La città siciliana è sempre stata un piccolo grande set fin dai tempi del bandito Giuliano. E oggi la storia si ripete con Matteo Messina Denaro e la sua misteriosa latitanza approdata sul grande schermo. Con i boss, realtà e fiction rischiano sempre più spesso di confondersi
Ma allora è vero che la mafia è tutto un cinema? Se dovessimo non oltrepassare mai i confini di Castelvetrano e fidarci ciecamente del giudizio del proprietario della sala “Marconi”, avremmo serie difficoltà nel capire dove finisce la realtà e dove comincia la fiction.
Perché Salvatore Vaccarino è salito in cattedra e, a modo suo, ci ha dato una gran lezione su come mafia e cinema a volte si possano anche confondere. Sicuramente si è un po' confuso lui, assicurando candidamente a tutto il mondo: «Questo film non interessa».
Il film è “Iddu, l'ultimo Padrino”, la storia di Matteo Messina Denaro. Si vedrà in tutta Italia tranne che nel regno del boss.
Intanto iniziamo con il dire che Castelvetrano è ed è sempre stata un set perfetto. Tanta mafia e insieme tanto spettacolo. Intanto continuiamo col dire che molto cinematografica è l'origine di tutta la famiglia Vaccarino.
Salvatore Vaccarino è figlio di Antonio detto Tonino, ex sindaco di Castelvetrano e arrestato una ventina di anni fa per traffico di stupefacenti (condannato) e per concorso esterno (assolto), diventato famoso per avere intrattenuto per diversi mesi uno scambio epistolare con Matteo Messina Denaro latitante.
L'ex sindaco firmava le sue lettere con il nom de plume di “Svetonio”, il boss con quello di “Alessio”, tutti e due discettavano su Daniel Pennac e Toni Negri, Jorge Amado e Bettino Craxi. Già solo questa sarebbe materia per sceneggiatori, se non ci fosse ben altro.
La favola della grande caccia
Il “Marconi” è uno dei primi cine siciliani, aperto da uno degli antenati di Salvatore Vaccarino che all'inizio dell'altro secolo si innamorò delle pellicole dopo avere conosciuto a Parigi i fratelli Lumière. Cinema puro è anche la favola che ci è stata raccontata sul Vaccarino senior e quelle lettere, ingaggiato dai servizi segreti per dare la caccia all'invisibile Matteo.
Con un colpo di scena finale: venuta alla luce la verità sul ruolo dell'ex sindaco che avrebbe dovuto far scivolare in trappola il potente mafioso, all'ex sindaco nessuno ha mai torto un capello e dopo la scorribanda ordinata dagli 007 è ritornato dietro la cassa del “Marconi” senza paura di rappresaglie. Cose che accadono solo nelle serie televisive.
Ma allora è vero che la mafia è tutto un cinema? Non ce ne voglia il procuratore capo della repubblica di Palermo Maurizio De Lucia – e ovviamente neanche i carabinieri dei reparti speciali dei carabinieri – ma le riprese (a cura dell'Arma) nel gennaio dello scorso anno della cattura di Matteo raccontavano una sorta di arresto “telecomandato”, ciak si gira. È la predisposizione alla recita di una certa Castelvetrano o le indagini prossime venture ci dimostreranno il contrario?
Una piccola Cinecittà
Cinema puro oggi e cinema puro anche nel passato. La memoria riporta al cadavere di Salvatore Turiddu Giuliano, bandito autoproclamatosi colonnello dell'Esercito per l'Indipendenza della Sicilia, pupo nella mani dei mafiosi di Monreale e degli apparati di polizia.
Il 5 luglio del 1950 fu ritrovato morto nel cortile Di Maria (di Castelvetrano, naturalmente), famosissima la foto del corpo di Turiddu calpestata dal capitano Perenze, il carabiniere che – secondo la versione ufficiale - l'aveva ucciso. In realtà Giuliano fu ammazzato in un altro luogo e il suo cadavere trasportato segretamente a Castelvetrano. Il cortile Di Maria, come vedete, è stato un altro formidabile set.
Finto, così finto da sembrare quasi vero è risultato però il Giuliano scaraventato sul grande schermo da Francesco Rosi, nel 1961, appena tre anni dopo la morte del bandito.
Il Politeama di Palermo alla “prima” fu preso d'assalto da migliaia siciliani, tutti speravano di riconoscere il Robin Hood di Montelepre che rubava ai ricchi per sfamare i poveri. Restarono delusi. Rosi descrisse nel suo film Giuliano come non lo aveva mai descritto nessuno, lo rappresentò per quello che era. Il cinema che diventa realtà e la realtà che diventa cinema.
Con Castelvetrano che, senza dubbio e forse per la gioia dei Vaccarino, potrebbe diventare una piccola Cinecittà siciliana.
© Riproduzione riservata