- Luciana Lamorgese da ministro dell’Interno, sentita dai magistrati di Bergamo titolari dell’inchiesta sulla gestione della prima fase della pandemia, ha smentito clamorosamente Attilio Fontana, il presidente della regione Lombardia indagato insieme ad altre 18 persone dalla procura bergamasca. È un fatto inedito che Domani è in grado di rivelare grazie ai verbali delle testimonianze agli atti dell’indagine.
- Il presidente rieletto alle ultime regionali ha continuato a ripetere anche dopo la notizia dell’indagine a suo carico che l’istituzione della zona rossa era competenza esclusiva dello stato centrale. Cioè solo il governo, secondo Fontana, poteva imporre la blindatura dell’area della Val Seriana, trasformato in focolaio mortale dalla lentezza delle decisioni politiche. «Non penso di poter prendere dei provvedimenti in contrasto contro il Governo e contro l’Istituto superiore di sanità, e se avessi emesso un’ordinanza, da chi l’avrei fatta eseguire? Non ho a disposizione né esercito, né Carabinieri, né la Guardia di Finanza: deve essere il Governo a dare ordine di intervenire», ha detto poche ore dopo la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini.
- Scopriamo che non è così e la sua versione è messa in discussione da chi all’epoca ricopriva nel governo un incarico primario. A smontare la narrazione leghista davanti ai magistrati di Bergamo è, infatti, l’ex ministra Lamorgese, sentita dai pm il 12 giugno 2020. Il verbale ottenuto da Domani è agli atti dell’inchiesta. Ecco il verbale di Lamorgese messo a confronto con quello di Fontana.
Luciana Lamorgese da ministro dell’Interno, sentita dai magistrati di Bergamo titolari dell’inchiesta sulla gestione della prima fase della pandemia, ha smentito clamorosamente Attilio Fontana, il presidente della regione Lombardia indagato insieme ad altre 18 persone dalla procura bergamasca. È un fatto inedito che Domani è in grado di rivelare grazie ai verbali delle testimonianze agli atti dell’indagine.
Il presidente rieletto alle ultime regionali ha continuato a ripetere, anche dopo la notizia dell’indagine a suo carico, che l’istituzione della zona rossa era competenza esclusiva dello stato centrale. Cioè solo il governo, secondo Fontana, poteva imporre la blindatura dell’area della Val Seriana, trasformato in focolaio mortale dalla lentezza delle decisioni politiche.
«Non penso di poter prendere dei provvedimenti in contrasto contro il governo e contro l’Istituto superiore di sanità, e se avessi emesso un’ordinanza, da chi l’avrei fatta eseguire? Non ho a disposizione né esercito, né carabinieri, né la guardia di Finanza: deve essere il governo a dare ordine di intervenire», ha detto poche ore dopo la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini.
Scopriamo che non è così e la sua versione è messa in discussione da chi all’epoca ricopriva nel governo un incarico di primissimo piano. A smontare la narrazione leghista davanti ai magistrati di Bergamo è, infatti, l’ex ministra Lamorgese, sentita dai pm il 12 giugno 2020. Il verbale ottenuto da Domani è agli atti dell’inchiesta.
Le accuse a Fontana
Nell’avviso di conclusione delle indagini, i magistrati contestano a Fontana due reati: epidemia e omicidio colposo in concorso con altri, tra cui Giuseppe Conte, all’epoca presidente del Consiglio, e Roberto Speranza, al tempo ministro della Salute. Ipotesi di reato, che andranno poi dimostrare e provate, e che l’avvocato Jacopo Pensa, legale del presidente, proverà a smontare pezzo per pezzo.
La tesi dell’accusa è che il presidente leghista della regione Lombardia, non decidendo di chiudere con una zona rossa i comuni della Val Seriana di Nembro e Alzano Lombardo, in provincia di Bergamo, ha in pratica lasciato circolare il virus liberamente che ha così potuto compiere la sua strage silenziosa. Dal reato di epidemia colposa, spiegano alcune fonti giudiziarie, è perciò derivato il secondo delitto di omicidio colposo.
Nell’avviso di conclusione delle indagini, i pm scrivono di Fontana che «in cooperazione con gli indagati e con Giuseppe Conte e in qualità di presidente della regione Lombardia ha omesso di adottare misure di contenimento e gestione adeguate e proporzionate all’evolversi della situazione e in particolare le misure corrispondenti all’istituzione di una zona rossa nei comuni della Val Seriana, inclusi i comuni di Alzano Lombardo e Nembro, nonostante avesse piena consapevolezza della circostanza che l’indice di contagio avesse raggiunto valore pari a 2, e che nelle zone ad alta incidenza del contagio gli ospedali erano già in gravi difficoltà per il numero di casi registrati e per il numero di contagi tra il personale sanitario».
Secondo gli inquirenti, perciò, Fontana «cagionava così la diffusione dell’epidemia da Sars-Cov-19 in Val Seriana mediante un incremento stimato non inferiore al contagio di 4.148 persone, pari al numero dei decessi in meno che si sarebbero verificati in provincia di Bergamo, di cui 55 nel comune di Alzano Lombardo e a 108 a Nembro, rispetto all’eccesso di mortalità registrato in quel periodo, ove fosse stata estesa la zona rossa a partire dal 27 febbraio 2020».
I verbali di Lamorgese
Nella testimonianza di Fontana davanti ai pm di Bergamo, svelata da Domani nei giorni scorsi, emerge una versione del presidente che contrasta con altri racconti di quei giorni da parte di altri testimoni sentiti dalla procura. Divergente persino da quella di Lamorgese, capo del Viminale che ha gestito l’ordine e la sicurezza pubblica nelle fasi delicate dei lockdown.
Quando i magistrati hanno ascoltato Fontana nel maggio 2020, in qualità di persona informata dei fatti, gli hanno chiesto: «Sulla zona rossa la presidenza del consiglio ha rappresentato che se la regione avesse voluto poteva istituirla in maniera autonoma, qual è la sua valutazione?».
Il presidente leghista senza alcuna esitazione ha tentato di scaricare sulla ministra le responsabilità: «Preciso che c’è stata una direttiva dell’8 marzo 2020 del ministro Lamorgese indirizzata ai prefetti che prevedeva che l’istituzione della zona rossa era competenza esclusiva del governo; è vero anche che il presidente della regione non ha a disposizione adeguate forze pubbliche per garantire l’esecuzione e il rispetto dei limiti alla circolazione delle persone nell’ambito di una zona blindata».
Tuttavia scopriamo dal verbale con le dichiarazioni di Lamorgese che le cose non stavano esattamente così. Nel documento, letto da Domani, l’allora ministra del governo Conte 2 rispondeva a Fontana così: «La direttiva che mi citate non parla mai di zone rosse o di loro istituzione. La direttiva che io ho inviato ai prefetti riguarda solo aspetti relativi all’ordine e alla sicurezza pubblica, ferme restando le competenze specifiche delle regioni».
Lamorgese ai pm fornisce peraltro prova di quanto dice mostrando la pagina 4 della direttiva citata da Fontana a sua discolpa. Poi aggiunge: «Ove un presidente di regione avesse inteso disporre una zona rossa, non avrebbe ovviamente disposto delle forze di polizia, ma avrebbe dovuto chiedere l’intervento dello stato per il tramite del prefetto o del questore, come avvenuto in altri casi di cinturazioni dei comuni». Non solo, l’ex ministra spiegava anche che «un presidente di regione ove avesse voluto cinturare un comune avrebbe potuto individuare l’obiettivo del territorio da contenere in base ai dati epidemiologici».
Il problema però non si è posto. Perché Fontana non ha mai chiesto la zona rossa nonostante i dati già il 26 febbraio fossero drammatici in Val Seriana. Anzi, come raccontato, il 28 scriveva una mail alla protezione civile e al governo con cui chiedeva il mantenimento della misure blande già in vigore. Il presidente si è sempre difeso sostenendo che la regione non poteva agire in autonomia. Continua a ripeterlo.
Ma il verbale di Lamorgese non ha bisogno di un grande sforzo di interpretazione. Quindi o Fontana mente o ignorava la norma. Non sappiamo cosa sia peggio per chi come lui ha il compito di amministrare una regione e garantire la sicurezza dei cittadini.
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