Trasferito a Firenze e degradato a procuratore aggiunto, ora il magistrato potrebbe tornare in Emilia da vincitore. Intanto però è stato fatto fuori per anni dalla regione in cui ha fatto condannare decine di boss della ‘ndrangheta
Con la sentenza n. 380 dell’11 gennaio 2024, la settima sezione del Consiglio di stato, riformando la decisione del Tar, ha annullato il provvedimento del Consiglio superiore della magistratura del febbraio 2021 sul trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale del procuratore della Repubblica di Reggio Emilia.
La sentenza ha rilevato l’insufficienza della motivazione del provvedimento, non risultando verificati l’effettiva perdita di fiducia nei confronti dell’operato del procuratore o un appannamento della sua immagine sull’intero territorio regionale.
Una colpo di scena che riporta al centro una gestione del caso da molti ritenuta anomala.
La sentenza distingue la cacciata da procuratore dall’allontanamento dalla regione. La prima è priva di motivazione per assenza di attività istruttoria, la seconda è illegittima, cioè contro la legge.
Il dato, quindi, è che sul secondo punto le conseguenze potrebbero essere immediate. Quindi non è escluso che Mescolini possa tornare in Emilia Romagna.
La partita, invece, della procura di Reggio Emilia è tutta un’altra storia che verrà affrontata nuovamente dal Csm.
I fatti
Per il Csm Mescolini era incompatibile in tutta la regione. Troppo legato al potere politico locale, l’accusa grave della prima commissione dell’organo di autogoverno delle toghe.
Fu un duro colpo. Durò meno di due anni l’esperienza di Mescolini a Reggio, nel fortino di quell’organizzazione criminale che aveva combattuto da sostituto procuratore dell’antimafia di Bologna: la ‘ndrangheta emiliana, impasto di imprenditoria, politica e clan che dagli anni Settanta ha messo radici nella pianura padana e che per quasi quarant’anni ha lavorato indisturbata.
L’intervento del Csm su Mescolini fu una conseguenza indiretta del caso Palamara.
© Riproduzione riservata