronti del senatore Matteo Salvini e del prefetto, Matteo Piantedosi, capo di gabinetto del ministero degli Interni, ipotizzando a loro carico i reati di «plurimo sequestro di persona aggravato, e rifiuto di atti di ufficio».
In particolare, i giudici palermitani hanno ipotizzato che il ministro degli Interni, nella veste di pubblico ufficiale, «abbia abusato delle funzioni amministrative attribuitegli nell’iter procedurale per la determinazione del place of safety, omettendo di indicarlo e vietando in tal modo lo sbarco dei migranti pervenuti in prossimità delle coste italiane a bordo della nave Open Arms».
Quando però la richiesta di rinvio a giudizio viene trasmessa al Senato, è il 31 gennaio del 2020, lo stesso procuratore capo di Palermo Lo Voi precisa negli atti che «la posizione del prefetto Matteo Piantedosi, originariamente iscritto nel registro notizie di reato per concorso nei reati attribuiti al senatore Salvini, è stata oggetto di archiviazione».
Non vale lo stesso per Salvini, per lui persiste l’accusa di aver «privato della libertà personale 107 migranti di varie nazionalità giunti in prossimità delle coste di Lampedusa tra il 14 e il 15 agosto del 2019», «abusando dei suoi poteri» e violando così le numerose convenzioni internazionali in materia di soccorso in mare e diritti umani.
Accuse che saranno contestate in aula a Palermo il 9 gennaio, durante l’udienza preliminare in cui il leader della Lega è imputato.
I verbali dei funzionari
Piantedosi non è stato l’unico chiamato a testimoniare. Gli interrogatori degli alti funzionari del Viminale che daranno poi lo sviluppo alle indagini sono diversi. L’uno di ottobre del 2019 è toccato alla numero tre del ministro dell’Interno, la vicecapo di gabinetto, Emanuela Garroni. Sentita dai pm ha raccontato: «Il problema del rilascio del Pos competeva al ministro Salvini, in quanto autorità di pubblica sicurezza. Il rilascio del Pos è un atto amministrativo, che tuttavia ha assunto una forte valenza di carattere politico. Il fondamento del mancato rilascio del Pos alle ong dal marzo del 2018 era legato a una diffida all’ingresso in acque nazionali firmata dal ministro per motivi di sicurezza nazionale».
Garroni poi dice: «Avevamo avuto notizia che insieme agli immigrati che arrivavano via mare, vi potessero essere dei soggetti pericolosi per la sicurezza pubblica, in particolare, si faceva riferimento a un cittadino tunisino, Anis Amri, che era stato ucciso a Milano, dopo un attentato compiuto a Berlino, e che aveva fatto ingresso in Italia, attraverso la frontiera di Lampedusa». E poi precisa: «Però in ogni singolo episodio non veniva formalizzata alcuna istruttoria per accertare nello specifico se i migranti soccorsi dalla singola nave ong costituissero un concreto pericolo per la sicurezza pubblica. Il fondamento era l’analisi generale del fenomeno dell’immigrazione clandestina».
La funzionaria del Viminale conferma di «aver ricevuto la segnalazione del tribunale dei minorenni di Palermo sulla presenza di minori a bordo, già l’8 agosto, a cui il ministro ha risposto con una missiva soltanto sette giorni dopo». E anche sulla conoscenza da parte dello stesso Salvini della situazione sanitaria sulla Open Arms, Garroni conferma ai magistrati: «Ritengo di sì».
L’allarme sanitario
La situazione sanitaria, intanto, era drammatica ed è descritta nella relazione fatta a bordo della nave dai medici di Emergency, datata 13 agosto, e finita anche essa agli atti del procedimento che si sta celebrando a Palermo. E in cui si legge. «Dall’analisi fatta delle condizioni psicologiche dei migranti e alla luce della sintomatologia mostrata da molti di loro, si può concludere che la situazione si presenta altamente critica e richiede un intervento tempestivo. I fattori di rischio già descritti e i disagi ai quali sono attualmente esposti, stanno per strutturare nei migranti disturbi mentali acuti per cui si necessita una immediata evacuazione dell’intero gruppo», scrive nella consulenza lo psicologo Alessandro Di Benedetto: «Un numero elevato di persone ascoltate presenta alterazioni nella percezione di sé, determinate da ripetute esperienze traumatiche, carcere, tortura, violenze, abusi, naufragio. Per alcuni pazienti, l’esperienza acuta di frustrazione e dolore ha fatto emergere idee suicidarie». E ancora: «Per ciò che concerne la sintomatologia corporea, si è riscontrato un alto livello di somatizzazione, la presenza di sintomi cronici a livello somatico, dolori addominali, nausea, mal di testa, vomito».
Fateli scendere
Perciò i medici di Emergency avevano consigliato l’immediato sbarco, per donne e uomini, un terzo dei quali minori, che avevano già subito in Libia, Egitto, Eritrea, «abusi, violenze fisiche, torture a scopo estorsivo» e che nei giorni di agosto del 2019, invece, in mezzo al mare a poche miglia dall’Europa, sentivano «ansia, profonda angoscia, terrore».
A partire dalla notte tra l’1 e il 2 agosto, in tre differenti operazioni di salvataggio, l’equipaggio della ong spagnola aveva recuperato 164 persone, tra cui 33 minori, i quali rimanevano al largo delle coste dell’isola di Lampedusa, «sequestrati in mare». La situazione era estremamente drammatica e alcuni migranti avevano tentato persino più volte di tuffarsi in acqua per raggiungere la costa a nuoto. E per quei fatti, ora, descritti in migliaia di pagine di atti giudiziari, tra carteggi riservati, verbali, testimonianze l’ex ministro Matteo Salvini è imputato. La sua difesa segue la linea del pragmatismo: le decisioni sono state prese per salvare l’Italia dall’invasione, una precisa strategia politica. Volete processare le idee?, questo il senso della sua tesi.
Salvini però dimentica che su quella nave non c’erano terroristi, ma persone in fuga da guerra, fame, miseria. Persone che soffriva per le torture subite in quello che l’ex ministro considera un porto sicuro: la Libia.
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