C’è un fenomeno che doveva essere eccezionale nel sistema della scuola italiana e invece è ormai organico di cui non si parla quasi mai nonostante riguardi tutte le famiglie, ed è il cosiddetto contributo volontario destinato agli istituti a inizio anno.
La volontarietà del contributo è diventata nei fatti una norma implicita del finanziamento scolastico
C’è un fenomeno che doveva essere eccezionale nel sistema della scuola italiana e invece è ormai organico di cui non si parla quasi mai nonostante riguardi tutte le famiglie, ed è il cosiddetto contributo volontario destinato agli istituti a inizio anno.
La volontarietà del contributo è diventata nei fatti una norma implicita del finanziamento scolastico. A settembre, ottobre, in alcuni casi a inizio di ogni quadrimestre, o più volte l'anno, viene chiesto da parte della scuola un contributo per le spese vive che può andare da poche decine di euro a qualche centinaio. Questa cifra può anche differire molto a seconda del grado dell'istituto, della struttura scolastica, dell'intraprendenza della dirigenza, del contesto sociale.
E qui cominciano le questioni politiche. Non abbiamo nessuna rilevazione su quanto pesi in termini di bilancio, di efficacia, di equità questo genere di contributo; sappiamo che in alcune scuole i genitori che mettono i soldi sono oltre il 90 per cento, sappiamo che in altri casi sono una minoranza assoluta.
La mancanza di dati porta chiaramente a mantenere questa pratica totalmente arbitraria. Le spese a cui può essere destinato il denaro devoluto dalle famiglie possono essere quelle primarie: la ormai paradigmatica carta igienica, o i fazzoletti, il sapone liquido o la piccola manutenzione di porte, banchi, finestre, o l'acquisto di strumentazione di base per la didattica (e qui può rientrare la cancelleria ovviamente, cartine geografiche, cartelloni, ma – mettiamo - anche il cibo per cucinare se si tratta di un alberghiero, o le tempere se siamo in un artistico); oppure un progetto educativo che parte o meno se si raggiunge un fondo cassa sufficiente: inglese, musica, outdoor, molte di queste attività dipendono dal contributo volontario anche nella scuola dell'obbligo.
Si capisce bene come il senso dell'aggettivo "volontario" sia davvero fuorviante se non mistificatorio. Con le scuole progressivamente definanziate, i dirigenti si arrangiano come possono per raccattare fondi: s’inventano un merchandising all’americana (felpe, cappellini, tazze brandizzati con nomi e stemmi degli istituti); consigliano caldamente di fare assicurazioni integrative; usano la retorica del bene della scuola o del buon nome dell’istituto.
Questi sono i migliori dei casi, perché nella stragrande maggioranza si manifestano invece un po' ovunque pressioni, stigmi e rappresaglie verso chi non paga. Chi non lo fa viene fatto sentire irresponsabile.
Se qualche anno fa si erano formati comitati o almeno reazioni di protesta o boicottaggio del contributo con la giusta motivazione che una scuola pubblica deve essere finanziata dallo Stato (la libertà e la gratuità che ne garantirebbe l'equità), oggi è l'inerzia a legittimare il più mansueto consenso di fronte a quello che sembra un pizzo di stato. Chi non lo paga chiaramente non è solo spesso oggetto di riprovazione ma diventa realmente imputabile del mancato svolgimento di alcune attività o delle carenze della classe in cui fanno scuola i propri figli e i loro compagni.
Anche in questo caso la cattiva informazione è complice della cattiva politica. Qualche giorno fa è stato pubblicato un video del ministero del lavoro che dichiarava come da quest’anno il governo avesse eliminato un’altra spesa volontaria delle famiglie: il contributo per l’assicurazione. Come ha ricostruito il sito Pagella politica, il video ha creato solo confusione: le famiglie dovranno continuare a compensare tutte le spese che l’Inail non copre, e le scuole continueranno a chiedere anche questo contributo.
Occorrerebbe un movimento trasversale, davvero diffuso, per contrastare questa estorsione mascherata da forma di solidarietà tra scuola e famiglie; ma se c’è un’evidenza messa in luce dalla diffusione capillare e ormai storicizzata del contributo volontario è la difficoltà da parte dei genitori di organizzarsi per le lotte politiche per l’educazione, e ancora di più la difficoltà di allearsi con i docenti. Per quanto complicata, e alle volte apparentemente impossibile, questa convergenza è necessaria.
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