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Le indagini sul rogo del palazzone di via Antonini si concentrano sui pannelli che ricoprivano la facciata. Una copertura descritta come “difficilmente infiammabile e ignifuga” e corredata dall’apposita certificazione tecnica antincendio Uni En 13501-1, che è al contrario andata in fumo come fosse paglia o cartone.
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La società produttrice dei pannelli ignifughi, Alucobond, ha smentito categoricamente che il rivestimento esterno del palazzo fosse quello prodotto da lei. Bisogna capire se sono state rispettate le autorizzazioni e le norme. Dubbi anche sull’innesco delle fiamme.
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Per fortuna non ci sono stati morti, ma gli inquilini hanno perso tutto quello che avevano.
La notizia destinata ad aprire una breccia nel racconto del rogo del palazzone di via Gaetano Antonini a Milano arriva dalla Svizzera. Precisamente da Steinhausen, una piccola cittadina del canton Zugo dove ha il quartier generale la 3a Composites Holding, la divisione del gruppo Schweiter Technologies proprietaria del marchio Alucobond.
Ovvero quello dei pannelli in alluminio che ricoprivano la facciata del palazzo andata a fuoco in una manciata di minuti, di cui aveva per primo parlato l’amministratore dello stabile facendo riferimento preciso a quel materiale. Una copertura architettonica descritta come “difficilmente infiammabile e ignifuga” e corredata dall’apposita certificazione tecnica antincendio Uni En 13501-1, che è al contrario andata in fumo come fosse paglia o cartone.
La smentita
La società, in principio tedesca ma poi assorbita dal gruppo svizzero quotato alla borsa di Zurigo, ha smentito categoricamente che quel rivestimento esterno fosse Alucobond in una nota diffusa nel pomeriggio di ieri. «A differenza di quanto affermato da alcuni media, il pannello composito di alluminio utilizzato nella Torre dei Moro di Milano (il nome del palazzo bruciato, ndr) non era Alucobond prodotto da 3a Composites» si legge testualmente, laddove si sottolinea anche che la società è «consapevole» del ruolo fondamentale che i materiali da costruzione svolgono in materia di sicurezza, e «sostiene e avalla» normative chiare e rigorose per quanto riguarda la protezione e la sicurezza in caso di incendio.
Ma allora perché l’amministratore del condomino ha espressamente parlato alla stampa di Alumobond con buona dose di sicurezza nell’indicare proprio questo materiale per la copertura? Perché era quello che prevedeva, carte alla mano, il progetto della Moro Costruzioni approvato dal comune di Milano all’interno di un cosiddetto piano di recupero siglato nel 2006 dalla giunta guidata dall’ex sindago Gabriele Albertini? O per una sua personale convinzione, che potrebbe essere del tutto errata? Alla procura di Milano spetta ora il compito di far luce su questo punto e sui tanti altri che restano aperti all’apertura del fascicolo d’inchiesta per disastro colposo, il reato ipotizzato in questo momento.
I punti da chiarire
Per ora le indagini sono contro ignoti, dato che nessun soggetto è stato iscritto nel registro degli indagati. È ancora troppo presto, a detta degli investigatori. Prima di puntare la lente d’ingrandimento contro qualcuno bisogna far luce sui tanti interrogativi rimasti aperti.
Innanzitutto l’innesco dell’incendio: dai video girati dai residenti intorno al palazzo si individua facilmente l’appartamento al quindicesimo piano da cui si sono sprigionate le fiamme, ma un dettaglio emerso ieri renderà il lavoro dei vigili del fuoco non semplice. L’ipotesi circolata a poche ore dal disastro era quella di un corto circuito elettrico, ma il custode dello stabile ha riferito ai pubblici ministeri che indagano di aver trovato la corrente staccata quando, cinque giorni prima del rogo, è entrato nell’appartamento per annaffiare le piante in accordo con i proprietari in ferie in quel momento. Questo particolare potrebbe smentire quindi l’ipotesi del corto circuito, se le cose stessero effettivamente così.
Oltre alla dinamica dell’incidente bisognerà far luce poi su tutto ciò che ruota intorno alla costruzione del palazzo, per verificare se i materiali utilizzati siano esattamente quelli descritti nel progetto approvato – con il caso Alucobond che alza qualche sospetto che le cose non siano esattamente così – e se era in regola con le norme negli anni in cui è stato costruito, fino al taglio del nastro del 2011. Essendo più alto di 24 metri, secondo le normative in vigore è anche sottoposto verifiche dei vigili del fuoco, che devono rilasciare periodicamente il certificato di protezione antincendio. Dalle prime dichiarazioni sembra che questi certificati siano stati tutti rilasciati, ma andranno certamente verificati.
I problemi degli inquilini
Quel che è certo è che non sarà un percorso semplice per gli investigatori e per la procura che coordina le indagini. Il capitolo autorizzazioni, verifiche, controlli, disposizioni di legge, che ruotano intorno alla costruzione e manutenzione di un palazzo di quella taglia, poggia su una selva di leggi, regolamenti, decreti sulla sicurezza molto tecnici che hanno un comune denominatore molto italiano. Essere talmente stratificati e intrecciati da rendere lungo e difficile trovare il bandolo della matassa. Per poi magari arrivare a una triste verità: che certi materiali utilizzati per la costruzione, seppur infiammabili, fossero leciti in quegli anni e che quindi nessuna norma sulla costruzione è stata violata.
In realtà un decreto ministeriale del gennaio del 2019, concepito dopo il rogo della Grenfell Tower a Londra del 2017, con 72 morti tra cui la coppia italiana Gloria Trevisan e Marco Gottardi, riforma le norme antincendio focalizzandosi proprio sulle facciate dei palazzi, ma poi rimanda a leggi del 1984 per la sua applicazione.
Da qui si desume che si applicherebbe solo sulle nuove costruzioni e sulle ristrutturazioni delle facciate per oltre il 50 per cento della superficie complessiva. Ciò non toglie, però, che se anche una norma permetteva l’utilizzo di materiali potenzialmente infiammabili, questi avrebbero dovuto poi essere utilizzati. Le buone pratiche costruttive dovrebbero essere comunque un freno a certe soluzioni che possono rivelarsi disastrose.
E per fortuna che il disastro di via Antonini non si è trasformato in una tragedia con la morte di qualcuno. A farne le spese è stato, infatti, solo un cagnolino che non è stato possibile salvare.
Ma questo non vuol dire che i condòmini della Torre del Moro se la passeranno bene nei prossimi mesi.
Ieri c’è stata un’assemblea di palazzo nella quale si è cercato di fare il punto della situazione. È emerso che l’allarme anti incendio non è suonato mentre il fuoco si propagava, così come non avrebbe funzionato parte dell’impianto anti incendio. Tutte questioni sulle quali bisognerà confrontare le periodiche verifiche con la realtà dei fatti e comprendere cosa sia andato storto.
È stata lanciata anche una raccolta fondi e per aiutare gli inquilini quantomeno con le spese vive che dovranno sostenere. Il comune ha, infatti, assicurato alcuni alloggi per coloro che sono meno abbienti e hanno difficoltà a pagare un albergo. Interverrà in futuro anche la Reale Mutua assicurazioni, che ha assicurato il palazzo?
È ancora tutto da decidere. La società torinese ha affidato a un perito esterno il caso per fare luce sulle cause e decidere poi se e come risarcire i danni, ma la questione sarà lunga e complessa.
Nel frattempo il sindaco Beppe Sala, impegnato nella campagna elettorale, ha deciso di ricevere venerdì prossimo a palazzo Marino gli inquilini ora sfollati per ascoltare i loro bisogni. E poi si vedrà.
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