L’arrivo di Taylor Swift al nuovo Bernabéu nel 2024 segna una nuova tappa della rivalità tra Real e Atlético. Il confronto fra due diverse idee di capitalismo applicate al pallone e di due modi di fare entertainment
Il prossimo stadio del derby di Madrid si gioca fra gli stadi e a decidere la competizione sarà la superiore capacità di stare dentro l'economia globale dell'entertainment.
Per i due principali club della capitale spagnola, Real e Atlético, si apre l'ennesimo fronte di competizione, come ha raccontato qualche settimana fa in un articolo il quotidiano sportivo As, dando notizia del calendario di eventi musicali programmati per l'estate del 2024 presso il rinnovato Santiago Bernabéu.
Una lista che punta a soddisfare i gusti di un pubblico vario. Si comincia con un appuntamento da cerchiare in rosso nel calendario dei fan del rock globale, il concerto del 30 maggio 2024 che metterà insieme Taylor Swift e i Paramore.
Un inizio col botto a cui fanno seguito due eventi per pubblico meno vasto ma influente: l'8 giugno sarà il turno di Mauro Ezequiel Lombardo Quiroga, noto come Duki, rapper argentino che si sta costruendo una vasta fama internazionale; e il 29 giugno toccherà alla pop star spagnola Manuel Carrasco, famoso per aver partecipato alla seconda edizione del talent Operaciòn Triunfo.
Programma breve e intenso, come si conviene a un'arena calcistica che ai concerti non può concedere più di tanto, in termini di spazio annuale nel calendario. Ma soprattutto si tratta di un contrattacco scagliato dalle merengues ai cugini colchoneros, e al loro Cívitas Metropolitano, l'ex stadio Olimpico, costruito nel 1994 e ristrutturato fra il 2011 e il 2017.
La modernità dell'impianto scelto dall'Atlético Madrid come propria nuova casa, in sostituzione del vecchio Vicente Calderón, si è rivelata anche nei termini della multifunzionalità. Che è stata declinata anche come vocazione a trasformarsi in un polo d'attrazione per l'economia dell'entertainment.
Su questo versante il Metropolitano ha messo rapidamente insieme un fitto curriculum. Nell'estate in corso ha ospitato il concerto dei Rammstein e durante le precedenti ha fatto segnare appuntamenti di rilievo internazionale. Specie nel 2019, quando un fitto calendario vide alternarsi, fra gli altri, Bon Jovi, Ed Sheeran, e i Muse. A giugno dell’anno scorso il palco del Metropolitano ha accolto i Rolling Stones.
Dalle parti del Bernabéu, che prima dell’esistenza del Metropolitano aveva accolto concerti importanti ma negli anni più recenti ha rischiato di essere de-classificato a “impianto del secolo scorso”, si è percepito il rischio che lo stadio dei rivali cittadini fosse più al passo con le esigenze del pubblico di questo secolo e con un'economia dello svago cui bisogna assicurare arene più moderne e flessibili. Sicché adesso, grazie anche ai sacrifici che la squadra merengue ha dovuto sopportare nelle ultime due stagioni, quel timore pare sul punto di essere messo in archivio.
E anzi si apre un nuovo fronte della rivalità fra Real e “Atleti”: quale impianto, fra Nuovo Bernabéu e Cívitas Metropolitano, sarà capace nelle prossime stagioni di catturare i nomi più importanti della scena musicale mondiale?
Due modi diversi di stare sul mercato
Il messaggio lanciato dal Real è chiaro: la concorrenza può ripartire e non c’è timore per il confronto sull'innovazione. In questo senso lo schema si ripropone. A partire dagli Anni Dieci, l'Atlético Madrid ha sfidato la nobiltà tradizionale del calcio spagnolo (Real Madrid e Barcellona) e di quello europeo sperimentando in tutti i campi formule di una certa spregiudicatezza.
Ciò si è visto soprattutto in ambito di mercato dei trasferimenti di calciatori, dove la società del presidente Enrique Cerezo ha sperimentato alleanze di tutti i tipi, comprese quelle con soggetti piuttosto opachi.
Fino a che la Fifa non le ha messe al bando, l'Atlético Madrid è stata una sorta di squadra-manifesto delle third party ownership (TPO), la formula che permette a investitori esterni di controllare i diritti economici dei calciatori.
Dietro il paravento della società che si è assestata stabilmente nell'élite del calcio europeo, al punto da essere chiamata a far parte del catastrofico esperimento di Superlega, c'è un vorticoso traffico di calciatori in entrata e uscita, molti dei quali non hanno mai vestito la maglia dei colchoneros. Ma il racconto della società vincente fa ombra a tutto il resto e i risultati del campo tacitano ogni obiezione.
Di questa rampante ansia per il rinnovamento fa parte la scommessa sul Metropolitano, lanciata al tempo dell'ubriacatura calcistica cinese che vide il Dalian Wanda Group (lo stesso che ha rilevato Infront) comprare una quota del 17 per cento dell'Atlético Madrid e versare 50 milioni di euro per i naming rights del nuovo stadio.
È durata finché è durata e presto i diktat del governo cinese hanno portato Dalian Wanda Group a fare marcia indietro. La quota che il gruppo cinese possedeva nel club è stata ceduta a Quantum Pacific, una holding controllata dal businessman israeliano Idan Ofer. Costui deteneva già un 15 per cento delle azioni dei colchoneros e dunque si è convertito nel principale azionista.
Ciò che dà anche luogo a situazioni piuttosto opache, dato che lo stesso Ofer è proprietario del Famalicão, club della Primera Liga portoghese che sotto la regia del super-agente Jorge Mendes si è trasformato in club dal quale transitano calciatori, capitali e commissioni per intermediazione. Da lì transitano anche calciatori sotto controllo dell’Atlético, senza che qualcuno obietti.
Dal 2022 lo stadio cambia denominazione per assumere l'attuale di Cívitas Metropolitano, ma al di là dei mutamenti rimane un segno di questa sfida verso la modernizzazione che la società guidata da Cerezo ha intrapreso dopo il periodo buio degli Anni Zero (con la clamorosa retrocessione al termine della stagione 1999-2000, seguita da due stagioni in Segunda).
Del resto, di mestiere il presidente dell’Atlético fa il produttore cinematografico, dunque di spettacolo se ne intende. Ma intanto che i colchoneros erano protagonisti di questa ascesa, cosa succedeva sul versante delle merengues?
Sotto la guida ferma di Florentino Pérez, quasi ininterrottamente presidente dal 2004, il Real Madrid è stato portatore di un altro approccio in materia di capitalismo applicato al calcio.
Da uomo del mattone qual è, a capo di un gruppo globale dell'edilizia civile (ACS), Pérez ha un'idea tanto aristocratica quanto pragmatica di come debba essere gestito un marchio di portata planetaria qual è il Real Madrid.
Ciò che, in accordo col principio che debba essere “el Madrid” a dominare il gioco economico-finanziario allo stesso modo in cui lo fa in campo, lo ha portato a tenere a distanza sia le TPO che gli agenti oligopolisti.
E tuttavia sarebbe un errore pensare che il numero 1 madridista abbia idee conservatrici in materia di gestione del club. Anzi, laddove c'è stato da innovare in modo spinto, ha saputo farlo. E questa innovazione è andata precocemente verso l'apertura all'idea che il Real dovesse convertirsi in un marchio globale dell'entertainment e della comunicazione.
Il segno più potente di questo cambiamento giunse quando nell'estate del 2003 venne ingaggiato David Beckham, che dopo la rottura con Sir Alex Ferguson si era separato bruscamente dal Manchester United.
A chi manifestava perplessità sulla scelta tecnica, il presidente madridista rispondeva spostando il discorso su tutt'altro terreno affermando che «questo qui ci farà vendere anche i rossetti». Come racconta Jimmy Burns nel suo libro When Beckham went to Spain (2004), quel trasferimento fu molto più che un affare calcistico.
E fra i suoi effetti c’era la precoce acquisizione, da parte del Real Madrid, di una mentalità da new economy calcistica già attecchita in Inghilterra ma ancora scarsamente diffusa nel continente. E tuttavia, questa visione ampia di modernizzazione calcistica peccava di ipermetropia.
Perso negli orizzonti del grande calcio globale e delle sue ampie possibilità di pastiche fra diverse forme di spettacolo, Pérez rischiava di farsi infilzare in casa propria, con una mossa contropiedistica di puro Cholismo. Il Metropolitano, col suo vasto programma di concerti, è stato negli ultimi anni un cruccio crescente. E invece adesso ecco la risposta: Jude Bellingham e Arda Güler in campo, Taylor Swift sul palco. Contrattacco totale, per ristabilire le gerarchie.
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