Il 19 gennaio un gruppo dell’esercito è volato a Tirana per le prime verifiche nelle località prescelte per realizzare i centri per migranti. Il viaggio organizzato nonostante la Corte dell’Albania non si sia ancora pronunciata sulla legittimità dell’accordo Rama-Meloni
Il governo Meloni non arretra sui centri per migranti in Albania. Domani può, infatti, rivelare che ieri personale dell’esercito è volato a Tirana per i primi sopralluoghi nelle località individuate nell’accordo con l’esecutivo di Edi Rama. Un’accelerazione curiosa visto che la Corte costituzionale albanese, chiamata in causa dai partiti di opposizione anti Rama, non si è ancora pronunciata sulla loro legittimità. Il 18 gennaio, infatti, l’udienza è terminata con un nulla di fatto: rinviata al 24 gennaio in attesa di nuovi elementi che verranno depositati dal governo albanese. Evidentemente, nonostante lo stallo ufficiale, Meloni è certa del via libera definitivo nelle prossime settimane. Dunque meglio mettersi avanti con i sopralluoghi così da poter cominciare il prima possibile i lavori per la costruzione di due centri sul territorio albanese. Qui verranno “spediti” i migranti salvati da navi italiane in acque internazionali. La stima è di inviarne circa 3mila al mese.
Intanto sul fronte italiano il disegno di legge di ratifica dell’accordo, approvato dalle commissioni parlamentari, è atteso in aula alla Camera a partire da lunedì 22 gennaio.
I due sopralluoghi
Il gruppo dell’esercito volato in Albania andrà a verificare lo stato dei luoghi sui quali dovranno sorgere le nuove strutture: un hotspot verrà realizzato a Shëngjin sulla costa, nel nord del paese, la fine dei lavori è prevista in 120 giorni; un centro di accoglienza, invece, sarà operativo a Gjadër a una ventina di chilometri nell’entroterra.
Dalle informazioni ottenute da Domani, le strutture volute dal governo Meloni saranno entrambe di nuova realizzazione. La loro costruzione è già stata affidata al 3° Reparto Genio dell’Aeronautica Militare di Bari.
I costi per la costruzione delle strutture d’oltremare rimangono però un mistero. Tajani lo scorso dicembre ha precisato che saranno meno di 200 milioni. Un parametro utile per il confronto può essere la cifra stanziata per i nuovi cpr italiani: il governo ha messo già a disposizione una cifra totale di 150 milioni.
I cpr in Italia
Oltre all’operazione albanese, è in fase di attuazione il piano per i nuovi cpr italiani, da costruire ex novo. Un primo progetto, svelato da questo giornale, prevedeva la realizzazione di strutture circolari, sul modello carcerario del Panopticon, che permette di controllare ogni singolo detenuto.
Il Panopticon come simbolo di controllo e oppressione destinato a un sistema che non dovrebbe essere detentivo, perché le persone verranno trattenute non per aver commesso un reato ma per non avere un permesso di soggiorno. Ma per la detenzione amministrativa il governo di Giorgia Meloni ha progettato moduli abitativi da blindare come «celle di sicurezza».
La lista dei luoghi
Dall’elenco iniziale sono però scomparse alcune località, come Ferrara, dove il sindaco leghista Alan Fabbri si era detto disponibile ad aprire il suo territorio a un nuovo cpr. Fabbri sosteneva che la maggiore presenza di forze dell’ordine avrebbe portato più sicurezza in città, scontrandosi però con opposizioni, società civile e arcidiocesi, che ha preso posizione contro la realizzazione di un luogo di violazione dei diritti umani e di una «città carcere».
Rimane invece nella lista interna all’amministrazione Castelvolturno, dove il sindaco di Fratelli d’Italia Luigi Petrella si era detto pronto a realizzare alleanze contro il governo guidato dalla leader del suo partito. Confermato Catanzaro, in Calabria, e uno in Liguria a Diano Castello, in provincia di Imperia. Una nuova località è poi Marsala, che diventerebbe il terzo cpr siciliano, con il centro di Caltanissetta e di Trapani già funzionanti, in contrasto con quanto previsto dal governo che aveva annunciato un centro per rimpatri in ogni regione, «da realizzare in zone scarsamente popolate e facilmente sorvegliabili».
Rispetto ai progetti di fattibilità rivelati da Domani a ottobre, il numero di strutture si è ridotto a sei nuovi centri e due in ristrutturazione: Milano e Torino. Qui i lavori risultano già avviati. Nel capoluogo piemontese è all’opera il Primo reparto infrastrutture di Torino, a Milano il Primo reparto Genio dell’Aeronautica militare di Villafranca.
Due strutture al centro delle cronache anche recenti. Il centro di Torino è infatti stato chiuso a marzo 2023. Teatro di suicidi, abusi e reso inagibile dalle proteste dei trattenuti contro le condizioni di vita all’interno. Il cpr di Milano invece è stato sequestrato poche settimane fa d’urgenza e commissariato dalla magistratura con l’accusa nei confronti dell’ente gestore di frode nelle pubbliche forniture e turbativa d’asta, per il cibo scadente e maleodorante, servizi sanitari, legali e di mediazione assenti.
Tempi e finanziamenti
Solo per la realizzazione e la ristrutturazione di queste otto strutture il governo ha stanziato, confermano fonti qualificate, 150 milioni di euro. Si possono stimare, quindi, quasi 20 milioni di euro per ogni centro. Una cifra presumibilmente più bassa per i centri di Milano e Torino già esistenti, e più alta per la costruzione di edifici ex novo. A questi si devono aggiungere le spese di gestione. Secondo le stime del rapporto di Action Aid Trattenuti, dal 2018 al 2021, «il costo complessivo del sistema di detenzione per stranieri risulta essere di quasi 53 milioni di euro», si legge nel rapporto.
Se le ristrutturazioni sono iniziate, non si può dire lo stesso della consegna al genio militare dei moduli prefabbricati necessari per avviare le nuove strutture. Le fonti consultate da Domani a ottobre stimavano un periodo di almeno sei mesi per la produzione dei 100 moduli necessari per dare vita a un solo centro dei sei nuovi previsti. Impossibile, perciò, per il governo rispettare la tempistica di un anno, annunciata cinque mesi fa. Ci vorrà più tempo.
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