Mario Francese continuò a soffermarsi sulle gravi condotte illecite contestate a don Agostino Coppola, il “parroco mafioso”. Particolarmente interessanti gli articoli, sul “Giornale di Sicilia”, sul coinvolgimento del sacerdote nel sequestro dell’ingegner Luciano Cassina e sui suoi rapporti con l’“anonima sequestri” capeggiata da Luciano Liggio
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Mario Francese continuò a soffermarsi sulle gravi condotte illecite contestate a don Agostino Coppola in altri articoli successivi, nei quali veniva evidenziato il coinvolgimento del parroco in alcune delle più complesse vicende criminali degli anni ’70.
Presentano un notevole interesse i puntuali riferimenti contenuti nel seguente articolo di Mario Francese, pubblicato sul "Giornale di Sicilia" del 23 marzo 1976, in ordine al coinvolgimento del sacerdote nel sequestro dell’ing. Luciano Cassina, ed ai suoi rapporti con l’“anonima sequestri” capeggiata da Luciano Liggio, cui venivano ricondotti i sequestri di persona commessi in danno di Emilio Baroni e di Luigi Rossi di Montelera:
Per il sequestro di Luciano Cassina Don Agostino Coppola rinviato a giudizio. Sarebbe stato l'emissario dei banditi - A giudizio anche Francesco Scrima (uno dei «basisti»)
Padre Agostino Coppola, il parroco di Partinico ha avuto un ruolo di rilievo nel sequestro dell'ing. Luciano Cassina, rapito dai banditi in via Principe Belmonte il 16 agosto 1972 e rilasciato il 7 febbraio successivo (dopo quasi sei mesi di prigionia) in seguito al pagamento di un miliardo e trecento milioni di riscatto. Il sacerdote sarebbe stato l'emissario dei banditi nelle trattative con i familiari del sequestrato. Un altro personaggio - Francesco Scrima dei Danisinni - sarebbe, invece, stato uno dei basisti e dei «protettori» del clan operativo al momento del rapimento del giovane industriale. Questo, praticamente, il succo della conclusione delle indagini del giudice istruttore Aldo Rizzo che, ieri, al termine della complessa inchiesta giudiziaria, ha rinviato a giudizio per concorso con ignoti nel sequestro di Luciano Cassina, il parroco Agostino Coppola e Francesco Scrima. Sono usciti, invece, dalla scena del processo, salvo impugnativa del pubblico ministero Domenico Signorino, Leonardo Vitale, il «Valachi» dei Danisinni, Giuseppe Calò, Salvatore Alterno, il camionista di Uditore, padre Giovanni Aiello e Antonino Cannizzaro di Partanna Mondello.
Vitale, Calò e Alterno erano coinvolti in prima persona nel sequestro Cassina, dal quale sono stati prosciolti con formula liberatoria: cioè per non avere commesso il fatto. Diversa la posizione di padre Aiello e di Antonino Cannizzaro, che erano stati incriminati di falsa testimonianza. Il sacerdote di Casa Professa è stato prosciolto dall'accusa per avere ritrattato il falso: il Cannizzaro con formula piena.
La decisione del giudice istruttore Aldo Rizzo si è alquanto discostata dall'impostazione accusatoria del sostituto procuratore Domenico Signorino, che aveva chiesto il rinvio a giudizio, per concorso nel sequestro, anche di Pino Calò e di Salvatore Alterno. Naturalmente, nella decisione, avranno avuto un ruolo determinante i memoriali dei difensori avvocati Salvatore e Nino Mormino per Calò e Caterina Buonocore per il camionista di Uditore.
Quale la posizione giudiziaria di padre Agostino Coppola? Secondo la sentenza il parroco di Partinico, parente di Frank Coppola, meglio noto come «Frank tre dita», era il personaggio chiave della «anonima sequestri», che si vuole capeggiata da Luciano Liggio: un personaggio che, secondo l'accusa, avrebbe avuto le mani in pasta anche nei sequestri di Emilio Baroni e di Luigi Rossi di Montelera. Un personaggio, comunque, pieno di luci e di ombre, che la paziente indagine della magistratura, di polizia e di carabinieri non è riuscita a squarciare. L'inchiesta è penetrata anche nell'ambiente religioso nel quale avrebbe trovato appoggio padre Coppola in virtù del suo abito talare. Ma non si è capito o meglio l'indagine non ha chiarito il ruolo svolto con esattezza da un certo ambiente religioso nel sequestro Cassina, come non ha fornito alcun elemento sulla organizzazione banditesca che ha progettato e operato il sequestro Cassina.
Il giudice Rizzo ha in sostanza ravvisato, nel comportamento del parroco di Partinico quello di un personaggio che nell'organizzazione del sequestro, c'era dentro. Fu, infatti, padre Coppola (trovato in possesso di banconote del sequestro Baroni) a riscuotere l'ultimo miliardo da consegnare ai banditi: fu lui che garantì che per sua intercessione, i banditi avrebbero ridotto la loro iniziale pretesa di tre miliardi a un miliardo e trecento milioni. Ancora, don Agostino Coppola garantì ai familiari che il rapito sarebbe stato rilasciato (come in effetti avvenne) tre giorni dopo la consegna del riscatto e garantì anche, per i banditi che la famiglia Cassina non avrebbe subito altri «danni» per l'avvenire.
Sulla posizione di Francesco Scrima, c'è da rilevare che il giudice Rizzo ha dato credito alle rivelazioni di Leonardo Vitale. Da queste rivelazioni, infatti, si ricava che Scrima partecipò materialmente - anche se con funzioni d'appoggio - al sequestro di Luciano Cassina. Ed in quella occasione si servì della «Lancia Fulvia» chiesta in prestito al Vitale. La sua partecipazione al sequestro Scrima, poi, l'avrebbe confermata al Vitale con una inequivoca affermazione: «Il sequestro Cassina è andato bene. C'è stata solo una breve colluttazione (e il fatto corrisponde: N.d.R) perché Cassina ha avuto una reazione».
Nuove indiscrezioni sul parroco
Ulteriori episodi delittuosi ascritti a padre Coppola erano riferiti nel seguente articolo di Mario Francese, pubblicato sul "Giornale di Sicilia" del 24 marzo 1977:
Don Agostino Coppola non ha atteso la sentenza accusando un improvviso malessere
"Qui mi giudicano per il mio nome"
L'ex parroco di Carini sostiene d'essere stato un benefattore dell'uomo che lo accusa
Padre Agostino Coppola non se l'è sentita di attendere l'esito del processo che lo ha avuto protagonista per 13 udienze come autore dell'estorsione dell'allevatore Francesco Paolo Randazzo, sfrattato con la violenza dal Feudo di Piano Zucco per fare posto alle mandrie dell'ex parroco di Carini. Ieri, al termine dell'ultima udienza e nel momento in cui i giudici si ritiravano in Camera di consiglio, ha detto di sentirsi male. "Non verrò per sentire la sentenza". Uno strano presentimento il suo. Prima mi aveva detto, molto rabbuiato, che si attendeva una condanna. "Qui non mi giudicano - aveva detto - per il fatto in se stesso, mi giudicano perché mi chiamo padre Coppola. Pensi, mi hanno attribuito un'estorsione che non ha senso. A parte che sono stato un benefattore del Randazzo, le sottolineo che lo avevo a portata di mano a Piano Zucco, notte e giorno, anche da solo. Portava le sue vacche nella mia stalla e se avessi voluto fargli del male, ne avrei avuto la possibilità quando e come avrei voluto".
Le tredici udienze, alle quali (ad eccezione di un solo giorno) ha sempre presenziato, hanno stancato don Agostino. E' uscito dall'aula alle 13,35 quasi disfatto.
- Beh, gli abbiamo chiesto, se qui si ritiene una vittima della Giustizia, penso che non possa dire la stessa cosa per essere stato coinvolto nell' “anonima sequestri" capeggiata da Luciano Liggio e che le è costata, a Milano, la condanna a 14 anni di reclusione.
"In effetti - ha risposto - la situazione in quel processo era più pesante. Ma insisto che, per questo, non esistevano i presupposti per un rinvio a giudizio. E voi giornalisti montate certi episodi, soprattutto quando si tratta di me, perché il mio nome fa notizia".
Il cronista sarebbe non può che raccogliere notizie da fonti ufficiali. Sarebbe ben lieto, dal momento che viene spiccato un ordine o un mandato di cattura, potere conoscere il pensiero dell'imputato, ma è ovvio che non ne ha la possibilità.
"Certo, i cronisti raccolgono le tesi di accusa e, in effetti, non possono conoscere i rintocchi dell'altra campana. Ma, intanto, ne vengono fuori notizie di parte che rovinano la reputazione di una persona".
Certo è strano che Padre Agostino Coppola sia stato rinviato a giudizio e condannato ieri per l'estorsione a Randazzo e tenuto fuori dal tentato omicidio subito nell'ottobre 1974 dallo stesso allevatore di Piano Zucco. Una stranezza che, nella sua requisitoria, ha sottolineato anche il pubblico ministero Francesco Scozzari. Però dagli atti è balzato il documento che Francesco Paolo Randazzo aveva stipulato con Giacomo Chiello per l'acquisto di Piano Zucco e sono venute fuori anche le cambiali che Randazzo aveva versato al Chiello al momento della stipula del compromesso per vendita. E tutto questo ha fatto gioco contro padre Coppola e gli imputati di tentato omicidio. Ed a questi elementi bisogna aggiungere le rivelazioni dello stesso Randazzo che, dopo il ferimento, fece il nome degli aggressori. E, nonostante, nell'ultima parte dell'istruttoria e durante la causa Randazzo abbia fatto marcia indietro, nonostante il martellamento di tutti i difensori contro le posizioni di Randazzo presentato come personaggio dal "certificato penale sporchissimo", e anche come mafioso, i giudici hanno ritenuto le ritrattazioni come conseguenza della "gran paura" che Randazzo ha avuto dal momento dell'attentato ad ora.
Ma i 3 anni e mezzo di reclusione a padre Coppola, al momento, costituiscono un'altra piccola goccia che si è venuta ad aggiungere ai 14 anni di Milano. L'ex parroco, dovrà, infatti, affrontare, dal prossimo 28 aprile un altro ben più pesante processo, quello per il sequestro dell'ing. Luciano Cassina. Suo fratello Giacomo, invece, è uscito dalla scena di tutti i processi di don Agostino. Ora è libero, ma dovrà recarsi per due anni e mezzo al soggiorno obbligato cui è stato recentemente assegnato dal Tribunale.
La mano santa di Monsignor Mingo
Risulta particolarmente accurata e completa la ricostruzione compiuta da Mario Francese, nel seguente articolo pubblicato sul "Giornale di Sicilia" del 15 luglio 1977, in ordine al ruolo attribuito a don Agostino Coppola in numerosi episodi delittuosi di grande rilevanza:
Un personaggio sconcertante.
Resta un mistero il ruolo dell'ex parroco
Misteriosamente entrato nel sequestro Cassina, l'ex parroco di Carini ne è ancora più misteriosamente uscito, anche se per il rotto della cuffia. Il processo ha svelato solo in parte come quando e perché don Agostino Coppola entrò nelle trattative tra la famiglia del cavaliere del lavoro Arturo Cassina e i banditi per il rilascio dell'ing. Luciano. Secondo fonti responsabili, si ricorse ad Agostino Coppola quando il gesuita Giovanni Aiello, scelto dai banditi tra una terna di nomi forniti dal rapito, dopo la consegna di un acconto di 300 milioni, dovette alzare bandiera bianca di fronte all'insistenza di «padre Guglielmo», emissario dei banditi, fermo su un riscatto di tre miliardi. Ma, per non destare sospetti, per l'incarico a padre Coppola, nipote del più famoso «Frank tre dita», si dovette ricorrere alla mediazione dell'arcivescovo di Monreale. E' risultato dagli atti che mons. Corrado Mingo diede incarico a padre Giovanni Aiello di cercargli padre Agostino Coppola, un sacerdote che gli era noto per essere stato economo del seminario arcivescovile di Monreale.
Padre Agostino non accettò subito l'incarico. Prese cinque giorni di tempo per recarsi a Roma e al ritorno, finalmente comunicò a padre Aiello di aderire al «pressante» invito del suo arcivescovo.
I risultati della nuova mediazione furono, sin dall'inizio, positivi. Dai tre miliardi si passò alla richiesta di settecento milioni, in aggiunta ai 300 già versati dai Cassina ai banditi. Poi, quando tutto sembrava avviato, un intoppo. Padre Agostino Coppola informò don Aiello che i banditi, oltre all'acconto di 300 milioni pretendevano un «saldo» di un miliardo netto: o prendere o lasciare.
La famiglia Cassina fu contrariata dalla nuova richiesta. Tuttavia, per abbreviare i tempi della prigionia di Luciano Cassina, dovette fare buon viso a cattivo gioco. Il miliardo tondo fu trasferito a Casa Professa, nella residenza di padre Aiello. E qui, di sera, lo andò a prelevare con la sua auto don Agostino che, poi, l'avrebbe consegnato ai banditi. Due giorni dopo, comunque, l'ing. Luciano fu liberato.
Il nome di padre Agostino Coppola, ufficialmente, passò nel dimenticatoio. Non comunque, per la famiglia del sequestrato. Arturo Cassina, infatti, dovette ancora una volta ricorrere all'intermediazione del parroco di Carini per una serie di minacce, evidentemente a scopo di estorsione, pervenute al genero, ing. Pasquale Nisticò, direttore della Lesca. E anche questa volta l'intervento del sacerdote di Partinico risultò taumaturgico: i banditi non diedero più molestia all'ing. Nisticò.
Poi, le strane circostanze che legarono il nome di Agostino Coppola ai sequestri Barone e Rossi di Montelera, riportarono alla ribalta della cronaca l'ex parroco di Carini. Nel maggio 1974 la sorpresa dell'arresto, nella sua abitazione, dove furono sequestrate banconote (cinque milioni) del sequestro Barone. Questa circostanza tirò in ballo don Agostino anche per il sequestro Cassina e il suo nome finì accanto a quello di Giuseppe Calò, Leonardo Vitale e Francesco Scrima, caduti nelle maglie dei carabinieri e della polizia dopo la liberazione dell'ing. Luciano. Dei quattro, soltanto due, sono rimasti impuniti del sequestro Cassina.
Ora, la lettera dell'arcivescovo di Monreale giunta nella camera di consiglio della Corte, al momento del giudizio, ha cercato di dare una nuova dimensione all'intervento di Agostino Coppola. «Sono rimasto in silenzio durante tutto il corso del processo», ha scritto mons. Mingo, «non per il timore di conseguenze di qualsiasi genere contro la mia persona, ma solo perché non sorgessero equivoci sulla missione sacerdotale». Ha aggiunto di avere sentito il bisogno, come uomo e come sacerdote, di precisare, dopo avere appreso a mezzo dei giornali che la Corte non aveva ritenuto opportuno di citarlo, che l'intervento di padre Agostino Coppola, come intermediario del sequestro, era stato da me sollecitato su pressione di padre Giovanni Aiello, molto vicino alla famiglia dell'ostaggio, e del cavaliere del lavoro Arturo Cassina padre dell'ing. Luciano.
Questa lettera è datata 8 luglio. Ma già la Corte alla fine di giugno aveva dovuto saltare ben quattro udienze per «reperire» don Giovanni Aiello e per sentire da lui come teste, la «verità» sulla «missione» Coppola nel sequestro Cassina. Una ricerca affannosa quanto vana, al punto da indurre la Corte a rinunziare alla preziosa testimonianza.
Un comportamento, questo di padre Aiello, e una lettera quella di mons. Mingo, che non hanno chiarito il «giallo» dell'incarico a padre Agostino: un giallo che è rimasto tale anche dopo la sentenza della Corte che, con la sua formula dubitativa ha lasciato intatti tutti gli interrogativi sui retroscena del sequestro più lungo della nostra Sicilia.
Una sentenza a sorpresa
Il sorprendente esito del processo a carico di don Agostino Coppola per il sequestro dell’ing. Cassina, e la singolare procedura adottata, venivano posti in evidenza da Mario Francese in questo ulteriore articolo, apparso sempre sul "Giornale di Sicilia" del 15 luglio 1977:
Sentenza a sorpresa per la "mafia di borgata". Condannato il "Valachi". Assolto Agostino Coppola.
25 anni e 4 mesi di reclusione a Leonardo Vitale, che con le sue rivelazioni diede il via al processo per il sequestro Cassina una sola condanna
Trentuno udienze, otto ore e mezzo di camera di consiglio, undici condanne a complessivi 95 anni di reclusione (contro i due ergastoli e i 173 anni di carcere chiesti dal pubblico ministero), nove assoluzioni con formule varie: questa, in sintesi, la conclusione del processo alla mafia di borgata e per il sequestro dell'ingegnere Luciano Cassina. Una sentenza che, anche se per il rotto della cuffia, ha tirato fuori dal clamoroso rapimento del figlio del conte Arturo Cassina l'ex parroco di Carini don Agostino Coppola. Il sacerdote che fece da intermediario tra la famiglia Cassina e i banditi e che consegnò a questi un miliardo per il rilascio del giovane professionista, è stato assolto con formula dubitativa dal concorso in sequestro. A questa assoluzione, non sappiamo in che misura, ha contribuito una lettera pervenuta alla Corte mentre era in camera di consiglio e che era stata spedita al presidente Carlo Aiello il 9 luglio dall'arcivescovo di Monreale, mons. Corrado Mingo. Una lettera che non mancherà, per il suo contenuto e per il momento in cui è pervenuta ai giudici, di creare un vespaio di polemiche.
La decisione dei giudici è stata letta in aula affollata di imputati, congiunti, avvocati e curiosi e illuminata a giorno dai riflettori della TV e delle televisioni private alle 19.05, presenti i tre imputati detenuti, Leonardo Vitale, padre Agostino Coppola,
Francesco Scrima e molti degli altri a piede libero. La pena maggiore l'ha riportata proprio Leonardo Vitale il "picciotto" dei Danisinni che, con le sue rivelazioni del marzo 1973, provocò il processone alla "mafia di borgata" cui, al momento del dibattimento, è stato connesso anche quello per il sequestro Cassina. Il "Valachi" è stato condannato a 25 anni e 4 mesi di reclusione perché ritenuto responsabile degli omicidi di Giuseppe Bologna, il boss di via Perpignano assassinato nel marzo 1969, di Vincenzo Mannino e di Pietro Di Marco, oltre che di associazione per delinquere ed estorsioni. I giudici gli hanno concesso la diminuente del vizio parziale di mente e le attenuanti generiche dichiarate equivalenti alle aggravanti contestate ed escludendo la premeditazione dei delitti.
Gian Battista Vitale, don Titti per gli amici, presunto boss di Altarello di Baida e zio di Leonardo, è stato assolto con formula dubitativa dagli omicidi Mannino e Di Marco e condannato a 23 anni di reclusione per l'uccisione del boss di via Perpignano Giuseppe Bologna, oltre che per associazione a delinquere. Anche per lui, i giudici hanno eliminato la premeditazione e concesso le attenuanti generiche.
Per il sequestro dell'ing. Luciano Cassina, avvenuto il 16 agosto 1972, la Corte ha condannato soltanto il macellaio di Boccadifalco Francesco Scrima: 15 anni di reclusione, comprensivi anche di un reato di estorsione (Valenza) e dell'associazione per delinquere. Lo stesso imputato è stato di contro assolto dall'omicidio di Vincenzo Traina, il figlio del costruttore assassinato a Piazza Leoni per avere reagito a suoi rapitori.
Queste le altre condanne: Giuseppe Ficarra, per cui era stato chiesto l'ergastolo per l'omicidio Di Marco, è stato assolto per insufficienza di prove dal delitto e condannato soltanto a 3 anni e 8 mesi per associazione a delinquere: Antonino Rotolo 4 mesi per associazione a delinquere ed estorsione: Salvatore Inzerillo, il «padrino» di Leonardo Vitale, 3 anni e 8 mesi per associazione a delinquere: Giuseppe Calò (latitante come Rotolo) 7 anni per estorsione e associazione a delinquere: Raffaele Spina, boss del rione Noce, 5 anni per associazione a delinquere e l'estorsione a Mirabella: Filippo Mirabella 3 mesi per favoreggiamento di Spina con la sospensione della pena e il beneficio della non iscrizione nel certificato penale: Francesco Paolo La Fiura 6 anni per estorsione e associazione a delinquere: Ignazio Motisi 6 mesi per detenzione abusiva di una baionetta e assolto da una estorsione: Michelangelo Sirchia 3 anni e 8 mesi solo per associazione a delinquere.
La lista degli assolti è aperta da don Agostino Coppola (insufficienza di prove dal sequestro Cassina). Seguono: Tommaso Spadaro, Leonardo Vitale e Giuseppe Calò (dal tentato omicidio di Salvatore Adelfio), Salvatore Ammannato, assolto con formula piena da estorsioni e associazione: Giovanni Marcianò di Boccadifalco (formula dubitativa per due estorsioni): Francesco Pecora (formula piena da tutti i reati): Gaetano La Fiura (formula piena da una estorsione): Angelo Ippolito perché non costituisce violenza privata il biglietto con l'invito a ritrattare indirizzato in carcere a Leonardo Vitale: Felice Calafiore da tutti i reati.
Leonardo Vitale è stato così creduto in parte o meglio è stato creduto in ciò che i giudici hanno avuto la possibilità di riscontrare. Comunque, le sue rivelazioni, che già avevano subìto un primo ridimensionamento nella fase preliminare dell'indagine giudiziaria, hanno subìto un'ulteriore cernita.
Del gruppo degli imputati, resteranno in carcere soltanto i tre che sono comparsi in stato di detenzione: Scrima, padre Agostino Coppola e Leonardo Vitale. Gli altri, don Titta compreso, cioè Giovan Battista Vitale, avevano ottenuto la scarcerazione per decorrenza di termini nelle more del giudizio. Per don Coppola, i giudici hanno disposto la scarcerazione se «non detenuto per altra causa». Fuori quindi per il sequestro Cassina e in libertà provvisoria per l'estorsione al contadino di Partinico, Francesco Randazzo, per cui, nell'aprile scorso era stato condannato a 3 anni di reclusione, resta dentro per la condanna a 14 anni di reclusione dal Tribunale di Milano che, in stato di detenzione (era stato arrestato nel maggio 1974), lo giudicò per l'«anonima sequestri» capeggiata da Luciano Liggio.
La lettura della sentenza è stata preceduta da una comunicazione (fatto insolito per non dire eccezionale) del presidente Carlo Aiello, regolarmente verbalizzata. «Nel corso della camera di consiglio è pervenuta tramite il cancelliere Centineo una lettera datata 8 luglio 1977; con relativa busta affrancata, a firma Corrado Mingo, arcivescovo». Il presidente ha disposto l'acquisizione della lettera al verbale di udienza.
Il fatto insolito ha suscitato la curiosità di giornalisti e avvocati. La lettera fa riferimento alle notizie di stampa sulla posizione dello stesso arcivescovo Mingo nel processo Cassina. Il presule quindi ha sentito il bisogno di precisare che, su indicazione del conte Arturo Cassina, padre Agostino Coppola, dietro sue pressioni, si era interessato «per fini umanitari» per il rilascio del giovane rapito. Tutta qui la lettera. Ma già giuristi e penalisti hanno sollevato un problema: poteva la lettera essere ammessa in camera di consiglio? E una volta ammessa, poteva essere aperta, potendo contenere elementi (come in effetti li contiene) influenti sul giudizio, anche se di un solo imputato? Praticamente la lettera del presule ha confermato quanto al dibattimento aveva dichiarato padre Agostino Coppola. Informato del contenuto della lettera, padre Agostino ha così commentato l'iniziativa dell'arcivescovo di Monreale: «Ciò che conta è la giustizia di Dio. Ma, una volta tanto, ha funzionato anche la giustizia degli uomini». Leonardo Vitale non ha espresso alcun commento, mentre suo zio, don Titta, ha lasciato l'aula visibilmente scosso. Naturalmente commosso ed esultante Giuseppe Ficarra che, finalmente, si è liberato dall'incubo dell'ergastolo.
Come sempre, insufficienza di prove
La negativa valutazione che Mario Francese, alla luce della sua profonda conoscenza dei fatti, era giunto a formulare sulla personalità di don Agostino Coppola, e le perplessità suscitate dalla sentenza di assoluzione del sacerdote dall’imputazione di concorso nel sequestro dell’ing. Cassina, emergono con chiarezza dal seguente articolo, apparso sul "Giornale di Sicilia" del 3 gennaio 1978:
Padre Coppola. Il sacerdote avventuriero
Sacerdote, avventuriero o mafioso? Sono gli interrogativi che, a tutti i livelli dell'opinione pubblica, ha proposto uno dei più singolari personaggi di quest'anno: padre Agostino Coppola.
Coinvolto nell'anonima sequestri capeggiata, a Milano, da Luciano Liggio, per oltre cinque milioni "sporchi" sequestrati nella sua abitazione di Cinisi, e condannato a 14 anni di reclusione per concorso in sequestri nel nord, padre Agostino Coppola ha tenuto banco, nella prima e nella seconda sezione della Corte di Assise di Palermo, nell'aprile e nel luglio scorsi. Condannato dalla prima a 6 anni e mezzo di reclusione per un'estorsione all'allevatore di Piano Zucco, Francesco Randazzo, don Agostino è stato clamorosamente assolto per insufficienza di prove dal concorso nel sequestro dell'ing. Luciano Cassina.
Un’assoluzione dubitativa che non ha risposto agli interrogativi sulla vera personalità di questo singolare sacerdote che, nel momento in cui la Corte si ritirava in Camera di Consiglio per decidere sul suo destino, ha avuto offerta una compiacente mano dall'arcivescovo di Monreale mons. Corrado Mingo. Il presule nel momento meno opportuno, ma evidentemente più efficace, scrisse ai giudici un laconico biglietto: "Padre Agostino intervenne come mediatore per il rilascio dell'ing. Luciano Cassina per mio espresso incarico".
Né meno singolare il comportamento di padre Giovanni Aiello, il gesuita che passò la mano a don Agostino per il proseguimento delle trattative con i banditi. Il gesuita che, per solidarietà talare, avrebbe dovuto dare il suo contributo di verità, in aula, alla giustizia, all'invito della Corte ha risposto facendo perdere le sue tracce. Perché?
Ma non sono stati solo i ripensamenti di mons. Mingo e la sua decisione finale, né le "fughe" inspiegabili di padre Aiello a fare assurgere il processo a don Coppola a "processo dell'anno". C'è stato un tentativo di un giudice popolare di "adescamento" del pubblico ministero Signorino. Tra i giudici popolari inoltre ha fatto spicco un personaggio politico di Corleone.
Se è vera la sentenza di Milano che ha legato padre Coppola a Luciano Liggio, il primo cittadino di Corleone avrebbe dovuto avere il buon senso di rifiutare il delicato incarico di "giudice del popolo" in un processo, quello a don Agostino, che accostava questo sacerdote all'ex terribile primula di Corleone.
La sentenza in questione è quella della Corte di Assise di Palermo, presidente Leonardo Guarnotta, contro Salvatore Riina +9.
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