L’assegnazione era ampiamente attesa, negli ultimi anni la strategia della FIFA è stata chiara: progressivamente in fuorigioco per riportare il torneo in Medio Oriente, 12 anni dopo l’esperienza del 2022 in Qatar. Il peso dell’accordo con il colosso energetico statale Aramco. Le proteste della federazione norvegese. Le critiche della stampa britannica.
È arrivato infine il momento dell’Arabia Saudita. Dopo la discussa edizione del 2022 in Qatar, tra dieci anni i Mondiali di calcio si giocheranno a Riad, nel paese che nell’ultimo periodo è diventato uno dei centri dello sport mondiale. Dal 2018 è la sede della Supercoppa italiana (con la sola eccezione del periodo della pandemia), dal 2020 della Supercoppa di Spagna, dal 2023 – con l’approdo di Cristiano Ronaldo all’Al-Nassr – ha iniziato ad attirare nel proprio campionato diversi nomi di prestigio. Ha ospitato il Mondiale per Clube nel 2027 avrà la Coppa d’Asia. Ha aperto alla Formula 1, si è preso le finali WTA di tennis, ha messo in piedi una Superlega di golf.
L’assegnazione ufficiale era ampiamente attesa: al Congresso della FIFA l’Arabia Saudita si presentava come unica candidata a ospitare il torneo. Un risultato frutto del lavoro diplomatico di Gianni Infantino che, come spiegato un anno fa dal New York Times, ha pilotato il processo di candidatura per arrivare ad avere un’unica proposta sul banco. In primo luogo c’è stata la scelta congiunta di Spagna, Portogallo e Marocco per l’edizione del 2030, che ha escluso in un colpo solo Europa e Africa dalla corsa per il torneo successivo. Poi è arrivata la scelta di disputare le prime gare del Mondiale del 2030 in Sudamerica, con la scusa del centenario della prima Coppa del Mondo in Uruguay. Considerando che nel 2026 la competizione si terrà tra Canada, Messico e Stati Uniti, tutte le Americhe si sono ritrovate fuorigioco per il 2034, e con il successivo ritiro dell’Australia l’organizzazione non poteva che essere affidata ai sauditi.
Come ricordato da Martyn Ziegler sul Times, il processo di avvicinamento della FIFA a Riad è iniziato però già nel dicembre del 2017, quando Infantino incontrò a Riad il re Salman e suo figlio Mohammad per discutere una possibile collaborazione. Il dirigente italo-svizzero era stato eletto a capo della FIFA poco più di un anno prima, e nell’ottobre successivo già riceveva l’appoggio del presidente della Federcalcio saudita Turki Alalshikh (che in precedenza aveva definito «un caro amico») per la riconferma alla guida dell’organizzazione. L’endorsement di Alalshikh era arrivato appena tre giorni dopo il brutale omicidio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, secondo la CIA ucciso su mandato del principe Mohammad bin Salman.
Il sigillo sul legame FIFA-Riad è stato apposto lo scorso aprile, quando l’organizzazione del calcio globale ha reso pubblico l’accordo con il colosso energetico statale Aramco come nuovo sponsor principale. Alla fine di novembre è stata anche pubblicata la relazione conclusiva sulla candidatura dell’Arabia Saudita, che ha ricevuto la valutazione più alta di sempre, evidenziando anche un rischio “medio” di violazioni dei diritti umani e addirittura “basso” in merito alla sostenibilità ambientale. Eppure un’inchiesta firmata da Pete Pattisson e pubblicata solo pochi giorni prima dal Daily Mail, veniva raccontata una situazione del tutto differente: i numerosi lavoratori migranti impiegati nei cantieri degli stadi già in costruzione sono costretti a turni da 10 ore sotto il sole, pagati il corrispettivo di circa 2 euro all’ora. Vivono in appartamenti squallidi e sovraffollati, e sono di fatto schiavi delle aziende saudite, costretti a lavorare per ripagare i debiti contratti per ottenere l’impiego. Come in Qatar, il sistema della kafala è stato smantellato solo in superficie. Secondo il Guardian, gli operai bengalesi a Riad muoiono al ritmo di 4 al giorno, e con il Mondiale i numeri rischiano di peggiorare.
A ottobre un centinaio di calciatrici hanno inviato una lettera alla FIFA contro l’accordo con Aramco, denunciando le violazioni dei diritti umani in Arabia Saudita. Al momento, questa è l’unica critica arrivata da chi il calcio lo pratica quotidianamente. A livello politico, solo la Federcalcio norvegese – che già era stata in prima linea, praticamente da sola, nel contestare i Mondiali in Qatar – ha annunciato il proprio voto contrario all’assegnazione del torneo del 2034. Dieci anni sono lunghi: per allora, una nuova generazione di calciatori, e probabilmente di dirigenti, si dovrà confrontare con il prossimo Mondiale della Vergogna.
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