- La Corte penale internazionale ha emesso due mandati di arresto nei confronti di Putin e Maria Alekseyevna Lvova-Belova per deportazione illegale e trasferimento illegale di bambini dall’Ucraina alla Federazione russa. Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, ha dichiarato: «Le decisioni della Corte non hanno alcun significato per il nostro paese, nemmeno dal punto di vista legale».
- È vero che la Russia non ha mai ratificato lo Statuto di Roma, quindi non accetta la giurisdizione della Cpi, né ha l’obbligo giuridico di cooperare con essa. Ma il mandato della Corte si traduce comunque nella “condanna” di Putin a non muoversi dalla Russia.
- E il ruolo dell’Italia? Il governo ha eliminato i crimini contro l’umanità. Non se comprende il motivo, salvo ipotizzare che qualche esponente tema un’imputazione per crimini contro l’umanità riguardo, ad esempio, alla gestione dei migranti.
Il 17 marzo scorso, la Camera dei giudizi preliminari (Pre-Trial Chamber II) della Corte penale internazionale (Cpi), sulla base delle richieste della Procura, ha emesso due mandati di arresto nei confronti Vladimir Vladimirovich Putin e Maria Alekseyevna Lvova-Belova. Gli illeciti contestati sono il crimine di guerra di deportazione illegale e trasferimento illegale di bambini dall’Ucraina alla Federazione Russa, ai sensi dello Statuto di Roma (articoli 8.2.a.vii e 8.2.b.viii), e sarebbero stati commessi almeno a partire dal 24 febbraio 2022.
Nel comunicato della Corte si legge che ci sono fondati motivi per ritenere che Vladimir Putin, Presidente della Federazione russa, sarebbe personalmente responsabile per aver commesso tali crimini direttamente, congiuntamente con altri e/o attraverso altri (art. 25.3.a); per non aver esercitato un controllo adeguato sui subordinati civili e militari che hanno commesso gli atti, o hanno permesso la loro commissione, e che erano effettivamente sotto la sua autorità e il suo controllo (art. 28.b).
Anche Maria Alekseyevna Lvova-Belova, Commissaria per i diritti dei bambini della Federazione russa, sarebbe personalmente responsabile per aver commesso i crimini direttamente, congiuntamente ad altri e/o tramite altri (art. 25.3.a).
I mandati sono stati secretati per proteggere vittime e testimoni, nonché per salvaguardare le indagini. Tuttavia la Camera ha autorizzato la pubblica divulgazione della loro esistenza, del nome degli indagati e dei reati, al fine di prevenirne l’ulteriore commissione.
Le competenze della Corte
La Corte penale internazionale è l’organo giurisdizionale che si occupa dei crimini sovranazionali commessi da persone fisiche, non da stati, secondo quanto disposto dallo Statuto di Roma del 1998 (entrato in vigore nel 2002 e modificato nel 2010).
La giurisdizione della Corte si esercita nel caso di crimini compiuti sul territorio di uno “stato parte”, cioè che ha ratificato lo Statuto, o da un cittadino di uno stato parte. Né la Russia né l’Ucraina – che nel 2000 ha sottoscritto lo Statuto, senza poi ratificarlo - sono stati parte, ma quest’ultima nel 2014 ha accettato la giurisdizione della Corte (art. 12.3) per i crimini commessi dalla Russia sul proprio territorio; e nel 2015, a seguito dei fatti in Crimea, ha di nuovo accettato la giurisdizione, senza limite di tempo.
Pertanto, la Cpi ha competenza a giudicare sui crimini avvenuti in Ucraina.
Resta, tuttavia, escluso quello di aggressione (art. 8-bis). La Corte, infatti, può giudicare tale reato solo quando esso sia posto in essere da cittadini di uno stato parte o sul territorio di uno stato parte (emendamento di Kampala del 2010, entrato in vigore nel 2018), ma – come detto - né Russia né Ucraina sono Stati Parte. Per poter perseguire la Russia riguardo a tale crimine servirebbe un tribunale speciale.
La catena di comando
Lo Statuto di Roma «si applica a tutti in modo uguale senza qualsivoglia distinzione basata sulla qualifica ufficiale» e i capi di stato non godono di immunità (art. 27). Pertanto, la Corte deve valutare le responsabilità di ogni soggetto ai diversi livelli della catena di comando (art. 58).
I procedimenti giudiziari della Cpi possono protrarsi a lungo nel tempo: basti pensare che l’inchiesta sull’invasione russa dell'Ucraina nel 2014 è ancora in corso. L’attuale incriminazione verso Putin e Lvova-Belova ha, quindi, una forte valenza anche perché avvenuta in tempi particolarmente brevi rispetto al passato.
Ci si potrebbe chiedere perché sia stato emesso un mandato di arresto nei confronti di Putin solo per deportazione e trasferimento illegali di bambini, e non anche per tutti gli altri crimini per i quali la Corte dell’Aja sta indagando.
È possibile che per i reati sui bambini sia stato più semplice valutare la catena delle responsabilità e giungere all’incriminazione di Putin come soggetto cui fa capo l’ordine di realizzare le condotte illecite. Per altri reati può essere meno agevole determinare con una ragionevole certezza se siano stati commessi su ordine del presidente o per iniziativa di un qualche comandante in campo. Ciò soprattutto in mancanza di cooperazione dello Stato coinvolto, come nel caso della Russia.
Gli effetti a vita su Putin
A seguito della notizia del mandato d’arresto internazionale contro Putin, la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha dichiarato: «Le decisioni della Corte penale internazionale non hanno alcun significato per il nostro Paese, nemmeno dal punto di vista legale».
È vero che la Russia non ha ratificato lo Statuto di Roma, e quindi non accetta la giurisdizione della Cpi, né ha l’obbligo giuridico di cooperare con essa o consegnarle gli indagati per i crimini previsti.
Ma quanto afferma Zakharova è parziale, nonché distorsivo riguardo alle conseguenze della decisione.
Innanzitutto, è vero che il processo dinanzi alla Corte non può svolgersi in contumacia (art. 63), quindi Putin, come qualunque altro soggetto reputato responsabile, dovrebbe essere condotto fisicamente all’Aja per essere giudicato.
Ma per garantirne la comparizione al processo, a seguito del mandato da parte della Cpi, i 123 stati parte sono obbligati ad arrestarlo e consegnarlo alla giustizia, qualora lo trovino nel proprio territorio. Inoltre, la Corte «può presentare a qualsiasi Stato nel cui territorio è suscettibile di trovarsi la persona ricercata una richiesta di arresto e consegna (…) e richiedere la cooperazione di questo stato per l’arresto e la consegna di tale persona».
Questo significa che pure i paesi che non abbiano ratificato lo Statuto di Roma possono collaborare con la Cpi e concorrere all’arresto dell’imputato. In altre parole, anche in tali stati Putin non godrebbe comunque di totale impunità: qualora egli lasciasse la Russia per recarsi in un paese che non ha ratificato lo Statuto di Roma, potrebbe non essere comunque al sicuro.
Dunque, non è corretto affermare che il mandato della Corte dell’Aja non ha conseguenze per Putin: il rischio di essere arrestato in qualunque luogo si rechi fuori dalla Russia – ad esempio, se andasse al summit del G20 che a settembre si terrà a Nuova Delhi, in India, stato che non ha ratificato lo Statuto di Roma – sancisce una “condanna” per Putin a una sorta di “arresti domiciliari” a valenza statale.
E siccome i crimini di competenza della Corte non sono soggetti a prescrizione (art. 29), tale limitazione - se pure non si trasformerà in un arresto vero e proprio, e poi in un processo - è comunque destinata a durare a vita.
L’Italia e i crimini di Putin
Secondo lo Statuto «è dovere di ciascuno stato esercitare la propria giurisdizione penale nei confronti dei responsabili di crimini internazionali»: la Corte giudica tali crimini solo se lo stato parte non possa farlo.
Le leggi di molti paesi si sono conformate ai reati previsti dallo Statuto per consentire che gli autori fossero sottoposti a giudizio. Invece l’Italia non ha provveduto, nonostante la ratifica avvenuta nel 1999.
Nel marzo 2022 la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, aveva istituito una Commissione per «l’adattamento nel diritto interno della materia dei crimini internazionali» di cui allo Statuto di Roma.
Il disegno di legge relativo al Codice dei crimini internazionali è arrivato al Consiglio dei ministri il 16 marzo scorso. Il testo inserisce nell’ordinamento italiano il crimine di aggressione ed estende i crimini di guerra.
Ma, come si apprende dal comunicato di Palazzo Chigi, il governo ha eliminato i crimini contro l’umanità, riservandosi di approfondire il tema.
Non se comprende il motivo, salvo ipotizzare, come ha fatto in una intervista Chantal Meloni, professoressa di Diritto penale internazionale, che qualche esponente del governo tema un’imputazione per crimini contro l’umanità riguardo, ad esempio, alla gestione dei migranti.
In ogni caso, quest’eliminazione è un fatto molto grave, specie in un momento in cui l’Italia dovrebbe mostrarsi allineata alla comunità internazionale anche introducendo nel proprio ordinamento tutti i crimini connessi alla guerra voluta da Putin.
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