Due degli arrestati hanno incontrato il presidente della regione Giani in campagna elettorale, chiedendo la nomina di Gori in cambio del sostegno elettorale. Giani non è indagato. Ma l’indagine sta scuotendo il partito in regione
- Ledo Gori, capo di gabinetto di Eugenio Giani, presidente della regione Toscana, è indagato per corruzione in un’inchiesta sul traffico illecito di rifiuti che coinvolge anche un imprenditore legato alla ‘ndrangheta.
- In effetti, ricostruiscono gli inquirenti, Gliozzi e Maccanti, finiti in carcere, durante una cena nel marzo 2020 e in successive visite elettorali nel comparto industriale, hanno fatto capire che la nomina di Gori a capo segreteria «era una condizione essenziale per avere il sostegno dell’associazione conciatori.
- Tra le figure a disposizione della cricca anche il consigliere regionale del Pd Andrea Pieroni, quest’ultimo indagato per corruzione perché avrebbe presentato un emendamento dietro la promessa di 2-3 mila euro
Ledo Gori, capo di gabinetto di Eugenio Giani, presidente della regione Toscana, è indagato per corruzione in un’inchiesta sul traffico illecito di rifiuti che coinvolge anche un imprenditore legato alla ‘ndrangheta. Nell’inchiesta viene citato, non indagato, anche lo stesso Giani perché due gli arrestati avrebbero chiesto e ottenuto la nomina di Gori a capo di gabinetto come garanzia del comparto conciario, in realtà, stando al lavoro degli inquirenti, come garanzia dell’associazione a delinquere che aveva in Gori un uomo fidato.
La nomina di Gori è fondamento del presunto patto corruttivo. «In particolare da Aldo Gliozzi, Piero Maccanti, Giulia Deidda, Alessandro Francioni e Franco Donati, veniva formulata la promessa a Ledo Gori di utilità di carriera, consistita nel fatto che sarebbe stato riconfermato nel suo incarico dirigenziale anche con il nuovo presidente eletto, promessa accettata dal Gori in cambio della sua incondizionata disponibilità a assecondare le richieste dei vertici del sodalizio criminoso in materia ambientale», scrive il giudice Antonella Zatini.
In effetti, ricostruiscono gli inquirenti, Gliozzi e Maccanti, finiti ai domiciliari, hanno incontrato durante una cena nel marzo 2020 e in successive visite elettorali nel comparto industriale, il presidente Giani. E gli hanno fatto capire al futuro presidente che la nomina di Gori a capo segreteria «era una condizione essenziale per avere il sostegno dell’associazione conciatori, dei suoi imprenditori consorziati e del bacino di voti che erano in grado di orientare, essendo il Gori il loro uomo di fiducia e gradimento», continua il giudice.
In effetti Gori veniva nominato capo della segreteria, con uno stipendio di 100 mila euro l’anno, il giorno dopo la proclamazione a presidente della regione Toscana di Eugenio Giani. Gori così ascolta le istanze del sodalizio, condiziona le scelte del direttore dell’agenzia regionale di protezione ambiente per evitare che vengano compiute scelte che compromettano i controlli compiacenti, palesando, in caso contrario, al direttore il rischio di rimozione dall’incarico.
Non solo, Gori è stato per diversi anni il regista di accordi contenenti prescrizioni derogatorie alle norme statali sugli scarichi. La sua condotta, illecita secondo gli inquirenti, inizia nel 2010 da quando è diventato capo di gabinetto, confermato con l’elezione di Giani. Gli indagati sono 19 persone, a 16 viene contestata l’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti contro l’ambiente, a partire dall’illecito smaltimento degli scarti della lavorazione conciaria fino all’inquinamento ambientale di corsi d’acqua. Per realizzare le finalità illecite, l’associazione avrebbe esercitato pressioni sulla pubblica amministrazione, a partire proprio dalla regione Toscana.
Le figure individuate e a disposizione sono il capo di gabinetto di Giani, ma anche il consigliere regionale del Pd Andrea Pieroni, quest’ultimo indagato per corruzione perché avrebbe presentato un emendamento, in materia di scarichi e autorizzazioni ambientali, del quale «non conosceva il contenuto tecnico (…) dietro la promessa di 2-3 mila euro da erogarsi in concomitanza con la campagna elettorale delle elezioni regionali tenutesi nel settembre 2020».
Tra i coinvolti c’è anche l’imprenditore Francesco Lerose, indagato con l’aggravante di aver favorito la cosca di ‘ndrangheta Grande Aracri, alla quale sarebbe legato mantenendo un rapporto diretto con gli altri affiliati. Appartenenza che gli ha consentito di ricevere lavori in collaborazione con altre imprese riconducibili a cosche alleate come quella Gallace-Arena, lavori finalizzati a occultare e smaltire illecitamente rifiuti.
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