I clienti dello Ior, la banca vaticana, nel 2023 erano 12.361, in «leggera diminuzione (-3,0 per cento)» rispetto al 2022, quando toccavano quota 12.759. È quanto si legge nell’ultimo bilancio dello Ior pubblicato nei giorni scorsi dal Vaticano. Si spiega anche perché: il calo della clientela sarebbe dovuto «alle chiusure d’ufficio operate dall’Istituto per motivazioni diverse quali ad esempio: il venir meno dei requisiti di titolarità; l’inosservanza delle norme contrattuali applicabili ai conti; il mancato utilizzo per protratti periodi di tempo e per la chiusura di conti di seminaristi o chierici rientrati nel proprio paese di origine».

Il tutto mentre si registrano 30,6 milioni di euro di utili netti, in lieve crescita rispetto ai 29,6 milioni dell’anno precedente; alle opere di carità, cioè alla Santa sede, sono andati però solo 13,6 milioni di euro. Sono lontani insomma i tempi in cui dallo Ior arrivavano nelle casse vaticane dai 50 ai 60 milioni di euro ogni anno; come si spiegava nell’ultimo bilancio: «l’obiettivo è quello di garantire alle opere di religione del Santo padre un dividendo annuale diretto e trasparente in linea con le ‘best practice’ delle banche europee. Parallelamente, la politica ha l’obiettivo di salvaguardare il patrimonio dello Ior e la sostenibilità della sua crescita nel lungo periodo».

Tutelare il patrimonio, ovvero primum vivere, o quantomeno prendere atto che si è concluso il tempo delle finanze allegre perché opache. Si tenga conto che lo Ior, dal punto di vista della gestione dei beni, è un istituto di dimensioni medio-piccole con i suoi 5,4 miliardi di «risorse affidate».

Clientela in calo costante

Tutto bene dunque considerando l’ormai lungo lavoro di assestamento finanziario dell’istituto, dovuto a un processo di riforma e di adeguamento agli standard di trasparenza internazionali dopo gli anni dell’opacità e degli scandali? Il presente in realtà è più contraddittorio di quanto non appia a prima vista, a cominciare proprio dalla clientela. Se, infatti, oggi i clienti sono 12.361, va pure ricordato come al 31 dicembre 2012 fossero 18.900 circa (6.539 in meno, un calo di oltre un terzo), un anno dopo, nel 2013, ne figuravano 17.419.

Si dirà che appunto uno degli aspetti della riforma era quello di “ripulire” la clientela della banca vaticana chiudendo i conti sospetti o che, per varie ragioni, non erano in regola con le nuove norme. C’è del vero anche in questo, naturalmente: nel bilancio dello Ior del 2013, redatto sotto la presidenza del tedesco Ernst von Freyberg, nominato da Ratzinger alla guida dell’istituto in extremis, a rinuncia del papato già annunciata ma non ancora effettiva, si leggeva: «Da maggio 2013 a giugno 2014 (von Freyberg lasciava l’incarico nel luglio del 2014, ndr), lo Ior ha sistematicamente controllato con attenzione tutti i dati dei clienti esistenti. Questo compito è stato ora completato con successo. Come risultato di questo processo di analisi, lo Ior ha terminato circa 3.000 rapporti con la clientela.

Di questi, 396 rapporti sono stati chiusi in seguito alla decisione di restringere la nostra clientela a istituzioni cattoliche, clero, dipendenti o pensionati del Vaticano con conti riservati a stipendi o pensioni, oltre ad ambasciate e diplomatici accreditati presso la Santa sede. In aggiunta sono stati chiusi circa 2.600 conti dormienti. Ulteriori 359 rapporti con la clientela sono in fase di chiusura». Una bella botta insomma, e una discreta eredità per il banchiere francese Jean-Baptiste de Franssu, chiamato dal papa a dirigere la banca vaticana al posto di von Freyberg.

Sta di fatto che, alla fine del 2016, lo Ior contava 14.960 clienti (erano 14.801 nel 2015), nel 2021 un altro lieve calo (14.519 clienti), e nel 2022, come abbiamo visto, un altro brusco salto all’indietro: si scendeva a 12.579.

Ma interessante nel bilancio del 2016 era la composizione della clientela, si leggeva infatti: «Quanto ai patrimoni affidati, il gruppo più significativo è quello degli ordini religiosi, che nel 2016 hanno costituito più della metà dei nostri clienti (54 per cento), seguiti da dicasteri della curia romana, uffici della Santa sede e Stato Città del Vaticano e nunziature apostoliche (11 per cento), enti di diritto canonico (9 per cento), cardinali, vescovi e clero (8 per cento), dalle conferenze episcopali, diocesi e parrocchie (8 per cento); il gruppo restante è formato da vari soggetti, tra cui dipendenti e pensionati del Vaticano e fondazioni di diritto canonico».

Nel bilancio 2023, appena pubblicato, si apprende che il 48 per cento dei clienti è composto da ordini religiosi e congregazioni, ben il 28 per cento da uffici della Curia e da nunziature, seguono poi le altre voci, fra cui «cardinali, vescovi e clero (7 per cento), e dipendenti e pensionati vaticani (6 per cento)».

Sempre più “vaticana”

Sembra insomma che lo Ior lavori sì al servizio della chiesa universale, ma in proporzione stia crescendo e di molto la quota di clientela più strettamente vaticana. La cosa ha una sua logica: vista l’inarrestabile diminuzione dei clienti appartenenti alla chiesa di missione, e considerate le numerose chiusure dovute alle regole sulla trasparenza finanziaria, è stato compiuto uno sforzo per allargare almeno i clienti interni alla cittadella vaticana o chi lavora a livello diplomatico alle sue dirette dipendenze.

D’altro canto perché un’università cattolica, un seminario, una congregazione femminile dovrebbero scegliere lo Ior, una banca senza sportelli – tranne quelli in Vaticano – sottoposta a regole tutte sue per gli investimenti finanziari? E, per quanto il papa abbia deciso di affidare la gestione di tutte le finanze d’Oltretevere allo Ior, non sembra che fino a ora la cosa abbia dato risultati straordinari; lo stesso de Franssu osservava infatti in una recente intervista a Milano finanza: «Il processo è avviato e lo Ior supporta pienamente la direzione stabilita da Papa Francesco. In ogni trasformazione come questa, di grande impatto, ci sono sempre alcune resistenze».

Già, e non è bastata la grancassa mediatica del processo Becciu, che ha accelerato il trasferimento delle risorse finanziarie della Segreteria di Stato nelle mani della banca vaticana, a cambiare radicalmente le cose.

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