Le lentezze della politica, la burocrazia ottusa, la carenza di mezzi: così nascono gli incendi. Dietro le fiamme, anche storie di lavoro precario tra i forestali che guadagnano a chiamata
Giugno: prefettura di Trapani, riunione con i sindaci per parlare di prevenzione degli incendi. Non si vorranno mica ripetere gli errori degli anni passati, no. Solo nel 2022, cinquantaseimila ettari bruciati, con danni per 22 milioni. Meglio organizzarsi. Terreni da pulire, vedette, controlli a cavallo, campagne di informazione. In particolare c’è un progetto, “Occhio virtuale”: telecamere e droni per i boschi. Una buona idea, no? Si alza il rappresentante dell’associazione dei cacciatori. L’idea è ottima, anche per loro. C’è un problema: la privacy. «Il sistema di sorveglianza - spiega - lede la privacy di noi cacciatori, e degli agricoltori». È un punto da approfondire, concorda qualche sindaco. Si vedrà il da farsi. Riunione finita.
Qualche giorno dopo: primo caldo, primi incendi. Quasi un test. Nella nuova giunta del presidente della Regione, Schifani, ad avere la delega a territorio e ambiente è Elena Pagano. È la moglie dell’avvocato Ruggero Razza, ex assessore alla sanità, attualmente indagato, con interdizione dalla professione. Pagano era stata eletta deputata all’Ars con i Cinque Stelle, poi scoppia tra i banchi l’amore con Razza, lei lascia i Cinque Stelle per Fratelli d’Italia. Candidata alle Regionali nel suo collegio, perde. Consolazione: diventa assessora.
Di fronte ai primi incendi, rassicura tutti: «Abbiamo aggiornato le procedure operative di contrasto agli incendi e ciò sta consentendo interventi più rapidi ed efficaci». Il 25 luglio la Sicilia è devastata. Palermo assediata dalle fiamme. A fuoco parchi archeologici e riserve naturali. Città senza luce e senza acqua. Aeroporti chiusi. Ospedali evacuati. Turisti salvati via mare. E la domanda che si fanno tutti, nell’ennesimo day after della conta dei danni, dello “stato di emergenza”, delle “misure urgenti”: perché? Cosa c’è dietro?
I Vigili sono a un corso
È tutto un complesso di cose. Un territorio fragile. Una politica incapace. Una burocrazia complice. E tanti criminali. L’ultimo paradosso riguarda i concorsi. La Sicilia brucia, e al corpo dei Vigili del Fuoco nell’isola, già in carenza di organico, mancano in questi giorni caldissimi 130 unità.
Dove sono? A fare un corso di formazione, di cinque settimane, per diventare capo squadra. Il corso è organizzato dal ministero dell’Interno, proprio nel periodo in cui servirebbe la massima presenza dei vigili sul campo. Ma non è una coincidenza.
La stessa scena si era vista l’anno scorso: 70 operatori via, a lasciare sguarnite le caserme. Poi non c’è la manutenzione dei boschi e delle aree a verde. Anche quest’anno è partita con grande ritardo, a maggio. Ed è ancora in corso. La manutenzione dei viali parafuoco finirà a settembre, quando la stagione degli incendi sarà terminata.
È anche così che si arrivano ai numeri di queste ore: tre vittime, quattro feriti, quattrocento incendi in un giorno e mezzo, cinquemila sfollati. Nel bilancio della regione siciliana c’è stato addirittura un extra budget per i siti archeologici e culturali: 2,2 milioni di euro. Finanziamento deciso però solo il 19 maggio. Ecco perché poi le fiamme intaccano i templi e le aree archeologiche. E poi ci sono i criminali. L’autocombustione, dicono gli esperti, non esiste. Dietro c’è sempre la mano dell’uomo.
Chi appicca il fuoco
Per le procure che in Sicilia sono riuscite a venire a capo di qualche incendio, ci sono motivazioni diverse dietro chi dà fuoco. Una conduce a una piccola parte dei forestali, che appiccano il fuoco per garantirsi la chiamata. Sono quasi tutti nel bacino dei precari per 78, 101 o 151 giornate l’anno, con uno stipendio di 1.200 euro. La loro età media è di 55 anni.
Poi ci sono i pastori che si contendono i pascoli. Poi, ancora, chi ha fretta di rendere un terreno edificabile. Le fiamme, insomma, sono una specie di sanatoria. Per il resto, un dato va tenuto in considerazione. Gli incendi si ripetono sempre con le stesse modalità: coincidenza assoluta con le condizioni meteo idonee, contemporaneità in località diverse, partenza del fuoco all’inizio delle ore serali (non ci sono i soldi per garantire il servizio di controllo notturno), punti multipli degli inneschi e scelta dei luoghi con “professionalità” da conoscitori, in punti impervi.
La Regione continua nella via del precariato (che è sempre un bacino clientelare che funziona, in termini di consenso) e contrattualizza ogni anno 20mila operai forestali. Secondo la Corte dei Conti incidono nel bilancio per 60 milioni di euro.
La Sicilia ha il paradosso di essere tra le ultime regioni italiane per copertura di foreste (secondo l’inventario nazionale sono 381.647 gli ettari boscati) ma ha il più alto numero di persone dedicato alla gestione e alla sorveglianza. Nonostante questo, nell'ultimo decennio è stata fra le prime regioni d’Italia per superfici coperte dal fuoco. Una prima cosa da fare, oltre alla programmazione degli interventi di prevenzione, sarebbe formare i precari, stabilizzarli.
La carenza di mezzi
Sono cose che il ministro della Protezione Civile, Nello Musumeci dovrebbe conoscere bene. Era lui il presidente della Regione, fino a pochi mesi fa. Per non parlare dei mezzi: vecchi, mal tenuti. Il 25 luglio ben sei Canadair sono andati in avaria nel pomeriggio, lasciando la Sicilia senza assistenza.
Così come molte torrette di avvistamento sono sguarnite o non sono più funzionanti, e alcuni mezzi hanno più di trenta anni di servizio. Un dossier è stato presentato due anni fa dal comitato “Salviamo i boschi”, un gruppo di cittadini che ha fatto verifiche sul campo, consultato banche dati e atti, per consegnare una risposta meticolosa alla domanda: «Perché ogni anno ci sono tutti questi incendi in Sicilia?».
Il loro lavoro è rimasto lettera morta. Noti i problemi, note le soluzioni, cambiano i governi, si riuniscono i tavoli tecnici, ma ogni estate la Sicilia sembra una scatola di fiammiferi pronta ad accendersi.
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