La regione guidata da Attilio Fontana ha lanciato l’allerta:
«Preparate i posti letto». Ma gli operatori sanitari, da Bergamo a Brescia, denunciano: «Manca organizzazione integrata », e dicono: «Rincorriamo il virus, come nella prima ondata, è inaccettabile»- La giunta di Attilio Fontana ha già allertato i direttori generali, gli istituti di ricerca pubblici e privati e le case di cura accreditate: «Preparate i posti letto», perché l’evoluzione del quadro epidemiologico è allarmante.
- «Sono davvero avvilito per come la regione sta gestendo la seconda ondata che colpisce soprattutto Milano», il messaggio del medico bergamasco.
- A Brescia la preoccupazione dei lavoratori degli Spedali Civili è quella di tornare come a marzo, con i malati positivi che intasano l’ospedale e i non-covid che scapperanno a farsi ricoverare nel privato convenzionato.
FOTO
LaPresse
Il virus non doveva più coglierci di sorpresa. Ma, sprecato il vantaggio, ora la seconda ondata fa paura quanto la prima. Il morale degli operatori ospedalieri è a terra. Soprattutto a Bergamo, là dove la pandemia ha fatto una strage. La strategia di Regione Lombardia di creare centri Covid all’interno delle strutture ospedaliere, quasi tutte pubbliche, suscita preoccupazione tra gli addetti ai lavori. Ancora una volta si ospedalizza il virus.
La giunta di Attilio Fontana ha già allertato i direttori generali delle agenzie regionali della salute e dell’emergenza( le Asst, Ats, Areu), gli istituti di ricerca pubblici e privati e le case di cura accreditate: «Preparate i posti letto» è il senso della lettera, perché l’evoluzione del quadro epidemiologico è allarmante.
In pratica l’indicazione per gli ospedali (anche quelli inizialmente esclusi dall’elenco dei 17 centri Covid) è tenersi i malati positivi senza trasferirli in altre strutture dedicate. Anche perché queste non ci sono. Così cresce il malumore, lo stress e l’angoscia di chi in ospedale trascorre dalle 10 alle 12 ore al giorno.
«Non ne posso più»
Le ragioni profonde di questo stato d’animo le descrive perfettamente il messaggio di un infettivologo del Papa Giovanni XXIII di Bergamo inviato pochi giorni fa a un collega rianimatore e che ci ha autorizzato a pubblicare: «Sono davvero avvilito per come la regione sta gestendo la seconda ondata che colpisce soprattutto Milano», il messaggio del medico bergamasco prosegue: «Da ieri (cinque giorni fa ndr) abbiamo avuto la notizia che la regione ci obbliga, come ospedale, ad avere 58 letti Covid più 24 di sub intensiva». E ancora: «Sul territorio la situazione è questa: nessun albergo, posti per subacuti ridotti da 1.200 a 1.000 in tutta la regione, medici di base che mandano in ospedale pazienti Covid per una visita infettivologica urgente anche se hanno solo una febbriciattola. Li mandano in malattie infettive anche se hanno la frattura del femore, l'appendicite acuta o l’infarto», scrive il medico, che esprime il suo malessere: «Davvero non ne posso più di questo schifo. Qui si sopravvive se l’organizzazione fila, se ognuno fa la sua parte: è inaccettabile che si arrivi adesso, dopo 8 mesi dall’esordio, senza uno straccio di organizzazione integrata fra territorio, ospedali periferici e ospedali ad alta specialità...Mi sento preso a calci: come professionista e come persona».
Sulle spalle del pubblico
Ad oggi in Lombardia possono diventare hub Covid (oltre ai 17 iniziali) solo quegli ospedali che hanno simultaneamente reparti di pneumologia, terapia intensiva e malattie infettive. Una convergenza che spesso manca al privato convenzionato. Il pubblico ancora una volta dovrà caricarsi tutto il peso dell’emergenza sanitaria. A Brescia, ad esempio, la preoccupazione dei lavoratori degli Spedali Civili, una struttura pubblica individuata da mesi come hub Covid dalla Regione, è quella di tornare come a marzo, con i malati positivi che intasano l’ospedale e i non-covid che scapperanno a farsi ricoverare altrove, molto probabilmente nel privato convenzionato.
Massimo Biagietti, operatore socio-sanitario del pronto soccorso di Brescia e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, conferma che al momento sta diminuendo l’afflusso di utenti con problematiche non covid, anche perché c’è un unico triage misto, senza percorsi puliti e percorsi cosiddetti sporchi: un deterrente non da poco. «Ad oggi il pronto soccorso è nelle stesse condizioni di marzo-aprile, abbiamo un ambiente che non è pensato per percorsi differenziati, ci sono corridoi dove passano tutti, abbiamo una tenso-struttura esterna, ma non si capisce perché da maggio sia in disuso invece di tenerla attiva per accettare tutti i casi sospetti. Arrivano pazienti positivi accertati anche da altre strutture, come dal milanese, che passano dal pronto soccorso con il rischio di mischiarsi con il resto dell’utenza. Le nostre richieste sono rimaste inascoltate e la nostra preoccupazione nasce dalla disorganizzazione della regione e della nostra direzione sanitaria».
Gabriella Liberini, delegata sindacale della Fp Cgil nel reparto di Neuropsichiatria degli Spedali Civili di Brescia dice: «Dentro al nostro ospedale mesi fa è stato presentato in pompa magna un progetto nella scala 4 che doveva diventare un padiglione dedicato ai malati covid, parliamo di 150 letti. I lavori non sono ancora iniziati: questo vuol dire che a oggi i pazienti Covid sono sparsi un po’ per tutto l’ospedale, una delle due rianimazioni e un reparto di medicina al sesto piano sono piene, la nostra proposta era quella di individuare un ospedale pubblico esterno in disuso o sotto utilizzato o una struttura modulare dedicata per preservare tutti gli altri malati non contagiati».
Questo punto nevralgico lo evidenzia anche Pietro Brambillasca, anestesista del Papa Giovanni XXIII di Bergamo, che rimarca: «In questi mesi non si è pensato a strutture modulari intermedie, non si è pianificato un intervento logistico straordinario. A marzo abbiamo scritto una lettera al New England Medical Journal chiedendo anche l’intervento di personale medico delle Ong per affrontare quella che è a tutti gli effetti una crisi umanitaria, perché la gestione ospedaliera con una filiera adeguata avrebbe prevenuto la catastrofe. Hanno messo i volontari negli ospedali da campo, non nelle strutture intermedie semplicemente perché non esistono. Oggi sul quel fronte siamo come a marzo: gli ospedali vanno a caricarsi di pazienti che avrebbero potuto essere gestiti diversamente. Questo stallo demoralizza il personale».
La tensione dentro agli ospedali lombardi è massima. Ora anche gli ospedalieri regionali iniziano a farsi sentire.«Stiamo rincorrendo il virus, ma con la seconda ondata questo non è più giustificabile», conclude Brambillasca.
© Riproduzione riservata