Chi ama il vino nella sua pura essenza, ne apprezza anche l’impertinente e ruvida incisività tannica, l’intransigente e tagliente vena acida o la nitida e profonda scia salina che a volte solca il palato
I profumi floreali, gli aromi fruttati, l’acidità, i tannini per i rossi e i macerati, sono alcune tra le componenti essenziali del profilo gustativo di un vino. Il loro complementare e delicato equilibrio, contribuisce a crearne quell’armonia che ci regala il piacere di un buon calice. E la dolcezza, lo zucchero? In un vino secco non dovrebbero trovare spazio. Gli zuccheri sono presenti nell’uva, ma durante la fase di fermentazione vengono trasformati dai lieviti in alcol e anidride carbonica. Alla fine di questo processo, il vino dovrebbe avere un residuo zucchero tendente a zero.
Le sensazioni di morbidezza che percepiamo al palato sono da ricondurre agli aromi fruttati e alle componenti alcoliche, ma non allo zucchero. Certo ci sono vini dal carattere più morbido e suadente, altri più spigolosi e vibranti. Alla ricchezza quasi opulenta di un Condrieu si contrappone la sapida e severa freschezza di uno Chablis Grand Cru Blanchot. Il profilo solare e mediterraneo di un Bandol Rouge o di un Cannonau è assai lontano dalla limpida acidità e dai vivaci tannini di un Barolo, di un Brunello di Montalcino o di un Etna Rosso. Vini differenti, che rappresentano profili gustativi lontani. Nonostante le diverse personalità dei vini, in questi casi ci si muove sempre nell’ambito di caratteristiche riconducibili ai singoli vitigni o alle condizioni microclimatiche dei territori di provenienza delle uve.
La dolcezza artificiosa
Tuttavia capita spesso di assaggiare vini secchi che tradiscono una dolcezza artificiosa e stucchevole. A volte queste sensazioni derivano da un appassimento delle uve, che tende a donare note di confettura di frutta particolarmente intense e concentrate, ma se anche il finale ci lascia una sensazione dolciastra, allora quasi sicuramente il vino contiene un residuo zuccherino che ne altera il gusto. Chi ama il vino nella sua pura essenza, ne apprezza anche l’impertinente e ruvida incisività tannica, l’intransigente e tagliente vena acida o la nitida e profonda scia salina che a volte solca il palato.
Molti appassionati cercano proprio queste componenti, queste durezze che donano al sorso una dinamica tensione espressiva, un contrappunto gustativo che sorprende e affascina. La tendenza verso la dolcezza si è manifestata e accentuata con la globalizzazione del mondo del vino e con la scelta di molti produttori di andare incontro al gusto di un nuovo pubblico. Non bisogna dimenticare che il mercato statunitense è composto da potenziali consumatori abituati a bere bibite analcoliche zuccherate, che hanno contribuito a creare un’assuefazione alla dolcezza.
Non è stato un caso il successo ottenuto oltreoceano dal Lambrusco dolce e frizzante negli anni Settanta e Ottanta, una sorta di bevanda alcolica semplice e facile, che assecondava il gusto dominante. Negli anni successivi si è affermata una tendenza internazionale che ha privilegiato i grandi vini affinati in barrique, connotati da note di frutta surmatura, unite alle morbidezze della vaniglia. Per accentuare queste sensazioni avvolgenti, i vini venivano spesso arricchiti con un residuo zuccherino che contribuiva a rendere il sorso ancora più soave. Il caso emblematico è quello dell’Amarone.
Si racconta che il vino sia nato come un “recioto scapà”, ovvero un Recioto sfuggito all’attenzione del cantiniere fino al punto da svolgere in fermentazione tutto lo zucchero e risultare quindi secco e amaro: Amarone appunto. L’influsso dei nuovi mercati statunitensi e nord europei ha condotto a realizzare un Amarone sempre più concentrato, denso e marmellatoso, con un abbondante residuo zuccherino. Un vino stravolto da logiche commerciali, che solo negli ultimi anni sta ritrovando in parte la strada dell’antica identità.
La stessa sorte è toccata spesso anche al Primitivo di Manduria o al Lugana, che per assecondare le richieste dei mercati esteri, hanno accentuato le morbidezze fruttate con residui zuccherini. Il risultato di queste operazioni è un vino dolce e monocorde, che ha rinunciato alle vitali componenti acide e tanniche per adagiarsi e appiattirsi su sensazioni zuccherine. Il successo del Prosecco Extra-Dry sui mercati internazionali si fonda proprio su questa predilezione per la dolcezza, per i vini zuccherati, che rende lo spumante della Marca Trevigiana una “bollicina” facile e in linea con il mainstream dominante. Lo zucchero si è insinuato nel vino assecondando nuove tendenze e il gusto di consumatori da conquistare.
Se i grandi vini destinati a veri intenditori hanno potuto conservare il loro stile classico e tradizionale senza scendere a compromessi, molti vini prodotti con una vocazione più popolare e rivolti a un pubblico che non possiede ancora una cultura enologica così approfondita, hanno trovato nella dolcezza una scorciatoia per conquistare nuovi consumatori senza destabilizzare troppo le loro abitudini gustative. Un vino creato seguendo i principi del marketing e tradendo la natura dei vitigni, le tradizioni e il terroir. Un vino omologante, perfettamente il linea con le logiche industriali della produzione di massa e lontano da un approccio artigianale e locale.
L’eccezione del Riesling
E il Riesling? Il Riesling come tutti i grandi vini fa storia a sé. L’inossidabile fascino di questo straordinario vino bianco, capace di sfidare il tempo senza timore, si fonda proprio sull’equilibrio tra un’alta acidità e un leggero residuo zuccherino. Secondo la classificazione dei Qualitätswein mit Prädikat Wein tedeschi i Riesling si dividono in Kabinett, vini leggeri e con bassa gradazione alcolica; Spätlese intensi e prodotti con uve molto mature; Auslese, frutto di un’accurata selezione di uve raccolte in surmaturazione; Beerenauslese, realizzati con vendemmie tardive e selezione degli acini attaccati dalla Botrytis cinerea; Ice wine elaborati con uve raccolte e pressate congelate; infine i Trockenbeerenauslese nascono da una minuziosa selezione di singoli acini appassiti e attaccati dalla Botrytis cinerea.
Ma torniamo allo zucchero, la classificazione dei Riesling viene fatta in base alle caratteristiche del mosto e non del residuo zuccherino presente nel vino. La dicitura Trocken indica un Riesling secco e per solito viene usata per Kabinett, Spätlese e Auslese. I Riesling Trocken possono avere acidità molto alte 7-10 gr/l, compensate dalla presenza di un residuo zuccherino generalmente compreso tra 3-9 gr/l, che contribuisce a rendere il vino armonioso, ma senza trasmettere sensazioni dolci. I Riesling Spätlese e Auslese, con residui zuccherini importanti, sono dei veri e propri vini dolci, come i Beerenauslese, gli Ice wine e i Trockenbeerenauslese, assimilabili ai nostri passiti o vendemmie tardite.
Anche se hanno un residuo zuccherino, Riesling Trocken risultano al palato secchi grazie all’alta acidità, un po’ come accade per gli Champagne Extra-Brut o Brut (dosati fino a 6 o 12gr/l).
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