Plusvalenza. Questo è diventato oggi il Manchester United per la famiglia Glazer proprietaria del club da vent’anni, avendo iniziato nel 2003 la scalata alle quote del club. Scalata conclusa nel 2005 per una cifra intorno ai 790 milioni di sterline, di cui i già proprietari dei Tampa Bay Buccaneers, franchigia della NFL, ne hanno versati 270 e il resto con un’operazione di leveraged buyout – operazione di finanza che consiste nell’acquisire una società con denaro preso a prestito dalle banche – molto criticata dai tifosi perché quei prestiti sono stati fatti poi ricadere sulle casse del club. Da quella rivolta nacque per contrapposizione l’FC United of Manchester.

Attualmente la società è valutata tra i 5 e i 6 milioni di sterline ed è da più di un anno (novembre 2022) che la proprietà statunitense ha dichiarato di volerla vendere, con accordi mancati e tira e molla che hanno stancato il banchiere qatariota Sheik Jassim bin Hamad Al Thani, il quale si è ritirato dal processo di acquisizione, processo nel quale, invece, è rimasto dentro Sir Jim Ratcliffe, proprietario dell’azienda chimica Ineos che nel suo portafoglio sportivo ha Ineos Britannia, team velico che punta a vincere l’America’s Cup del prossimo anno, il Team Sky, ciclismo, rilevato nel 2019, e il 33% della squadra di Formula Uno Mercedes, oltre alle squadre di calcio del Nizza e del Losanna.

L’ipotesi Ratcliffe

Ratcliffe, secondo i media britannici, acquisterebbe il 25 per cento delle quote del Manchester United per 1,3 miliardi di sterline e in questi giorni il cda del club dovrebbe riunirsi per valutare l’offerta. Un investimento che, secondo gli accordi, dovrebbe garantire al nuovo azionista di minoranza di avere il controllo totale della gestione sportiva, ed economica, della squadra, con tutte le responsabilità del caso: «In che modo un azionista di minoranza può avere un impatto positivo sul club?» si chiede, però, l’ex capitano dello United Gary Neville, che ha sempre auspicato l’uscita della famiglia Glazer dalla società.

Il Manchester United Supporters Trust in una nota è stato altrettanto diretto: «Ciò che i tifosi dovrebbero aspettarsi adesso è chiarezza e la fine di questo processo. Ci aspettiamo nuovi investimenti nel club e speriamo che questa operazione non riguardi solamente gli interessi degli azionisti, siano essi vecchi o nuovi». Una cosa è chiara, la famiglia Glazer vuole andare all’incasso con una plusvalenza, rispetto all’investimento iniziale, che a memoria non ha eguali nel mondo dello sport, soprattutto del calcio.

L’amore tra Manchester e gli americani non è mai sbocciato, nonostante i risultati sportivi, diciamo che questi hanno fatto lo stesso effetto della cenere che copre il fuoco, fuoco che negli ultimi tempi non riesce più a trattenere, lì dove il Theatre of Dreams si è trasformato, soprattutto negli ultimi tempi, nel Theater of Fears. L’albo d’oro a stelle e strisce recita: 5 campionati, l’ultimo nel 2013, 2 FA Cup, l’ultima nel 2016, 5 coppe di Lega, una Champions (2008), un’Europa League (2017) e un Mondiale per Club. Ma alla fine non è tanto e solo questo a rendere nervosi i tifosi, perché dopo l’epopea di Alex Ferguson, che ha riportato sportivamente il Manchester sul tetto d’Europa ed economicamente su quello mondiale, facendo dello United la società modello per tutte le grandi del Vecchio Continente, qualcosa si è rotto e, nonostante gli incassi sempre elevati – come testimonia la Football Money League redatta ogni anno da Deloitte –, il club ha smesso di essere un punto di riferimento, soprattutto sportivo.

Il triste dopo Ferguson 

Alex Ferguson ha lasciato nel 2013 e la dirigenza non è riuscita a cogliere la sua eredità, in un calcio, questo va detto, che è mutato completamente, lì dove lo sport industria ha preso il posto dell’identità, in un club, a dire il vero, che è diventato globale ancora prima che nascesse questa parola, tifato e amato a tutte le latitudini per quello che rappresentava. Un club che nel 2000 ha rinunciato a partecipare alla FA Cup per prendere parte al primo Mondiale per Club, scatenando critiche a destra e a manca, rispetto alla tradizione di uno sport che in Inghilterra è molto più che rito settimanale.

Da Moyes e van Gaal, da Mourinho a Solskjaer, da Rangnick a ten Hag, considerando anche gli interim di Giggs e Carrick, è stato un tentativo continuo di ripetere qualcosa che non si poteva ripetere, sbattendo tra diverse scuole di pensiero calcistico e i risultati, inseguendo questi in modo taumaturgico senza considerare che lo stesso Ferguson ha avuto bisogno di tempo per costruire il suo impero, scegliendo generali bravi e fortunati, perché nel calcio conta anche la fortuna, ha sempre contato. Un errore dietro l’altro, un’impazienza dietro l’altra, che hanno portato il Manchester United sempre più in basso, snaturandone lo spirito, soprattutto all’Old Trafford. Errori che non hanno impedito, però, al club di rimanere nell’élite economica, come se fosse l’unica cosa che conta, forse per una governance statunitense, non certo per un tifoso, che in questi stessi anni si è visto superato nella leadership sportiva, e anche economica, dall’altra sponda di Manchester, lato City, grazie alle scelte tecniche ma, soprattutto, alla disponibilità economica della proprietà emiratina.

E in un momento come questo, l’FC United of Manchester rivendica una scelta che all’epoca, ai più, è parsa peregrina: «Mentre il Manchester United è rimasta un’impresa redditizia per i Glazer con 1,1 miliardi di sterline tolti dal club, il successo sul campo è passato in secondo piano rispetto alle attività commerciali. Le prestazioni della squadra hanno vacillato e alcuni dei tifosi più fedeli si sentono sempre più disconnessi dal club che amano. L’aumento dei prezzi dei biglietti, le iniziative di merchandising e le partnership aziendali danno priorità al guadagno finanziario rispetto agli appassionati tifosi che erano stati la linfa vitale del club […] Questo ha bisogno di un migliore coinvolgimento e una migliore rappresentanza dei tifosi, una leadership forte, investimenti sostanziali nelle infrastrutture, stabilità finanziaria senza compromettere le prestazioni sul campo, trasparenza, adattabilità alle dinamiche del calcio moderno e una strategia a lungo termine chiara e ben eseguita. Mettere al primo posto gli interessi dei tifosi è fondamentale in questo viaggio verso un rinnovato successo […] Noi dell’FC United crediamo fermamente in un modo migliore di gestire le squadre di calcio, in cui gli interessi dei tifosi abbiano la priorità rispetto al profitto e all’avidità. Il nostro impegno verso questa etica non ha mai vacillato. Unisciti a noi nel sostenere un approccio più equo al calcio diventando comproprietario dell’FC United».

Identità contro industria. Valori contro entrate. Libertà contro sistema. Non sono più scelte, ma parametri di due modi di fare e vedere il calcio diversi. E, al di là di questo, la proprietà dei Glazer è lì a ricordarci che, oltre i soldi, ci voleva più rispetto per quella che è stata la squadra dei Busby Babes.

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