Elena Cecchettin, sorella di Giulia, ha pronunciato le parole più lucide in questi giorni: «Turetta viene definito come mostro, invece mostro non è. I mostri sono figli sani del patriarcato». Lo dimostrano i numeri e sta aumentando quello delle donne assassinate da un familiare, un partner o un ex partner: nel 2012 erano il 74 per cento del totale, l’anno scorso la percentuale è schizzata al 91 per cento
Chi ha pronunciato le parole più lucide sull’assassinio di Giulia Cecchettin da parte di Filippo Turetta è stata Elena, la sorella di Giulia. «Turetta viene spesso definito come mostro, invece mostro non è. Un mostro è un’eccezione, una persona esterna alla società, una persona della quale la società non deve prendersi la responsabilità. E invece la responsabilità c’è. I “mostri” non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro. La cultura dello stupro è ciò che legittima ogni comportamento che va a ledere la figura della donna, a partire dalle cose a cui talvolta non viene nemmeno data importanza ma che di importanza ne hanno eccome, come il controllo, la possessività, il catcalling. Ogni uomo viene privilegiato da questa cultura».
Elena ha ragione. Secondo i dati del Ministero dell’Interno, nel 2022 in Italia sono stati commessi 319 omicidi, e di questi 125 – pari al 39 per cento – sono stati femminicidi. Quasi la metà degli omicidi - 140 - sono stati commessi in un contesto familiare, e di questi 103 – pari al 74 per cento - hanno avuto come vittima una donna. Di questi 140, 67 sono stati commessi dal partner o dall’ex-partner della vittima, e 61 delle 67 vittime – pari al 91 per cento - erano donne. L’Italia è al penultimo posto in Europa per incidenza di omicidi, giacché si contano 0,48 omicidi ogni 100mila abitanti.
Ma mentre il numero degli omicidi in cui la vittima è un uomo negli ultimi anni ha continuato a diminuire drasticamente, quello degli omicidi in cui la vittima è una donna è calato solo di poco – da 0,36 ogni 100mila abitanti del 2012 a 0,32 del 2021. Anzi, In Italia, i femminicidi di anno in anno stanno aumentando in percentuale: nel 1990 per ogni donna venivano uccisi 5 uomini, mentre nel 2021 per ogni donna ne sono stati uccisi 1,6.
E sta aumentando costantemente il numero delle donne assassinate da un familiare, un partner o un ex partner: se nel 2012 le donne uccise da un familiare, un partner o ex-partner erano il 74 per cento del totale, l’anno scorso questa percentuale è schizzata al 91 per cento.
Un fenomeno sociale
Quindi, che un uomo uccida la “sua” donna o ex donna adesso in Italia è un fatto “normale” e non un’eccezione: ha ragione Elena Cecchettin. Dice Elena: «Il femminicidio non è un delitto passionale, ma di potere, è un omicidio di Stato, perché lo Stato non ci tutela e non ci protegge». Verissimo. Lo conferma la cruda realtà dei numeri. In Italia il femminicidio è un fenomeno sociale e politico sempre più diffuso di cui lo Stato dovrebbe farsi carico.
Elena ha anche ragione su un’altra questione: quello di Giulia non è un delitto passionale. Non un delitto passionale vecchio stampo, almeno. Filippo Turetta non ha ucciso Giulia perché lei si era “messa con un altro”. Giulia non aveva tradito Filippo, e non è stata la gelosia la molla che l’ha mosso.
Giulia non accettava di tornare con lui, voleva essere libera, e così facendo metteva in crisi l’identità di Filippo, il suo ruolo di maschio nella società, ed è questo che ha scatenato la sua rabbia. La nostra società patriarcale vuole che il maschio sia quello bravo a scuola, che lavora, che fa carriera, che si prende cura della “sua” donna, la protegge dagli altri maschi e la mantiene, e la donna deve ubbidire.
Lo hanno anche raccontato i giornali e le Tv: Filippo controllava Giulia – la prima storia seria della sua vita, come lui lo era stato per Giulia – in maniera possessiva, continuava a cercarla ossessivamente anche se lei l’aveva lasciato, cosa che lui non accettava, pativa perché Giulia si sarebbe laureata prima di lui e poi sarebbe andata via a cercare lavoro, la ricattava psicologicamente minacciando di uccidersi perché senza di lei la sua vita non aveva senso. Filippo non riusciva ad accettare che Giulia fosse forte e libera, più di lui.
Oggi, il ruolo del maschio come metà “forte” della coppia viene sempre più spesso messo in discussione: e l’assassinio di Giulia da parte di Filippo è frutto di questa fase di crisi del patriarcato in cui sempre più donne, anche giovani, scelgono di essere libere dall’uomo.
La famiglia Turetta
Nicola Turetta, il padre di Filippo, ha descritto con parole tenere il disorientamento di suo figlio: «Non siamo una famiglia patriarcale. La prima volta che si erano lasciati diceva “io mi ammazzo, non posso stare senza Giulia”. Sì, soffriva. Ma continuavano a vedersi. I ragazzi a quell’età si lasciano, si mettono assieme. Lui, negli ultimi tempi, sembrava tranquillo. In questi giorni mi hanno detto che dovevo preoccuparmi se quando andava a letto abbracciava l’orsacchiotto pensando a Giulia. Io davvero non ho dato peso a questa cosa. Avrei dovuto?». No, il papà e la mamma di Filippo non avrebbero né dovuto né potuto dare peso a nulla, e non si possono addossare a questi genitori affranti colpe che non hanno. Le colpe sono della cultura che respiriamo.
Filippo viene descritto da tutti come un ragazzo perbene che non avrebbe mai fatto male a una mosca, però alcuni tratti del suo carattere e del suo comportamento avrebbero potuto destare sospetti. Lo studio più ampio sui femminicidi è stato condotto da Rebecca Dobash e da suo marito Russell, sociologi dell’Università di Manchester, ed è intitolato “Assassini in Gran Bretagna”.
I due studiosi hanno scoperto che la metà dei femminicidi viene compiuto da partner intimi insospettabili, individui all’apparenza normali che provengono da famiglie rispettabili, che non hanno subito traumi evidenti durante l’infanzia, e che possiedono un grado di istruzione elevato.
Ma se si indaga più in profondità, si scopre qualcosa. «Un partner intimo che commette un femminicidio spesso è coinvolto in qualche disputa duratura sul fatto che il rapporto che ha con la vittima è unico e speciale. La possessività e la gelosia sono spesso la fonte del conflitto che porta al femminicidio. Una donna vittima su 3 era separata dal partner e una donna su 20 stava tentando di uscire dalla relazione: è importante notare che è la donna e non l’uomo che rompe la relazione, e che è l’allontanamento da parte della donna la fonte del conflitto.
Chi commette un femminicidio spesso in precedenza ha una storia di violenza contro la futura vittima. Perciò, il femminicidio non è un evento imprevedibile suscitato da una forte emozione in cui l’uomo va “fuori di testa” e usa la violenza contro la partner donna. Invece è un evento in cui l’uomo agisce secondo la sua testa continuando a usare violenza contro la donna, come ha già fatto in precedenza».
Gli studi
L’uomo che uccide una donna prima ha commesso prolungati atti di violenza nei confronti di quella stessa donna, e questa violenza può essere fisica o psicologica. Un gruppo di sociologi e psicologi guidato da Holly Johnson, dell’Università di Ottawa, in Canada, ha pubblicato uno studio dal titolo Femminicidio da parte di un partner intimo: il ruolo del controllo coercitivo.
Scrivono gli autori: «La gelosia, la possessività e il desiderio di controllare la partner femminile sono importanti segnali precursori del femminicidio. L’idea di “possedere una donna” è una manifestazione evoluta della mascolinità che, interagendo con il contesto culturale, può produrre le varie forme di violenza dell’uomo contro la donna. La violenza si manifesta in situazioni in cui il maschio sente di avere perso il controllo sulla partner donna, il che scatena una rabbia morbosa».
Come è capitato a Filippo con Giulia. Nel mondo, la violenza fisica o psicologica da parte del maschio verso la donna partner è un fenomeno in enorme espansione e che compare in età sempre più precoce. Negli Usa, il 20,9 per cento delle giovani dichiara di avere subito qualche forma di violenza fisica o sessuale durante una relazione con un partner maschio.
E il 65 per cento delle studentesse di liceo dichiara di avere subito qualche violenza psicologica basata sul genere da parte di un partner, che può avvenire anche tramite mezzi cibernetici quali computer e telefonini. Teniamolo a mente: il maschio che commette una violenza psicologica su una donna può diventare il femminicida di domani.
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