Su Domani arriva il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra.

Nel luglio 1977 si verificarono, nello stesso contesto territoriale, altri gravi fatti di sangue: il 24 luglio fu assassinato, nel centro di Corleone, Giovanni Palazzo, mediatore di bestiame (già socio di Onofrio Palazzo, mediatore di cavalli che era scomparso da Corleone il 9 luglio precedente), ed il 30 luglio fu ucciso, a Roccamena, Giuseppe Artale, “guardiano” della ditta Paltrinieri e figlio di un noto boss mafioso, comproprietario della cava di Contrada Mannarazze. A queste vicende Mario Francese dedicò numerosi articoli giornalistici.

Lo scenario nel quale si inserivano i predetti episodi delittuosi fu lucidamente delineato da Mario Francese nel seguente articolo, pubblicato sul "Giornale di Sicilia" del 31 luglio 1977:

La cava “Mannarazza” di Roccamena e i lavori della diga del Belice spezzano gli equilibri dei clan mafiosi. Giuseppe Artale resta ed è ucciso. Napoli per vivere fugge in America.

Vittima e fuggiasco cointeressati nella cava che faceva gola a big di Partinico - L'omicidio di ieri un'appendice dell'attentato subito undici giorni fa dal cavatore che per la paura si è rifugiato subito negli Stati Uniti

Rosario Napoli, affittuario della cava “Mannarazza”di Roccamena, subisce un attentato il 19 luglio scorso, la fa franca insieme con un figlioletto e con un dipendente e per salvare la pelle pianta tutti in asso e fugge in America. Giuseppe Artale, comproprietario della cava “Mannarazza”, mezzo ammalato di cuore, resta a Roccamena ed è trovato crivellato, dalla lupara e dalla cal.38, sul ponte San Lorenzo, dove faceva il guardiano. La “vie” della mafia, come si vede sono infinite, e per questo carabinieri e polizia, per l'omicidio di Artale, si trovano ad un bivio: omicidio nel quadro dei grandi interessi, nel triangolo Roccamena-Corleone-Partinico, collegati con le cave e con l'appalto della costruzione della diga del Belice, o delitto sulla strada di un grosso traffico di bestiame rubato? Sono le due uniche, o meglio principali, strade che carabinieri e polizia, in stretta collaborazione, stanno battendo per capirci qualcosa sull'omicidio Artale e, spingendo un po’ a fondo, sulla scomparsa di Onofrio Palazzo (luglio) residente a Corleone ma nativo di Roccamena, e di Giovanni Palazzo (23 luglio), ucciso quasi esemplarmente nel “salotto" di Corleone, via Bentivegna.

Di certo è che l'omicidio Artale, come quelli dei due Palazzo e come il triplice tentato omicidio, avvenuto nella cava "Mannarazza" di Roccamena (vittime Rosario Napoli, il figlioletto Fedele di 9 anni e un dipendente, Vincenzo Montalbano), è un omicidio tipico di mafia: un delitto nato ed eseguito in ambienti mafiosi. Diversi gli interessi, e tutti validi: limitati di contro i moventi, che abbiamo sintetizzato in due essenziali. E per tutti questi fatti, caso strano, affiorano, via via che le indagini si sviluppano, i nomi degli stessi personaggi.

Roccamena, destinata a fornire alla costruenda diga del Belice, la maggior parte dei suoi preziosi terreni, rischia di divenire una "polveriera". I morti, già, sono quelli che sono. Ma a questi bisogna aggiungere l'omicidio del sindacalista di Roccamena, Calogero Monreale, il quale, giova sottolinearlo, fu fulminato quando cominciarono a prendere corpo i piani di esproprio dei terreni per la costruenda diga del Belice.

Giuseppe Artale era guardiano della impresa Poltrinieri, specializzata in costruzioni di ponti. Ne sta ultimando uno a quattro chilometri da Roccamena, in contrada San Lorenzo, dove è stato crivellato dalla lupara e dalla cal.38, Giuseppe Artale. Ma Artale era anche uno dei sei proprietari della cava "Mannarazza" di Roccamena dove, il 19 luglio scorso un "commando" di killer, a bordo di una "Alfetta", rubata all'avv.to Di Ganci giorni prima, dinanzi al Palazzo di Giustizia di Palermo, aveva tentato di fare fuori Rosario Napoli, affittuari di parte della cava, il suo figlioletto Fedele, 9 anni, e il dipendente alcamese, Vincenzo Montalbano. L"Alfetta" dei killer è stata trovata proprio nei pressi del ponte San Lorenzo, dove ieri mattina, è stato ucciso Artale.

Questo particolare e la gran paura di Rosario Napoli che, sopravvissuto all'attentato, è fuggito in USA per salvare la pelle ieri mattina doveva essere interrogato dal sostituto procuratore Pignatone, che lo ha atteso invano, portano al "racket delle cave" e alla diga del Belice. I lavori di costruzione del grande invaso sono stati appaltati recentemente alla Lodigiani, un'impresa mostro. La diga costerà 110 miliardi: l'ultimazione dei lavori è prevista in sette anni. L'impresa appaltatrice ha già speso oltre 100 milioni per costruire le baracche-alloggio per gli operai e per i dipendenti che verranno impiegati nei lavori della diga. Sono stati concessi anche in appalto, a piccoli imprenditori di Roccamena, Partinico e Corleone, i lavori di sbancamento del letto, della costruenda diga. Nella zona e quindi, da qualche settimana, un continuo affluire di "mostri di ferro", le pale meccaniche, per i primi lavori di approntamento del gran letto della diga.

La fuga all'estero di Rosario Napoli, l'uccisione di Artale, un personaggio cointeressato nella cava "Mannarazza", di cui era affittuario per una buona parte il fuggitivo scampato alla morte, l'arresto a Partinico dei cognati (uno è di Borgetto) Gaetano e Salvatore Randazzo, accusati del triplice attentato alla cava "Mannarazza" (uno di loro era stato riconosciuto da Napoli, prima di fuggire in USA), portano ancora alla diga del Belice.

Napoli aveva avuto dalla Lodigiani un primo incarico (senza contratto) per lavori di sbancamento, ma aveva una sola pala meccanica, che gli occorreva nella cava "Mannarazza". Cedette, allora, in subappalto, i lavori ai fratelli Randazzo di Partinico, che hanno una "pala" e che da circa due anni erano in buoni rapporti d'affari col Napoli.

Quando, però, la Lodigiani prospettò al Napoli un contratto firmato a lunga scadenza per i lavori di sbancamento e di fornitura di materiale di cava per la diga, i rapporti con i Randazzo si turbarono.

Ma tra Partinico, Borgetto, Corleone e Roccamena, in questi ultimi tempi c'è un'atmosfera nuova, quasi effervescente: una corsa all'armamento; la corsa di chi, sperando nella conquista di un lavoro remunerativo, si attrezza adeguatamente per battere la concorrenza dei poveri. Ma i poveri non sempre sono disposti a cedere. I Randazzo, ad esempio, dagli appalti per l'allargamento delle foci di fiume e torrenti che dovranno affluire nella diga, sperano di più dall'impresa Lodigiani.

La costruzione della diga

Nel seguente articolo, apparso sul "Giornale di Sicilia" del 7 agosto 1977, Mario Francese pose in rilievo con particolare chiarezza gli estesi e molteplici interessi mafiosi connessi alla costruzione della diga Garcia, contestando con forza la “tranquillizzante” versione dei fatti esposta dal direttore del cantiere della ditta Lodigiani (cui era stata appaltata la costruzione della diga), che aveva escluso infiltrazioni mafiose:

Primi spiragli di luce sul sequestro Madonia, sui delitti Artale e Monreale e sull'attentato alla cava di "Mannarazza". Mafia, P.38 e lupara a Roccamena sulla strada della grande diga.

Prima l'accaparramento dei terreni da espropriare, poi la corsa ai "noleggi" di ruspe e camion - Le forniture ai cantieri ed alla supermensa degli operai - Undici grosse imprese con problemi di uomini e di guardianie

Gli attentati, i morti ammazzati di Roccamena e Corleone, gli scomparsi del "circondario nero" e, forse, anche qualche clamoroso sequestro hanno pubblicizzato l'inizio dei lavori per la costruzione della grande diga di Garcia, che investe i comuni di Contessa Entellina, Roccamena (letto della diga), Monreale, Bisacquino, Santa Margherita Belice, Montevago, Poggioreale, Salaparuta, Partanna, Campobello di Mazara, Castelvetrano. Un serbatoio, sul Belice sinistro, di una capacità di 100 milioni di metri cubi al massimo invaso, di cui 20 milioni riservati alla laminazione delle piene e 60 milioni per uso irriguo e potabile. Sette milioni di metri cubi sono riservati soltanto all'uso potabile, ma Palermo e provincia non ne avrà alcun beneficio. I 7 milioni di metri cubi di acqua sono stati, infatti, destinati al Trapanese. L'acqua della diga sarà utilizzata per la irrigazione di 20 mila ettari di superficie irrigua, di cui solo 4.000 in provincia di Palermo e 16.000 nel Trapanese e nell'Agrigentino.

Un'opera che è stata definita "faraonica" e che, in dieci anni, comporterà una spesa di oltre 324 miliardi, non poteva lasciare indifferenti le grosse organizzazioni mafiose di centri tradizionali come Corleone, Monreale, Roccamena. Dice l'ing. Francesco Secco, di Belluno, direttore del cantiere della Lodigiani, la ditta che ha in appalto i lavori di costruzione della diga: «Siamo venuti a Roccamena per costruire la diga Garcia e penso che nessuno, neanche la mafia, riuscirà a frapporre ostacolo». Ed ha aggiunto:«Io della mafia ho solo sentito parlare, ma non vedo come possa intrufolarsi nella costruzione della diga. Se qui occorre una ruspa, da Milano ne mandano tre, così per i camion, così per gli escavatori, per le betoniere. Il nostro cantiere è autosufficiente».

Le dichiarazioni dell'ing. Francesco Secco, oltre a non essere aderenti alla realtà, non tengono conto delle caratteristiche di un'organizzazione mafiosa che si rispetti e della tentacolarità della mafia. La realtà è diversa: un'opera mastodontica, con immensi capitali che richiede e con le infinite possibilità speculative che offre, non poteva lasciare indifferente la mafia, specie quella che ha radici vecchie e profonde, come la mafia di Corleone, di Roccamena e di Monreale. «Diga con cantieri autosufficienti», dice l'ing. Secco della Lodigiani. La verità è ben altra.

Partiamo dal 1974. Non appena fu approvato il progetto di legge per la espropriazione dei terreni, abbiamo avuto il più clamoroso sequestro di persona del retroterra palermitano: quello di Franco Madonia, nipote di don Peppino Garda, uno dei maggiori proprietari di terreni di Roccamena e della valle del Belice. Oggi, a cose avvenute, esaminando le carte di quel processo o scorrendo velocemente le traduzioni, in 560 pagine dattiloscritte, delle intercettazioni telefoniche dell'apparecchio di don Peppino Garda, domandiamo a noi stessi: ma il sequestro Madonia fu veramente a scopo di estorsione o un colpo da manuale per costringere il vecchio don Peppino Garda a svendere gran parte dei suoi terreni che, da li a poco, sarebbero rientrati nel piano di espropriazione per la realizzazione della diga Garcia? Dalle intercettazioni telefoniche, si ricavava, grosso modo, che un volume, di una ottantina di pagine, è zeppo di richieste di acquisto di terreni. Don Peppino ne ha ricevute da ogni parte d'Italia, ad iniziare dall'immobiliare di Venezia, per finire ad una serie di possidenti delle zone di Bologna; Lazio, Napoli, Monreale, Bisacquino, San Giuseppe Jato. Una corsa alla terra che dovrà, fra cinque anni, si spera, fare da letto alla superdiga di Garcia.

Ancora nel 1974, prima ancora della liberazione di Franco Madonia, a Roccamena viene ucciso il sindacalista Calogero Monreale, un socialista molto addentro nelle cose della diga ed infarinato di piani di espropriazione. Perché fu ucciso? Il delitto, da allora, è sempre intestato ad ignoti.

Da allora, tra la fine del 1975 e al momento dell'inizio dei lavori della diga, giunti appena al primo stato di avanzamento (importo dei lavori realizzati appena 200 milioni) i morti ammazzati, nel triangolo Corleone-Roccamena-Monreale, non si contano più. A Corleone, in due anni, sono stati nove; quasi altrettanti nel Monrealese. Gli ultimi attentati (attentati ed omicidi) sono del luglio scorso ed hanno portato alla ribalta della cronaca Roccamena: triplice attentato alla cava Mannarazza e omicidio sul ponte di San Lorenzo di Giuseppe Artale.

I cantieri della diga, dice la Lodigiani, sono autosufficienti. D’accordo, ma ciò non esclude che, per economia, l'impresa milanese abbia, in questo primo scorcio di lavori, fatto ricorso a "noleggi". Lo hanno confermato i fatti, lo ha confermato la superdirezione dei lavori del Consorzio di bonifica del medio ed alto Belice.

Rosario Napoli, scampato alla morte il 19 luglio scorso ed ora esule volontario all'estero (per paura di morire) era stato "noleggiato" dalla Lodigiani come persona e per la sua pala meccanica. Un "noleggio" che ha provocato un attentato ed un assassinato.

Quindi, attorno alla diga, c'è un racket degli aspiranti ai noleggi e c'è un racket, ancora più vasto, per le forniture dei materiali di cava, che non possono certamente giungere da Milano. Lavori così imponenti impongono, poi, noleggi di grossi automezzi, oltre che di ruspe e di pale meccaniche; impongono forniture di sabbia di cava e di mare (entrano di scena Balestrate e San Vito Lo Capo oltre che Castellammare del Golfo).

Ma la Lodigiani non è la sola impresa che opera nella Valle del medio ed alto Belice. Il consorzio di bonifica ha concesso lavori extra nella zona ad altre dieci grosse imprese, che eseguono lavori per oltre due miliardi. L'impresa Paltronieri, di cui era guardiano e persona di fiducia Giuseppe Artale, ucciso a Roccamena il 30 luglio scorso, ne è un esempio.

Ma lasciamo subappalti, forniture e noleggi. Fermiamoci a Garcia. Nelle baracche-alloggio, oltre cento, al momento si trovano circa cento operai della Lodigiani, oltre a tecnici e a "saltuari" camionisti, spalatori, trattoristi, ruspisti". Altri duecento operai sono al servizio delle altre dieci imprese che hanno lavori di strade consorziali e ponti. Tra non molto il numero degli operai aumenterà, fino ad un massimo di 300-350, alle dipendenze della sola Lodigiani.

Non vogliamo, in questa sede, soffermarci sull'opera degli uffici di collocamento di Monreale e di Corleone. Il potere, di certo, si esercita anche attraverso questi enti. Limitiamoci al cantiere di Garcia. Con i lavori a pieno ritmo, ospiterà, tra maestranze, operai e tecnici, quasi cinquecento persone, oltre ai "saltuari". Ci sarà un servizio di mensa. E basti richiamare ciò che tra gli anni 50 e 60 si è scatenato alla mensa del Cantiere navale per immaginarsi quali appetiti sollecita un simile appalto. Forniture di carne, di pasta, di verdure, cereali, pane, bombole di gas, legna, olio. Sono certamente forniture contese e che non pochi ambiscono.

La costruzione della diga, quindi, va guardata nel suo complesso e nei suoi molteplici aspetti. Allora ci si potrà rendere veramente conto di quali interessi possa avere la mafia, quella con la “M” maiuscola ed allora ci si possono spiegare i contrasti già insorti tra le cosche mafiose, il cui equilibrio è stato certamente turbato dalla sfrenata corsa verso tutto ciò che la costruzione della diga può offrire. Non va dimenticato che siamo in piena zona terremotata, una zona che ha già una mafia sperimentata nella corsa per la ricostruzione dei paesi franati col terremoto del 1968.

La diga in cifre

Espropri: 17 miliardi

Lavori appaltati dal primo ottobre 1975: 37 miliardi

Somme disponibili per le spese generali e IVA: 10 miliardi

Progetto per lavori decennali di rimboschimento, forestazione e costruzione strade e ponti: 100 miliardi

Progetto presentato alla Cassa per il Mezzogiorno per attacchi alla diga di canali per trasporto acqua irrigua nei consorzi Alto e Medio Belice, Delia-Nivolelli e Basso Belice - Carboi: 110 miliardi

Progetto per il trasporto di 7 milioni di metri cubi di acqua potabile della diga nel Trapanese: circa 50 miliardi

Spesa complessiva prevista in dieci anni: 324 miliardi

La sentenza in questione è quella della Corte di Assise di Palermo, presidente Leonardo Guarnotta, contro Salvatore Riina +9.

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