Il capo della procura reggiana, Marco Mescolini, dovrà lasciare l’ufficio per decisione unanime del Consiglio. La causa: le sue conversazioni con Palamara e la non neutralità rispetto al Pd
- Il Consiglio superiore della magistratura ha deciso all’unanimità per il trasferimento del procuratore di Reggio Emilia, Marco Mescolini.
- La decisione è stata durissima: Mescolini, che prima di ottenere il trasferimento a Reggio Emilia era stato tra i pm dell’antimafia di Bologna impegnati nel maxi processo Aemilia sulla ‘ndrangheta al nord, verrà trasferito d’ufficio «per incompatibilità con ogni funzione giudiziaria nel distretto di Bologna».
- Mescolini ha lasciato l’aula con una frase: «Non meritavo questa ignominia. Questa è la fine della mia carriera in magistratura».
Il Consiglio superiore della magistratura ha deciso all’unanimità per il trasferimento del procuratore di Reggio Emilia, Marco Mescolini. Sono servite due ore e mezza di plenum, durante le quali il togato Nino Di Matteo ha presentato la relazione sul caso, poi c’è stato spazio per la replica dell’avvocato di Mescolini e per un intervento di quest’ultimo, che poi ha accettato di rispondere alle domande dei consiglieri. La decisione è stata durissima: Mescolini, che prima di ottenere il trasferimento a Reggio Emilia era stato tra i pm dell’antimafia di Bologna impegnati nel maxi processo Aemilia sulla ‘ndrangheta al nord, verrà trasferito d’ufficio «per incompatibilità con ogni funzione giudiziaria nel distretto di Bologna». Mescolini ha lasciato l’aula con una frase: «Non meritavo questa ignominia. Questa è la fine della mia carriera in magistratura».
Le chat di Palamara
Si tratta dell’ennesimo strascico provocato dalla pubblicazione delle chat contenute nel cellulare dell’ex magistrato Luca Palamara. Il procedimento disciplinare nei confronti di Mescolini ha origine da un esposto presentato da quattro sostituti procuratori di Reggio Emilia, nel quale denunciavano di non sentirsi più «nelle condizioni di svolgere il proprio lavoro con la serenità necessaria» in seguito delle pubblicazioni delle chat tra Palamara e Mescolini e «dei continui articoli di stampa che riportano le censure mosse a quest’ultimo da numerosi esponenti politici e alte figure istituzionali, in riferimento a presunte omissioni poste in essere nello svolgimento dell’attività d’indagine». L’accusa a Mescolini è chiara: l’aver fatto perdere «credibilità e autorevolezza» alla procura che dirige, «apparendo all’esterno priva di indipendenza».
Il contenuto delle chat rese pubbliche è quello di richieste insistenti a Palamara da parte di Mescolini di sapere quando il suo trasferimento a Reggio Emilia sarebbe stato deciso, continuate da febbraio a luglio 2018 quando Palamara gli conferma: «Ci siamo!! Hai vinto!!». A questa ricostruzione di sudditanza al cosiddetto mercato delle nomine, Mescolini (che aveva negato ai suoi sostituti di aver avuto contatti con Palamara) si è difeso davanti al Csm spiegando però che la proposta del suo trasferimento a Reggio Emilia era stata già accolta dalla Quinta commissione nell’ottobre 2017 e che le chat riguardavano solo la fase successiva della deliberazione, dunque erano volte a chiedere conto a Palamara non del merito, ma dei tempi del suo trasferimento. Tuttavia, proprio la pubblicazione di queste chat insieme alle altre centinaia hanno, nel corso dell’anno precedente, provocato una dura campagna di stama contro Mescolini e avvelenato il clima della procura di Reggio Emilia, tanto da provocare l’esposto.
La non neutralità
L’accusa ancora più grave, dalla quale Mescolini ha tentato di difendersi davanti al Csm, ha riguardato però la sua presunta non neutralità rispetto ad esponenti politici locali del Partito democratico. Ad accusarlo di questo a mezzo stampa, utilizzando proprio le chat ad avvalorare la sua tesi, era stato Giovanni Paolo Bernini, esponente di Forza Italia ed ex assessore di Parma, che era stato indagato per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio politico mafioso nel processo Aemilia (il processo si è concluso con la prescrizione del reato derubricato a corruzione elettorale). Secondo Bernini, le conversazioni con Palamara erano la prova che Mescolini, pur avendo un enorme materiale investigativo che coinvolgeva esponenti del Pd, non aveva approfondito quel filone investigativo a causa del suo orientamento politico.
Proprio questo attacco dell’estate 2020 ha suscitato enorme clamore a Reggio Emilia e Mescolini ha dovuto difendere l’operato della sua procura. Tuttavia, il suo comportamento ha fatto emergere nei sostituti ulteriori contrapposizioni con il procuratore, facendo loro dubitare della correttezza del suo comportamento su una vicenda processuale che riguardava i bandi del comune di Reggio Emilia. I particolare, nell’esposto al Csm sono state indicate l’imposizione di posticipare una perquisizione che «è stata vista come un tentativo di favorire (o comunque non pregiudicare) la candidatura del Sindaco uscente del Pd» e l’aver tenuto una conferenza stampa in cui confermava di aver rinviato la perquisizione «per non influenzare il ballottaggio» alle comunali.
Il difensore di Mescolini, Franco Gaetano Scoca, ha parlato di una «istruttoria a senso unico», che non avrebbe tenuto in considerazione le valutazioni positive dell’operato di Mescolini espresse da altri magistrati ma solo dei pareri di chi aveva sottoscritto l’esposto.
A nulla però è servita la richiesta di un approfondimento di indagine. «Servono prove per dire che sono connivente con una parte politica e che non sono indipendente», ha detto Mescolini, smentendo qualsiasi connivenza politica e rivendicando il suo lavoro ultradecennale: «Non c’è alcun appiglio concreto, se non una campagna stampa contro di me e gli interventi di un esponente della destra».Tuttavia il plenum ha deciso per la sua incompatibilità ambientale. Una decisione che è anche figlia del clima del dopo-Palamara, le cui ombre di sospetto si allungano in ogni direzione.
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