In casa Terzi-Raimondi si respira amore, ambizione e semplicità. Lei chiacchierona, lui di poche parole, genitori di un batuffolo di nome Edoardo nato lo scorso febbraio. È la famiglia record dello sport paralimpico, nessuno vanta più medaglie, 22 in totale, distribuite tra Tokyo 2020 e Parigi 2024.

Un bottino monstre in cui spiccano gli ori, cinque di Stefano e tre di Giulia. Nel soggiorno non ci sono medaglie in bella vista, spiccano solamente tre scatti incorniciati. «C’è la foto con il mio primo oro di Tokyo (100 rana), c’è Giulia con il suo oro nei 100 stile sempre in Giappone e poi una foto con il piccolo Edo e le dieci medaglie di Parigi», spiega Stefano che è stato l’uomo copertina alle ultime Paralimpiadi francesi: cinque ori, quattro individuali più quello nella staffetta mista (uomini e donne) 4x100 stile proprio insieme a Giulia. «Amiamo il low profile, non potremmo mai vivere in una casa di cimeli. E poi io ho ancora un piccolo trauma per colpa dei ladri», aggiunge lei. «Quando ero piccolina avevo una scatola con tutte le medagliette della ginnastica artistica, i ladri se le portarono via tutte».

La ginnastica artistica è stato il primo amore sportivo di Giulia Terzi, ventinovenne milanese di nascita ma bergamasca d’adozione (Arzago D’Adda) che convive con una scoliosi congenita in evoluzione.

G: Sin da quando avevo cinque anni ho dovuto fare la guerra con la mia condizione tra gessi, corsetti, piaghe aperte, tre interventi chirurgici di stabilizzazione vertebrale con il coinvolgimento del midollo. Una agonia. Nel 2018, a 23 anni, mi sono ritrovata in carrozzina e ho scoperto il nuoto.

Il nuoto è sempre stato, invece, nella vita di Stefano Raimondi, veronese di Soave che il primo gennaio 2025 compirà 26 anni.

S: Nuotavo a livello agonistico, facevo parte delle nazionali giovanili. A 15 anni, proprio la settimana dopo un campionato italiano, un incidente mi ha stravolto la vita, ero in motorino e di colpo sento un botto, mi ritrovo sotto un camion. Mi sono risvegliato in ospedale, i medici ipotizzavano l’amputazione della gamba sinistra che poi non è avvenuta.

Nutre ancora rancore per quel camion?

S: No, sono in pace con me stesso. Ai miei genitori avevo detto: voglio tornare a nuotare. Grazie a loro, e all’aiuto del mio allenatore dell’epoca Marcello Rigamonti, ho subito iniziato il percorso riabilitativo in acqua. Nel corso degli anni ho rifiutato qualsiasi intervento di miglioramento estetico della mia gamba, la voglio lasciare così. Io sono questo. Questa vita mi ha permesso di conoscere Giulia.

Il primo incontro durante un raduno della Nazionale prima dei Mondiali 2019. Non proprio un colpo di fulmine

G: All’inizio ci stavamo antipatici, capitava di scontrarci in alcune discussioni. Io parlerei anche con i muri, lui è più chiuso, deve prendere le misure prima di dare confidenza. Poi è scoppiato l’amore. Stefano è l’unico uomo che abbia voluto conoscere la vera Giulia, come persona, senza pregiudizi.

C’è un’ombra malinconica nel citare i pregiudizi. Eppure le Paralimpiadi di Parigi sono state un successo di audience. Con le vostre imprese sportive contribuite a dare l’esempio, aiutate la società a considerare la disabilità un valore, date voce ad un cambiamento epocale

G: Devo rendere merito alla Rai, al Comitato Paralimpico, alle Federazioni e alle società sportive che stanno investendo molto nella preparazione dei tecnici. Grazie ala visibilità adesso veniamo giudicati per il nostro valore e non per pietismo. Però diciamola tutta, c’è ancora parecchia ignoranza sulla disabilità. Ogni giorno assisto ad episodi che mi farebbero cadere le braccia se non fossi forte nel fregarmene.

Tipo?

G: Le faccio un esempio. L’altro giorno ero in giro con mia sorella e mio figlio per gli ultimi regali di Natale, in un negozio la commessa si intenerisce nel vedere Edo, pensa che la madre sia mia sorella, quando scopre che sono io…fa una faccia che è tutto un programma. Ripeto, io me ne frego ma in futuro vorrei tutelare Edo da qualche idiota che potrebbe ferirlo nel dirgli: tua madre è handicappata.

S: In tante cose siamo ancora indietro ma ci vuole tempo. Di sicuro la nostra rivoluzione silenziosa ormai è iniziata.

Dopo Tokyo lei, Stefano, ha lasciato casa sua, e la piscina di Verona dove si allenava con Thomas Ceccon, per trasferirsi da Giulia vicino a Treviglio. Una convivenza con il sogno di diventare subito genitori. Vostro figlio era in tribuna nella piscina di Parigi

S: Una gioia pazzesca. Lui è stato il mio stimolo più grande soprattutto per il primo oro nei 100 rana. Ero molto teso, ero il campione in carica, in finale ero entrato con il quinto tempo, il favorito era il francese Hector Denayer…

G: Io ero in tribuna, sembrava che La Dèfense Arena venisse giù, una bolgia, tutti tifavano per Denayer, ero quasi terrorizzata. E invece vedo Stefano che sul blocchetto di partenza si gasa…

S: Più gli spettatori urlavano più io scuotevo la testa come a dire: sì sì, applaudite pure lui. Sono partito fortissimo, la gara l’ho dominata, quel primo oro mi è servito, mi ha tolto un peso, ho cercato Edo sugli spalti e mi sono messo a piangere.

E lei Giulia, il ricordo di Parigi da neomamma?

G: Anche per me la prima gara è stata determinante, il bronzo nei 400 stile. Mi ripetevo: devo restituire a Edo la medaglia. In camera di chiamata piangevo per la responsabilità,

Ma la responsabilità se la metteva addosso lei da sola, da agonista autocritica? O c’entra il fatto che le hanno dato della pazza a voler gareggiare dopo la maternità?

G: A febbraio il parto mi aveva distrutto, un cesareo in anestesia totale proprio per la mia stabilizzazione vertebrale. Dopo 40 giorni sono tornata in acqua e dico: voglio andare alle Paralimpiadi, ci provo. Sono sempre stata monitorata dai medici, è stata una preparazione rigorosa. Qualcuno si era permesso di dirmi che ero egoista, ci ero rimasta male. Egoista per lasciare mio figlio durante le tre ore di allenamento? Senza sapere nulla dei nostri sacrifici, abbiamo rivoluzionato gli orari apposta con Stefano, alternandoci negli allenamenti, con l’aiuto dei nonni. Senza loro non ce l’avrei mai fatta. Lui come padre è spaziale, lo ha tenuto in braccio sin da subito perché io ero ancora sotto anestesia, il loro è un rapporto pelle a pelle, giocano in continuazione, mi commuovo a guardarli.

A proposito di commozione, la vittoria nella staffetta mista 4x100sl. Un oro da spiegare bene a Edoardo quando crescerà. Mamma e papà sul gradino più alto con tanto di record del mondo.

S: È stata la nostra gara. Io ho consumato quantità di fazzoletti, piangevo in continuazione prima della premiazione.

G: Quella vittoria racconta tanto del nostro amore. La frase che mi porto nel cuore è quando gli ho detto: “Stefano, ce l’abbiamo fatta. Insieme”.

Entrambi tesserati per le Fiamme Oro della Polizia. Entrambi laureati, Giulia in Scienze politiche con magistrale in Giurisprudenza, Stefano in Scienze motorie. Il futuro, quando smetterete di gareggiare?

S: Io ho appena preso il brevetto di allenatore paralimpico di nuoto. Mi piacerebbe poter essere un punto di riferimento per i ragazzi che si avvicinano all’agonismo, potendoli capire ma anche spronare.

G: A me non dispiacerebbe un ruolo dirigenziale, per contribuire allo sport del futuro, un modo per ricambiare ciò che il nuoto mi ha dato. Ma adorerei pure lavorare con i bambini.

Una famiglia dorata, con record di medaglie e tanto amore. Ma almeno un difettuccio reciproco?

S: Lei è golosissima. A volte devo nasconderle le barrette di cioccolato al latte.

G: La sua moto. Mi spaventa saperlo in giro. Ma non c’è verso di far cambiare idea al pilota…

© Riproduzione riservata