- Questa è una nuova puntata dell’inchiesta sostenuta dai lettori di Domani: per approfondire e dare luce al tema del fare (o non fare) figli oggi in Italia.
- L’infertilità è una patologia definita scientificamente come l’assenza di concepimento dopo 12 mesi di rapporti sessuali non protetti, e oggi nel mondo colpisce una persona su sei
- La difficoltà a procreare “naturalmente” è ancor oggi vissuta come uno stigma: parlarne di più e a fare campagne di informazione e divulgazione aiuterebbe a conoscere meglio il tema e a demolire il tabù
Quando vi decidete a farci un nipotino? La domanda – raramente gradita – tradisce la convinzione diffusa che fare figli sia sempre una decisione: si sceglie di non usare più anticoncezionali e tac, dopo nove mesi arriva un bebè. Per molti in effetti è così.
Ma i figli mancati non sempre sono una questione di scelta: e non è detto che chi non ne ha non ne voglia, o che non stia provando ad averne. Silvia ci ha messo cinque anni e una lunga procedura di pma, la procreazione medicalmente assistita, con tanti cicli di stimolazione ovarica e infine la scelta della fecondazione in vitro, per diventare madre. Di una sola figlia, quando ne avrebbe desiderati tre. «L’ho sentita come una ingiustizia della vita» racconta. La sua difficoltà a restare incinta, scoperta solo dopo numerosi esami medici, era doppia: i suoi follicoli faticavano a trasformarsi in oociti, e gli spermatozoi nel liquido seminale di suo marito non erano abbastanza “energici”.
Cosa dice la medicina
L’infertilità è una patologia definita scientificamente come l’assenza di concepimento dopo dodici mesi di regolari rapporti sessuali mirati non protetti. «Questa definizione contiene un concetto molto importante: si scopre di essere una coppia infertile proprio nel momento in cui si tenta di avere un bimbo, magari dopo anni nei quali il problema era evitare un concepimento» sottolinea il ginecologo Andrea Borini. Oggi direttore del network 9.baby - GeneraLife che raggruppa dodici centri di pma in Italia, Borini è stato anche presidente della Sifes Mr, la Società italiana di fertilità e sterilità e medicina della riproduzione.
L’infertilità invisibile
Quando si inciampa nell’infertilità si è sempre impreparati. Forse che, quando andiamo a felicitarci con amici neo-genitori, pensiamo mai che il bebè possa essere nato grazie alla pma? Nei film, nelle serie tv che guardiamo, nei romanzi che leggiamo, accade mai che i figli dei protagonisti siano concepiti in laboratorio anziché in una notte di passione?
La verità è che la narrazione dell’infertilità non esiste, al di fuori di strette nicchie che parlano proprio di quello e che vengono frequentate da chi cerca storie in cui potersi riconoscere. Per tutti gli altri questa condizione resta invisibile: secondo alcuni dati raccolti dal Censis nel 2014 addirittura un 60% di italiani ammetteva di saperne “poco” o “nulla”. Di conseguenza anche quando si parla di calo delle nascite lo si fa partendo sempre dal presupposto che esso sia il frutto di una scelta arbitraria delle persone – faccio un figlio, non faccio un figlio – dimenticando che i corpi non sono tutti uguali. Non sono onnipotenti. E a volte il desiderio di fare un figlio non basta.
L’infertilità non è una malattia come un’altra – smuove equilibri profondi, l’impressione che il corpo ci tradisca, che non sia capace di funzionare a dovere nel suo più basilare compito, quello di riprodursi. Il senso di colpa verso il nostro partner, che stiamo “derubando” della possibilità di avere figli. L’elaborazione del lutto del sogno di una famiglia “facile”, in cui i figli vengono subito. Normalmente.
Una persona su sei è infertile
Eppure anche l’infertilità è “normale”. Lo è sempre di più: un report dell’Organizzazione mondiale della sanità uscito poche settimane fa attesta che nel mondo addirittura una persona su sei in età fertile è, in realtà, infertile. Nella sola Unione europea, secondo i dati della European Society of Human Reproduction and Embryology, sono ben 25 milioni le persone – di tutti i generi – che ne soffrono.
Non dovrebbe essere uno stigma, né un segreto. Anzi: «Parlarne il più possibile e cercare di fare in modo di normalizzare la condizione della coppia infertile sarebbe di aiuto» riflette ancora Borini: «Le coppie invece spesso si sentono sole: tendono a non condividere il percorso che stanno facendo nemmeno con gli amici o con la famiglia, perché, perfino oggi, sentono il peso dello stigma e si vergognano della impossibilità di avere un bimbo ‘naturalmente’».
Peraltro, il “grado” di fertilità di ogni persona non è scritto sulla pietra una volta e per sempre. La situazione può cambiare nel corso degli anni: come regola di base la fertilità diminuisce con il passare del tempo, ma può succedere anche che, una volta sbloccata una situazione magari grazie a un supporto medico, una coppia riesca a concepire “a sorpresa”. In ogni caso, per demolire il tabù è utile condividere e raccontare successi e insuccessi, storie a lieto fine e storie in cui la voglia di diventare genitori ha dovuto trovare un’altra forma, un’altra strada.
Prendersi cura della propria fertilità
Ê importante sapere che già prima di volere figli ci si può prendere cura della propria capacità riproduttiva: in maniera preventiva. Nel libro Il segreto della fertilità (Sperling & Kupfer) la ginecologa Stefania Piloni stila con la giornalista Simonetta Basso un “decalogo salva fertilità” spiegando il funzionamento di ormoni e vitamine sull’apparato riproduttivo, gli effetti negativi del fumo, dell’alcol, dell’inquinamento; l’aiuto che possono fornire la dieta più sana, rimedi naturali, integratori, l’agopuntura. Piloni, direttrice sanitaria dello studio medico milanese Ginecea, non nasconde che però uno dei fattori che giocano più a sfavore delle coppie è «lo spostamento in avanti dell’età in cui si cerca il primo figlio» che, «in particolare per la donna, diminuisce le chance di concepimento».
«Quando ho deciso di andare a fare una visita per capire perché non rimanevo incinta, il medico mi ha spiazzata dicendo Eh, guardi che lei signora non è più così giovane: ha già trentatrè anni!» racconta Sara: «Non c’è una grande consapevolezza di questa cosa. E già io ero avvantaggiata: la sorella di una mia cara amica aveva avuto problemi di questo tipo, e quindi sapevo che se dopo un annetto le cose non vanno bisogna iniziare ad informarsi. Ma pensavo: capiterà a una su mille”.
La proporzione invece, come visto, è uno su sei – tra cui anche Sara, diventata poi madre a trentacinque anni con la fecondazione in vitro: «La gente non lo dice: quelli che ne parlano sono in pochi, una punta dell’iceberg, e quindi se ne sa poco. Io, da che ho fatto questo percorso, ho cercato nel mio piccolo di fare informazione, sopratutto nel mio giro di amiche: e si è rivelato utile, perché a molte di loro poi è capitato».
In Italia, dove in media si fa tutto più tardi che nel resto d’Europa – l’uscita dalla casa dei genitori, l’ingresso nel mondo del lavoro, il lavoro stabile, l’indipendenza economica, e sì, anche i figli – definire non più tanto giovane una persona sotto i quarant’anni sembra una assurdità. Invece biologicamente è proprio così.
Infertilità e tasso di natalità
I problemi di fertilità, poi, hanno ramificazioni complesse. Capita che inneschino una crisi nella coppia: non a caso l’infertilità è indicata da alcuni studi come una delle principali cause di divorzio. A volte uno dei due desidera figli più dell’altro; oppure non si è d’accordo sul piano d’azione, sulla disponibilità a ricorrere alla medicina della riproduzione.
Il tasso di fecondità in Italia è bassissimo: solamente 1,25 figli per donna. Il “fertility gap”, cioè il divario tra figli desiderati (in media due) e figli avuti, è abissale. Ma quando si parla di questo tema non bisognerebbe mai dimenticare che parte del calo della natalità è involontario e dipende dall’infertilità.
Fare divulgazione e campagne di informazione, facendo conoscere anche le buone pratiche e le possibilità offerte dalla scienza (come per esempio il congelamento dei gameti), sarebbe già buon un passo avanti. Semplificare le procedure di accesso alla pma e ridurre le liste d’attesa nei centri pubblici. E sopratutto cominciare a decostruire il mito per cui fare figli è “facile”. C’è una minoranza silenziosa, sempre più numerosa, di persone che per fare anche un solo figlio deve combattere, ricorrere alla scienza, aspettare, spesso soffrire. Ed è ora che queste storie vengano alla luce, e abbiano spazio quando si parla di natalità.
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