Roberto Jonghi Lavarini, neofascista della destra milanese, nel 2018 sfiorò l’elezione con Fratelli d’Italia. Ora torna sull’inchiesta di Fanpage e accusa i vertici del partito di ipocrisia: «Li hanno selezionati loro, il 50 per cento dei giovani nel partito è così»
«Io sono l’unico che ha pagato e adesso pagano queste belle e brave ragazze, gli altri sono tornati tutti nei ranghi, hanno ottenuto quello che volevano, muti e a disposizione». A parlare è il barone Nero, al secolo Roberto Jonghi Lavarini, neofascista della destra milanese, che conosce tutti i dirigenti storici di Fratelli d’Italia, dove è stato candidato nel 2018 sfiorando l’elezione. Ma a chi si riferisce?
«Carlo Fidanza era contro le sanzioni alla Russia, voleva rivedere i trattati, i rapporti con la Nato, ora è diventato, come tutti i vertici di FdI, formalmente atlantista ed europeista. Fidanza è stato perdonato anche perché ha un grande seguito e poteva creare problemi la sua fuga dal partito», dice Lavarini.
Il barone nero ha la soluzione per i vecchi camerati come continua a chiamarli: «Non si può avere la moglie ubriaca e la botte piena. I vertici di FdI vogliono diventare conservatori e liberali? E allora via la fiamma dal simbolo, proclamazione di antifascismo e addio ai voti della destra estrema e dei fascisti come me», suggerisce Lavarini.
Il barone nero e Fidanza, nuovamente parlamentare europeo e capo delegazione di Fdi, sono stati i protagonisti del primo lavoro giornalistico di Fanpage, tra parole in libertà e misteriose lavatrici per finanziare la campagna elettorale (l’indagine penale si è chiusa con l’archiviazione). Oggi il barone nero assiste da epurato, dopo la pubblicazione di quei filmati, alla nuova sequela di frasi ributtanti pronunciate da esponenti delle sezioni giovanili di Fratelli d’Italia.
«Parole vergognose? Nelle chat ognuno scrive quello che vuole, alcune cose sono maleducate, raccontano ignoranza, ma i provvedimenti politici non si possono basare su battute fatte in chat o in riunioni di partito. La situazione comunque è la stessa in ogni provincia, non è un’esagerazione dire che il 50 per cento dei giovani nel partito è così e anche un terzo dei dirigenti che io ho conosciuto».
Il barone nero dà i numeri, ma racconta di certo una tendenza. «Questi sputano sui loro giovani, quelli che loro hanno allevato, che loro hanno accuratamente selezionato. E non si erano accorti di niente? Le giovani fuori dal partito e Fidanza, La Russa, Lollobrigida (sostituzione etnica e omaggio al sacrario del gerarca Graziani, ndr) ancora dentro solo perché depositari di conoscenza e tenutari di segreti?».
Il barone è arrabbiato perché tra le tre giovani dirigenti dimissionarie c’è Elisa Segnini che Lavarini conosce molto bene: «È una nostra consocia, il padre, Alessando Segnini, è stato consigliere comunale del Movimento sociale italiano a Bergamo, tradizione neofascista e missina. Lei è una ragazza intelligente e brava, ha sfiorato l’elezione a Bergamo e ora viene trattata così. Le ragazze si sentono bastonate, tramortite, tradite dai dirigenti e dal partito che hanno servito. “Ci sacrificano per la loro carriera”, dicono. La delusione è tanta e si allarga nella base militante giovanile, ho ricevuto messaggi che raccontano un profondo disgusto», dice il barone.
Lavarini ricorda i tempi andati quando nei brindisi le battute ricorrenti erano simili, «me li ricordo quelli che oggi fanno la morale cosa dicevano, ci chiamavamo camerati, veniamo da quella storia lì. Meloni ogni tanto frequentava Milano, per noi era la camerata Meloni non certo suor Giorgia, noi veniamo da quella storia lì. Qualcuno ha cambiato posizione per convenienza, altri restano legati a quell’impianto ideologico, ma tacciono per amore del potere. Rispetto Guido Crosetto che è sinceramente filoeuropeista e atlantista, di certo ha interessi visto che si è sempre occupato di fare il consulente nel settore delle armi», dice il barone.
Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha duramente condannato il contenuto emerso dai filmati, ma Lavarini fa l’esegeta del suo pensiero. «Lui ha un ruolo istituzionale, la sua dichiarazione è ineccepibile e in linea con la sua storia e con il busto del duce sul comodino», dice il barone che si diverte a provocare. In che senso? «Nelle sue parole non troverà una condanna al fascismo, ma al razzismo e all’antisemitismo e sono d’accordo anche io. Non la troverà perché non può rinnegare la sua storia, la storia della sua famiglia, di suo padre che io ho avuto l’onore di conoscere, sono stato ospite in casa sua in Sicilia».
Il barone ne ha per tutti, anche per il deputato e uomo macchina del partito, Giovanni Donzelli. «Peggio dei giornalisti sono certi esponenti di Fratelli d'Italia come Donzelli che invece di difendere i loro dirigenti giovanili, subito li scaricano come inutile zavorra. Noi, invece, crediamo ancora nella lealtà e nel cameratismo, e ci fanno più schifo i codardi traditori dei nostri nemici».
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