- Già nel 2015 una direttiva dell’Ue aveva inteso far correggere il tiro, ciò che aveva indotto molte società di calcio a dismettere questa voce di bilancio e a conteggiare gli investimenti nel vivaio come parte dei diritti pluriennali.
- Lo scorso anno un’ulteriore sollecitazione dell’Organismo italiano di contabilità, raccolta immediatamente dalla Figc, ha portato alla definitiva cancellazione della capitalizzazione dei costi vivaio.
- Rimane da risolvere il problema degli ammortamenti pregressi. Ma già qualche anno fa presso alcune società (fra queste, il Genoa) su registravano voci critiche sull’utilizzo che si stava facendo dello strumento.
Doveva essere un investimento in ricerca e sviluppo. Si è trasformata in molte altre cose, tutte quante disallineate rispetto all’ispirazione originaria. Parliamo della capitalizzazione costi vivaio, una voce che gli analisti di economia calcistica hanno imparato a conoscere negli anni attraverso la lettura dei bilanci delle società. E che da questa prima tornata di chiusura degli esercizi annuali 2022, coincisa con la giornata di giovedì 30 giugno, viene consegnata al passato e senza particolari glorie. Motivo di tale china negativa? Quella voce di bilancio si era trasformata in una replica miniaturizzata della voce “diritti pluriennali alle prestazioni di calciatori”. Che a sua volta è il segmento del bilancio annuale sul quale più si addensano i sospetti di finanza creativa. Inoltre, il vivaio e la relativa capitalizzazione sono stati convertiti in un terreno di spericolato reclutamento di giovani calciatori stranieri, grazie anche alle norme previste dal decreto Crescita licenziato a aprile 2019 dal governo Conte I. Lo stop giunge dopo che negli anni più recenti si era provato a darvi continuità, nonostante nel 2015 i principi contabili fossero già cambiati in modo non più compatibile.
Correva l’anno 2015
In linea di principio la spesa per i settori giovanili sarebbe per le società di calcio (e per le società sportive tout court) una delle voci maggiormente virtuose in termini aziendali, nonché ampiamente meritorie in termini sociali. E questo approccio era stato riconosciuto dalle complesse norme del fair play finanziario Uefa, che infatti disponeva di scorporare tali costi dal computo di quelli conteggiabili per raggiungere gli equilibri di bilancio indispensabili a ottenere la licenza di partecipazione alle competizioni. E in questo contesto tali costi, secondo la disciplina contabile vigente fino al 2015, erano rubricati come se fossero investimenti in ricerca e sviluppo nel caso avessero portata pluriennale.
Proprio in questa direzione andava la raccomandazione contabile numero due della Figc, che entrava nel dettaglio a specificare quali costi potessero essere capitalizzati se associati alla gestione del settore giovanile di una società calcistica: «I premi di preparazione corrisposti, ai sensi dell’articolo 96 delle Noif, per il tesseramento di giovani calciatori; i costi per vitto, alloggio e trasporto con riferimento alle gare disputate dalle squadre giovanili; i rimborsi spese corrisposti ai calciatori del settore giovanile; i compensi e i rimborsi spese corrisposti ad allenatori, istruttori e tecnici del settore giovanile; i costi connessi alla stipulazione di assicurazioni contro gli infortuni con riferimento all’attività dei calciatori del settore giovanile; le spese sanitarie sostenute a favore dei calciatori del settore giovanile».
Di fatto la capitalizzazione costi vivaio era una voce equivalente a quella dei diritti pluriennali alle prestazioni di calciatori, ma con una differenza: la cifra della capitalizzazione veniva computata globalmente, senza essere disaggregata per ogni singolo calciatore acquisito con lo scopo di rafforzare il settore giovanile. E tale cifra globale poteva essere ammortizzata su un arco la cui durata poteva coprire il quinquennio.
Questa disciplina si è vista opporre un primo arresto nel 2015. Tutto parte dall’entrata in vigore del decreto legislativo 139 del 18 agosto 2015. Si tratta di un provvedimento legislativo adottato in attuazione di una direttiva Ue, mirato a modificare la disciplina di bilancio di alcuni tipi di società di capitali.
Per tutte le società che rientrano nella tipologia tracciata, l’effetto della novità giuridica sta nel fatto che i costi per ricerca vengono di fatto espunti dalla disciplina. Ciò che peraltro, in un campo anomalo in termini aziendali come è quello del calcio, ha l’effetto di dissolvere un elemento grottesco: cosa mai può esserci, nella composizione del settore giovanile, di seppur vagamente accostabile all’attività di ricerca? Serve uno sforzo di fantasia e di creatività non inferiore a quello necessario per associare valori da 4-5 milioni di euro a ragazzotti senza alcun futuro calcistico, prima di inserirli in un valzer di plusvalenze incrociate.
Stop alla capitalizzazione
Ma anche per la classificazione dei costi di sviluppo vengono messi dei paletti molto stringenti. Abbastanza da non consentire grandi margini di manovra. Al punto da disincentivare molte fra le società del nostro massimo campionato dall’insistere su questa strada.
Progressivamente molte fra queste hanno deciso di cessare l’utilizzo della capitalizzazione costi vivaio, inserendo nella rubrica dei diritti pluriennali della squadra maggiore i valori di acquisizione dei calciatori tesserati per le squadre giovanili. Altre invece hanno insistito per su questa strada. Fino a che non è intervenuta una sollecitazione a dire stop dall’Organismo italiano di contabilità (Oic). Sollecitazione cui la Figc, a quanto risulta, si è rimessa di buon grado.
E dopo averla recepita ha emanato rapidamente, nello scorso mese di novembre 2021, le nuove raccomandazioni contabili che nel capitolo relativo sono perentorie fin dal titolo: “Costi del vivaio (inammissibilità della relativa capitalizzazione)”.
Quindi, dopo due scarne pagine di illustrazione, c’è spazio per poche righe di conclusione che sono una pietra tombale: «Alla luce di quanto evidenziato nel paragrafo precedente, i costi del vivaio devono trovare indicazione esclusivamente nel conto economico fra i “costi della produzione”, non essendone ammissibile la relativa capitalizzazione. In tale ottica, quindi, devono intendersi superate tutte le pregresse indicazioni interpretative».
Gli ammortamenti
Come detto, erano rimaste poche le società che fra Serie A e B avevano mantenuto in bilancio la voce “Capitalizzazione costi vivaio”. Ma quelle che ancora la mantenevano nei bilanci chiusi nel corso dell’anno 2021 iscrivevano cifre rilevanti, sia in termini assoluti che relativi.
Per esempio, l’Inter faceva segnare nel bilancio chiuso a giugno 2021 un valore di 16.624.779 euro, in crescita rispetto ai 15.206.270 euro del 2020. In controtendenza il Bologna, che a giugno 2021 segnava 878.955 euro rispetto a 1.933.517 euro di giugno 2020.
In ascesa erano anche i valori fatti segnare dall’Atalanta, che passava da 4.287.438 euro del 31 dicembre 2020 ai 4.693.257 euro del 31 dicembre 2021. E se si passa dalla valutazione dei termini assoluti a quella dei termini relativi, spicca il balzo in avanti dell’Empoli, che da giugno 2020 a giugno 2021 ha triplicato la capitalizzazione costi vivaio: da 1.276.960 euro a 3.896.144 euro.
Sono valori legittimati dalle prospettive di sviluppo del singolo settore giovanile? Impossibile dirlo a priori, poiché si tratta di un segmento del sistema calcio legato a troppe incognite. Però qualche legittima perplessità, nel corso degli anni, si è diffusa all’interno delle stesse società di calcio.
Per capire, è sufficiente leggere alcuni bilanci del Genoa licenziati sotto la proprietà di Enrico Preziosi. Nel documento relativo all’esercizio chiuso il 31 dicembre 2017 c’è un passaggio della relazione firmata dal collegio sindacale che recita testualmente: «Il Collegio prende atto che il valore del vivaio è pari a circa 7,5 milioni di euro e, considerata la rilevanza del valore complessivo, invita gli amministratori a monitorare costantemente la corrispondenza fra il suo valore contabile e il suo valore effettivo».
Parole di legittima preoccupazione, anche perché quei valori che sul momento sono un attivo di bilancio si trasformano dall’indomani in ammortamenti. Una pesante zavorra sugli esercizi futuri. E proprio su questo punto c’è una questione da sciogliere: dato che il meccanismo è stato interrotto in modo brutale, come si fa coi valori che queste società di calcio avrebbero dovuto ammortizzare nei prossimi quattro esercizi?
Una fonte della federazione ci ha lasciato intendere che, per questa stagione, si consentirà di ammortizzare il rateo 2022 in attesa di giungere a una determinazione per le prossime annate. Si tratterà di una fase transitoria che permetterà di mettersi alle spalle uno strumento nato con le migliori intenzioni ma poi usato in modo non sempre trasparente. Non lo rimpiangeremo.
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