- I clan e la Lega. E favori in cambio di voti. Con qualche ipocrisia di fondo, come racconta il collaboratore di giustizia nei suoi interrogatori ai magistrati. È quanto emerge dall’inchiesta sulla compravendita di voti dal clan Di Silvio, egemone a Latina e provincia e legato ai Casamonica.
- «Ridevamo perché Salvini andava contro i Casamonica e poi noi zingari facevamo la campagna per la sua lista». È quanto racconta agli investigatori Renato Pugliese, trentenne, figlio del boss Costantino Di Silvio, da tutti conosciuto come “Cha cha”.
- L’indagine si riferisce alle amministrative del 2016. Tra gli indagati l’europarlamentare della Lega Matteo Adinolfi, a Bruxelles dalle ultime elezioni del 2019, ma prima consigliere comunale nel capoluogo di provincia laziale.
I clan e la Lega. E favori in cambio di voti. Con qualche ipocrisia di fondo, come racconta il collaboratore di giustizia nei suoi interrogatori ai magistrati. È quanto emerge dall'inchiesta sulla compravendita di voti dal clan Di Silvio, egemone a Latina e provincia e legato ai Casamonica, condotta dalla direzione distrettuale antimafia della procura di Roma. L'indagine si riferisce alle amministrative del 2016. Tra gli indagati l'europarlamentare della Lega Matteo Adinolfi, a Bruxelles dalle ultime elezioni del 2019, ma prima consigliere comunale nel capoluogo di provincia laziale. Insieme a lui ci sono anche il responsabile della comunicazione e attuale commissario pro tempore del Carroccio a Latina Emanuele Forzan e l'imprenditore dei rifiuti Raffaele Del Prete.
L'ipocrisia del Capitano
«Ridevamo perché Salvini andava contro i Casamonica e poi noi zingari facevamo la campagna per la sua lista». È quanto racconta agli investigatori Renato Pugliese, trentenne, figlio del boss Costantino Di Silvio, da tutti conosciuto come “Cha cha”. Ha il cognome della madre, che non voleva che identificassero Pugliese con il clan egemone nella provincia laziale. Ma la vita del figlio si è intrecciata con le attività del padre fino a che non ha iniziato a collaborare con la giustizia nel 2016.
Pugliese spiega agli investigatori che l'atteggiamento di Salvini destava risate negli uomini del clan, in particolare dopo una cena con il leader della Lega, nella primavera del 2016, a Borgo Carso, a un quarto d'ora di auto da Latina. La campagna a cui fa riferimento è quella per le elezioni amministrative, in cui la Lega è stata presentata con il simbolo Noi con Salvini e sosteneva il candidato sindaco Nicola Calandrini, dal 2019 senatore di Fratelli d'Italia. Adinolfi venne eletto come primo dei salviniani, grazie a 449 preferenze. All'incirca la metà sarebbe però stato oggetto di compravendita, anche se Adinolfi nei quartieri sotto il diretto controllo del clan ha ottenuto 33 preferenze.
Nelle carte dell'inchiesta emerge infatti che l'imprenditore dei rifiuti Raffaele Del Prete pagato del clan Di Silvio per ottenere almeno duecento voti per lista Noi con Salvini e per Adinolfi nei quartieri di influenza del clan.
Voti e manifesti per i rifiuti
«Abbiamo fatto la campagna “Noi con Salvini” che ci pagava Del Prete perché se avessero vinto le elezioni l’appalto sui rifiuti sarebbe andato verosimilmente alla sua impresa». Renato Pugliese racconta ai pm l’interessamente di Del Prete in un interrogatorio del febbraio del 2017.
Del Prete non parla solo con il figlio di “Cha cha”, ma anche con Riccardo Agostino, un altro collaboratore di giustizia che negli ultimi anni ha parlato dei rapporti tra il clan Di Silvio e la politica nel pontino.
«Su Latina, tramite Raffaele Del Prete, presi il simbolo “Noi con Salvini” con tutta la coalizione.. tra le persone da votare c’era un commercialista di cui al momento non mi sovviene il nome anzi in sede di rilettura ricordo il suo nome Adinofi.. Del Prete voleva che questo commercialista fosse eletto a tutti i costi», dichiara Agostino nel luglio del 2018. «Del Prete è un corrotto da 15 anni amico intimo del Sindaco Carturan di Cisterna e di Di Silvio detto Lalla... mi mandò a chiamare tramite il suo segretario tale Manuele (Forzan, ndr). Ebbi un appuntamento al bar dello studio.. mi disse che era il referente per conto del partito di Salvini a Latina e mi chiede se potevo curare la sua campagna elettorale sapendo chi eravamo noi e chi ero io».
Agostino racconta la genesi e i termini dell’accordo: «Prima di propormi il lavoro mi disse che mi avrebbe fatto avere l’appalto, così chiamavano le campagne elettorali, ma né Armando Di Silvio né i figli si sarebbero dovuto presentare presso la sede del partito dicendomi che parlava con me per parlare con loro. In quell’occasione mi regaló 2mila euro dicendo.. io non ho problemi economici.. a me interessa solo che il partito di Salvini vinca le elezioni e che in ogni caso vinca il primo candidato della lista “Noi Con Salvini” Matteo Adinolfi».
Gli uomini del clan avrebbero dovuto anche l’attacchinaggio: «Del Prete poi aggiunse che voleva fare circa 20mila manifesti io risposi che ne volevamo 50mila...la garanzia veniva dal Clan Di Silvio nessuno si sarebbe permesso di coprire i nostri manifesti. Del Prete mi diede 5mila euro e andai a prendere i primi 10mila manifesti», spiega il collaboratore di giustizia.
Dei 45mila euro pagati da Del Prete ai clan, 30mila sarebbero stati dati in contanti e in due tranche per l’attacchinaggio, gli altri 15mila per i voti: «Gli ultimi giorni della campagna elettorale Raffaele Del Prete mi mando a chiamare e parlammo della compravendita dei voti., mi disse che gli interessava il primo candidato della lista (Adinolfi, ndr) e che avrebbe pagato dai 100 ai 150 euro a voto. Io gli promisi 200 voti sbilanciandomi», racconta Agostino.
La cena con Salvini e la foto della scientifica
Anche Pugliese, il figlio di “Cha cha”, riceve la visita di Del Prete. «Successivamente anche io l’ho incontrato, presso il bar Pontesilli, che era vicino la sede di “Noi con Salvini”». Parlano anche loro dei manifesti: «Del Prete disse che erano 30mila e tutta Latina doveva essere tappezzata». Il rapporto tra i due era così buono che Pugliese decide di presentarsi anche alla cena elettorale con Salvini, il 16 aprile 2016, vicino Latina: «Ci fu una festa a Borgo Carso, una cena elettorale per “Noi con Salvini”, dove arrivò Salvini. Per entrare occorreva un pass e andammo io Gianluca Di Silvio e Scignano quello più piccolo. Scaglione (identificato come Emanuele Forzan, ndr) ci ha dato i pass. In quell’occasione un poliziotto della scientifica ci riconobbe e voleva farci una fotografia... ma io gli ho detto che poteva farlo senza sotterfugi tanto tutti sapevano che stavamo lì a fare la campagna elettorale...». Insomma, gli uomini del clan non avevano motivo di nascondersi, nemmeno alle forze dell’ordine. Un appoggio manifesto, anche se notavano l’ipocrisia del Capitano: «Ridevamo in quanto Salvini andava contro i Casamonica e poi noi Zingari facevamo la campagna per la sua lista...».
Quel rapporto tra la destra ei clan nel pontino
Del Prete cerca l’appoggio della politica per far crescere la sua attività imprenditoriale nel mondo dei rifiuti. Non solo a Latina, ma anche a Terracina, città sul mare e negli ultimi anni feudo di Fratelli d’Italia: l’ex compagno di Giorgia Meloni, Nicola Procaccini, è stato sindaco per anni prima di trasferirsi a Bruxelles come europarlamentare. Racconta ancora Agostino: «Io incontrai Del Prete mi disse che mi avrebbe dato “l’appalto” sapendo che ci eravamo già occupati del l’affissione dei manifesti per altri candidati fra cui Giovanni Di Giorgi (sindaco di Latina dal 2011 al 2015, ora in Fdi, ndr) nel 2011, l’onorevole Pasquale Maietta (ex deputato e tesoriere di Fdi, ndr) e Gina Cetrone (anche lei ex Fdi, ndr) alle regionali del 2012 e le amministrative del 2016».
Del Prete avrebbe portato all’uomo del clan anche un altro politico, sempre della Lega e ora deputato, Francesco Zicchieri: «Incontrai a San Felice (Circeo, ndr) Del Prete con un candidato di Terracina, Zicchieri, che puntava al Parlamento. Quando lo incontrai lo salutai e lui rimase titubante facendomi capire che non aveva piacere di essere avvicinato in quel contesto. Tra l’altro della campagna di Zicchieri me ne dovevo occupare io, ma ciò non avenne perché avevo troppi “appalti”».
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