Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado sul processo Montante.


Con un primo atto di appello, proposto dall'avv. Taormina, la difesa censura la sentenza impugnata, sostenendo che la sua motivazione si adagia sui contenuti dell'ordinanza di custodia cautelare ed è condizionata da un atteggiamento di parzialità, in particolare dal pregiudizio di vedere nel Montante un mafioso travestito da antimafioso.

Dopo un'ampia ricostruzione delle attività svolte da Montante, ripresa ancora più analiticamente nelle pagine 47 e seguenti dell'appello a firma dell'avvocato Taormina a partire dall'anno 2005 e nelle pagine 19 e seguenti dell'appello a firma dell'avv. Panepinto (il quale prende le mosse dal periodo ancora precedente a cominciare dal 13 .2.1996 quando Montante viene eletto presidente dei Giovani industriali della provmcia di Caltanissetta), la difesa suddivide in due periodi la carriera dell'imprenditore in ambito confindustriale nel percorso legalitario di cui si è fatto interprete; quello che va dal 2005 al 2011, nel quale egli e il suo gruppo avevano posto le fondamenta per superare le condizioni asfittiche del mercato imprenditoriale siciliano, avviando il contrasto al racket e cominciando a promuovere i protocolli di legalità che coinvolgevano sia le imprese sia le istituzioni pubbliche, e quello che va dal 2011 al 2017 nel corso del quale il Montante aveva messo a frutto l'esito di quelle esperienze assumendo ruoli di rilievo e contestualmente ricevendo pieno credito da parte della magistratura delle forze dell'ordine e di tutte le istituzioni pubbliche.

La difesa evidenzia che nel primo periodo numerose furono le denunce pubbliche che videro protagonista Montante contro gli affari illeciti delle cosche nel territorio e sottolinea che nessuno mise m dubbio il suo impegno antimafia. Pertanto, poco credibile poteva essere la tesi, pure sostenuta dal giudice di primo grado, che finiva per asserire la trasformazione di un antimafioso in mafioso, proprio nel periodo nel quale maggiore credito veniva attribuito agli esiti della sua esperienza.

Nè poteva giustificarsi la continua sottolineatura, contenuta nella sentenza impugnata, del conseguimento di posizioni di potere da parte di Montante del suo gruppo, poiché l'assunzione di determinati ruoli non poteva che essere necessaria per portare a termine delle complesse e impegnative politiche di bonifica dalle infiltrazioni mafiose.

La difesa sottolinea l'unanime apprezzamento di cui godeva Montante presso le autorità pubbliche di più alto livello, presso gli organi di stampa e presso ampi settori dell'opinione pubblica, non senza sottolineare la sfrenata mediatizzazione della sua opera che faceva comodo a tutti, non solo a lui, trasformando la sua visibilità in un'ulteriore fonte di potere da molti assecondata. Egli così si era trasformato in un uomo influente che poteva fare tutto quanto gli si chiedeva e che poteva interloquire con tutti, con la certezza che tutti lo avrebbero ascoltato e tutti avrebbero fatto quello che chiedeva o mostrava di desiderare.

Inoltre il suo ruolo in Confindustria, un'entità di grandissima influenza sociale, politica, economica ed anche morale, un ente dalle dimensioni quasi pubblicistiche nel tessuto organizzativo di Stato di enti ed locali, gli conferiva ulteriori profili di autorevolezza, tanto più che a lui si attribuiva la posizione di uomo garante della legalità nazionale in ambito imprenditoriale.

La difesa invita a tenere conto di questo contesto al fine di decodificare i comportamenti che il giudice di primo grado ha ritenuto configurassero degli illeciti.

In questo contesto, accusarlo di aver favorito il trasferimento di De Angelis, la nomina di D'Agata all' AISI, il passaggio di Ardizzone alla DIA di Caltanissetta, il tutto nell'ambito di uno scenario corruttivo, ad avviso della difesa, significa criminalizzare attestati di capacità, di affidabilità, di competenza che Montante per il suo ruolo e per il credito di cui godeva era, comunque, spontaneamente in condizione di formulare con le più alte autorità delle forze dell'ordine e dello Stato.

Non può essere considerato reato il fatto che un uomo influente che aveva a che fare quotidianamente con appartenenti alle forze dell'ordine per contribuire insieme ad esse al contrasto dell'imprenditoria mafiosa, poi formulasse attestazioni favorevoli a persone le cui qualità aveva avuto modo di sperimentare sul campo.

Secondo la difesa, ciò doveva considerarsi normale per una persona autorevole accreditata ai livelli ai quali accreditato era Montante doveva considerarsi conseguenza del normale ordine di svolgimento delle cose; e per questo un personaggio dell'importanza di Montante poteva ottenere tutto senza bisogno di chiedere. Si doveva tenere conto pure che tale sua posizione induceva molti a compiacerlo o a offrirgli i propri servigi.

Il comportamento di un pubblico ufficiale che ponga in essere azioni che sappia di utilità per qualcuno non potrebbe mai costituire reato per il beneficiario che non l'abbia in alcun modo richiesto.

E così nel valutare le condotte dei pubblici ufficiali che avevano svolto le verifiche sulla società di Montante concludendole in senso a lui favorevole non deve darsi per scontato che l'esito gradito all'imprenditore fosse frutto di una sua richiesta al pubblico ufficiale, perché va al contrario verificato se ricorreva (piuttosto che un'ipotesi di asservimento) un fenomeno di mero servilismo.

Tale cura nella valutazione è mancata nella sentenza di primo grado, che, secondo la difesa, incorre in errori ottici per accecamento giustizialista.

Anche le condotte di accesso abusivo, esaminate dal giudice di primo grado, non sono state adeguatamente contestualizzate. Poiché Montante nella sua attività in Confindustria Sicilia e poi in Confindustria nazionale si adoperava per cacciare la mafia ed il malaffare dall'associazione degli industriali o comunque per sbarrare l'ingresso all'imprenditoria compromessa con le mafie, era logico che egli fosse continuamente interessato ad acquisire notizie anche non pubbliche sulla personalità degli imprenditori iscritti o di quelli che chiedevano l'iscrizione.

Per questa ragione era stato istituito un organismo interno a Confindustria nazionale che garantisse ogni presidio per assicurare sicurezza e legalità. E questo organismo era quello per il quale un alto magistrato ed esponente di primo piano delle forze dell'ordine avevano consigliato a Confindustria l'assunzione di Di Simone Perricone.

In relazione a questi elementi e all'esigenza di interessarsi all'accertamento delle qualità personali degli imprenditori, è chiaro, secondo i difensori appellanti, che tutto convergeva per la necessità di accedere allo SDI ma al solo fine di capire quali fossero i profili dei soggetti con i quali l'associazione imprenditoriale si sarebbe dovuta confrontare.

Insomma la scelta di Di Simone e l'accesso alle banche dati in qualche modo deve considerarsi in programma. Sebbene la difesa non giunga a negare le indiscutibili violazioni dell'art. 615ter c.p., afferma che la loro matrice "fu, per così dire, fin di bene" e, "essendovi un centro di imputazione per così dire istituzionale come Di Simone, è ben plausibile che si trattasse di questioni di sua specifica pertinenza e non di Montante".

La difesa insiste sul fatto che non può parlarsi di dossieraggio nei casi oggi contestati a Montante e che la sentenza di primo grado li ha inquadrati nell'ambito di prassi deviate perché non ha tenuto conto "dei percorsi logici, che, piaccia o non piaccia, inseriscono al! 'esercizio del potere, specie dei vertici politico-istituzionali ed economici in sinergia tra essi avuto riguardo ai soggetti che il potere esercita nei soggetti su cui gli effetti del potere si riversano".

Dopo questa articolata premessa, nell'atto di appello dell'avv. Taormina vengono formulati specifici motivi di impugnazione in relazione ai reati contestati ad Antonio Calogero Montante.

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