- Voti e tradizione. Per le destre Latina e provincia rappresentano la storia, una terra di consensi e radicamento. Ma quella è terra anche di mafia, di clan spietati e brutali, che non disdegnano di cercare imprenditori e politici.
- E nelle migliaia di pagine di carte giudiziarie ci sono anche intercettazioni e dichiarazioni che citano un senatore uscente di Fratelli d'Italia, che potrebbe ricandidarsi in quel territorio. Si chiama Nicola Calandrini che ha sempre respinto ogni addebito e non risulta indagato.
- Calandrini ha fatto battaglie identitarie, memorabile quella sul parco intitolato ad Arnaldo Mussolini, il fratello del duce Benito, il dittatore che ha trasformato l'Italia negli anni venti in un regime sanguinario.
Voti e tradizione. Per le destre Latina e provincia sono luoghi storici di consensi e radicamento. Ma quella è terra anche di mafia, di clan spietati e brutali, che non disdegnano di cercare imprenditori e politici.
E nelle migliaia di pagine di carte giudiziarie che hanno interrotto carriere e portato alla sbarra consiglieri regionali ed ex deputati, ci sono anche intercettazioni e dichiarazioni che citano un senatore uscente di Fratelli d’Italia, che potrebbe ricandidarsi in quel territorio, Nicola Calandrini. Lui ha sempre respinto ogni addebito e non risulta indagato.
Nell’area pontina, a sud della capitale, i clan più potenti hanno origini nomadi: si chiamano Travali e Di Silvio, legati ai più noti Casamonica di Roma. I Di Silvio sono un’affidabile macchina di consensi, un’agenzia criminale di servizi.
I voti a Calandrini
Nicola Calandrini arriva in Senato nel marzo 2019 da subentrante dopo anni di gavetta. Ha fatto battaglie identitarie, memorabile quella per difendere il parco intitolato ad Arnaldo Mussolini, il fratello del dittatore Benito.
«Falcone e Borsellino sono due eroi della nostra società, ma questo metodo è divisivo, c’è stata una forzatura nel voler cancellare la storia. Ma la storia non si cancella», diceva Calandrini.
Inizia nella sua Latina come consigliere comunale sotto la bandiera di Forza Italia, passa nel partito di Giorgia Meloni nel 2013.
Prova a candidarsi alla regione, ma senza successo e, in quell’occasione, avrebbe ricevuto i voti del clan.
«Le persone i cui voti erano assicurati venivano convinte anzitutto perché noi eravamo il clan Di Silvio ed inoltre io mettevo i bigliettini con il nome del candidato in una busta ed alcuni soldi, circa 150 euro (...) Dovevamo sostenere anche lei (Gina Cetrone, ndr) per quel periodo elettorale, ma poi la tradimmo perché su richiesta di Maietta dirottammo i voti in favore di Nicola Calandrini; erano le elezioni del 2013», dice il pentito Agostino Riccardo, interrogato nel febbraio 2021.
«Non posso escludere che Pasquale Maietta nel 2013, quando io ero candidato alla regione e lui alla Camera in Fratelli d’Italia nello svolgere campagna elettorale per lui, abbia richiesto a terzi di votare per me alle regionali. Ma il mio consenso elettorale e i voti raccolti sono perfettamente riconducibili a un elettorato storico e consolidato nel tempo in modo trasparente», replica il senatore.
All’epoca Maietta, che poi diventa deputato e tesoriere alla camera di Fratelli d'Italia, non era ancora stato travolto dalle inchieste giudiziarie che lo porteranno fuori dal partito.
Ma il collaboratore parla anche delle comunali del 2016. «Sempre nel 2016, tramite Franco Cifra (non indagato, ndr), abbiamo dato una mano ad Andrea Fanti (non indagato, ndr) che era candidato con Nicola Calandrini, che tuttavia non vinse le elezioni poi vinte da Coletta, una brava persona», dice il boss pentito Riccardo.
L’intercettazione
C’è anche un’intercettazione che racconta il sostegno al candidato sindaco, poi sconfitto.
È l’11 giugno 2016, pochi giorni dopo il primo turno delle comunali a Latina, al ballottaggio andranno il civico Damiano Coletta e Nicola Calandrini, sostenuto dal centrodestra. Al telefono ci sono il boss Riccardo, che poi diventa collaboratore di giustizia, e Simone Di Marcantonio.
Quest’ultimo, nel 2018, viene nominato sindacalista dell’Ugl da Claudio Durigon, il plenipotenziario di Matteo Salvini a Latina, ex sottosegretario all’Economia.
Di Marcantonio, nell’ottobre scorso, è stato arrestato per estorsione aggravata. Cosa si dicevano al telefono? Prevedevano la vittoria di Coletta, ma tifavano Calandrini.
«Speriamo che vince Calandrini», dice il boss Agostino. «Dai, dacce una mano, bastardo», dice Di Marcantonio, ridendo.
E Riccardo ribatte: «E chi so, Dio in terra». Poi commentano la sconfitta e si rammaricano perché se avesse vinto Calandrini sarebbero stati eletti i loro amici.
Tra i sostenitori di Calandrini alle comunali del 2016 c’è anche l'imprenditore Raffaele Del Prete che lavora per l’elezione di Matteo Adinolfi, oggi parlamentare europeo della Lega e ancora indagato (si dice totalmente estraneo alle accuse) per scambio elettorale politico mafioso proprio con Del Prete che è già a processo.
L’imprenditore avrebbe pagato i Di Silvio per procacciare voti da dirottare ad Adinolfi. «Calandrini vince», diceva Riccardo a Del Prete pochi giorni prima del voto per le comunali, ma è andata diversamente.
Le risposte di Calandrini
«Non ho mai conosciuto Agostino Riccardo. Fanti era uno dei 150 candidati consiglieri. Io mi sono accertato che non avessero precedenti penali, non potevo certo andare a verificare i rapporti di ciascuno. Per le affissioni mi sono affidato a una ditta con regolare contratto. I clan sono un cancro da combattere», dice Calandrini.
Conosce Raffaele Del Prete? «Certo, era un sostenitore attivo di Noi con Salvini, lista che era parte della coalizione che appoggiava la mia candidatura a sindaco e pertanto il suo sostegno alla coalizione era ovvio». Calandrini non è stato mai indagato, ma boss e imprenditori vicino al clan facevano il tifo per lui.
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