L’inchiesta verte sulla gestione e sullo smaltimento dei rifiuti delle concerie attive nella provincia tra Pisa e Firenze. Secondo gli inquirenti a smaltire i rifiuti erano aziende continuge alle cosche calabresi
La procura distrettuale antimafia di Firenze ha predisposto due avvisi di conclusione delle indagini preliminari riguardo le due inchieste paralelle Calatruria e Keu che hanno fatto emergere la contiguità di alcuni imprenditori con la ‘ndrangheta. In totale ci sarà una richiesta di rinvio a giudizio per 12 indagati nei confronti di Calatruria e di 26 indagati nel procedimento Keu riguardo lo smaltimento illecito dei rifiuti.
L’inchiesta Calatruria, «caratterizzata da novità sotto il profilo delle emergenze investigative per il distretto toscano» ha fatto emergere la continuità di alcuni imprenditori indagati con alcuni appartenenti alla cosca dei Gallace di Gaurdavalle. L’inchiesta Keu si è conclusa nei confronti di 6 persone giuridiche e 26 indagati tra questi ci sono: «imprenditori anche collegati all’articolazione di ‘ndrangheta dei Gallace di Guardavalle, esponenti politici e dirigenti di enti pubblici».
L’inchiesta Calatruria
Nell’ambito di questo procedimento già nell’aprile del 2021 sono state emesse cinque misure cautelari (quattro in carcere e una agli arresti domiciliari). Secondo il procuratore aggiunto Tescaroli, le indagini hanno consentito di far emergere «una propaggine ‘ndranghetista in fase di consolidamento, con individuazione della presenza sul territorio di esponenti di tale struttura mafiosa, proiettata a generare un regime di monopolio illecito nel trasporto degli inerti nella zona del Valdamo aretino, nonché di ricostruire l’impiego del metodo mafioso nella commissione di un’estorsione ai danni di un imprenditore di origine calabrese e in plurimi reati di illecita concorrenza con minaccia e violenza, finalizzati a estromettere e/o assoggettare alle proprie strategie commerciali gli altri imprenditori locali».
L’inchiesta Keu
Nel procedimento Keu gli investigatori ipotizzano una serie di reati nei confronti degli indagati tra cui «delitti di associazione a delinquere finalizzata alle attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e l’inquinamento ambientale, corruzione anche in materia elettorale e indebita erogazione di fondi pubblici ai danni della pubblica amministrazione, di falso e di impedimento del controllo da parte degli organi amministrativi e giudiziari».
La procura distrettuale antimafia ha mosso, inoltre, «la contestazione in ordine alla responsabilità degli enti per illecito amministrativo da reato commesso dai propri rappresentanti, direttori e preposti». Parte dell’inchiesta verte sulla gestione dei rifiuti e dei fanghi industriali prodotti nella provincia tra Pisa e Firenze.
Tra le persone raggiunte dall’avviso conclusioni indagini ci sono i vertici del consorzio dei conciatori locali, funzionari, dirigenti regionali e il consigliere regionale del pd Andrea Pieroni, accusato di aver presentato un emendamento alla legge regionale che eliminava una serie di obblighi per il consorzio. Gli imputati avevano dato vita a un sistema che alimentava lo smaltimento illecito dei veleni. Tra gli indagati non c’è solo anche la sindaca di santa Croce sull’Arno, Giulia Deidda, ma anche l’ex capo di gabinetto della presidenza Ledo Gori.
«Il comparto industriale della concia delle pelli – spiega il procuratore aggiunto Tescaroli – rappresenta un settore di particolare impatto ambientale la cui gestione illecita provoca conseguenze in termini di contaminazione dei siti e dei corpi ricettori nei quali vengono recapitati gli scarichi e dei suoli nei quali vengono riutilizzati i rifiuti, fittiziamente recuperati o sottoposti a procedure di gestione insufficienti. Gli esiti investigativi inducono a ritenere che il meccanismo costruito che avrebbe dovuto assicurare un riciclo praticamente totale dei rifiuti prodotti dal comparto, con un conferimento in discarica sostanzialmente residuale, di fatto non raggiunge il risultato di ottenere un ciclo che recupera i rifiuti efficacemente e lecitamente». I rifiuti venivano smaltite da un’azienda che secondo gli inquirenti aveva rapporti con le cosce di ‘ndrangheta.
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