Max Verstappen ha vinto il suo terzo titolo mondiale, come Lauda e Senna. Ha un popolo intero dietro di sé, arancione, come giallo era il muro del tifo per Valentino Rossi. L’automobilismo era uno sport per ultraquarantenni, adesso è il preferito nella fascia 16-25 anni.
Max Verstappen immaginatevelo non particolarmente eclettico. Monotematico rende meglio l’idea. Quando ha debuttato in Formula 1 aveva ancora i brufoli, a 17 anni e 166 giorni (Melbourne, 2015). Quando ha vinto il suo primo gran premio aveva 18 anni, 7 mesi e 15 giorni (Spagna, 2016).
A 19 anni e 44 giorni è diventato il pilota più giovane a fare un giro veloce, oltretutto sotto una pioggia battente (San Paolo, Brasile, 2016). Ha appena vinto il suo terzo titolo mondiale, in largo anticipo sulla fine della stagione, raggiungendo Jack Brabham, Jackie Stewart, Niki Lauda, Nelson Piquet e Ayrton Senna: solo che loro li hanno vinti in tutta la loro leggenda, lui ha compiuto 26 anni alla fine di settembre. Diventa difficile pensare a qualcuno che possa fare meglio in futuro.
Comunque sì, Verstappen ha anche una vita privata: la sua compagna è una modella, blogger e PR brasiliana, Kelly Piquet. Figlia di Nelson, mito e leggenda della F1, quello che Max ha appena raggiunto a quota tre mondiali.
Solo che Piquet vinse il primo a 29 anni, Verstappen a quell’età potrebbe essere a quota sei. Per darvi un’idea del suo essere precoce, Ayrton Senna ne aveva 28 quando vinse il primo mondiale, e quando vinse il primo Niki Lauda aveva l’età che ha Max adesso. Michael Schumacher, che è arrivato a sette, all’età di Verstappen ne aveva vinti soltanto due, e Lewis Hamilton, l’altro ad aver portato a casa sette mondiali, il terzo lo vinse quando aveva già trent’anni.
Gilles Villeneuve? Lui un mondiale non lo ha mai vinto. Siamo di fronte a un evento destinato a travolgere i bilanci della Formula 1 per decenni: qualsiasi futuro paragone dovrà fare i conti con il fatto che prima c’è stato un olandese che si chiamava Max Verstappen e vinceva sempre lui.
La rissa per il tostapane
Max vive a Montecarlo con Kelly e la figlia di lei, Penelope, 4 anni. Il papà della piccola, come ti sbagli, è un ex pilota di F1: Daniil Kvyat, nato russo, adesso italiano. Nel 2016 Verstappen gli portò via il posto alla Red Bull, chiudendogli di fatto le porte in Formula 1. Qualche anno dopo si è accasato con la sua ex compagna. Il mondo delle corse è persino più piccolo di quanto sembri.
Quando non è lì, Max frequenta alternativamente i suoi genitori, che si sono separati non molto amichevolmente. Suo padre Jos è stato un ex pilota non brillante di Formula 1 (107 gran premi, 2 volte sul podio, 17 punti in tutto), in compenso ha vinto una 24 Ore di Le Mans. Ha diversi precedenti: una rissa scoppiata su una pista di kart, una condanna per aver menato la sua ex moglie e più tardi anche suo padre, il nonno di Max, un tentativo di investire la nuova fidanzata, e un ultimo arresto per rissa che risale a sei anni fa.
Quando Verstappen junior arrivò in Formula 1 e cominciò a buttare gli altri fuori pista, tutti pensarono che sembrava Jos. La madre di Max, Sophie Kumpen, era una talentuosa campionessa di kart e si accorse di essere incinta alla fine di una gara. Anche la sorella di Max, Victoria, ha provato a correre per un po’ prima di diventare mamma a sua volta.
«Mia sorella ha un carattere più forte, è molto agguerrita, più simile a mio padre. Io sono più calmo, assomiglio di più a mia madre». Quando i genitori si sono finalmente divisi, lui è rimasto con Jos, Victoria con Sophie. Max ha il doppio passaporto: olandese come suo padre, belga come sua madre.
La famiglia non è una grande distrazione in questi casi. Però c’è sempre il tempo libero, e quando non è in autodromo Verstappen ne passa parecchio a giocare online: simulatori, playstation e soprattutto sfide virtuali con altri piloti, in particolare iRacing.
Negli Esports ha un suo team, che non si chiama Red Bull ma quasi: Redline. Lui queste corse le prende come se non fossero virtuali per niente: lo scorso luglio sulla pista di Spa-Francorchamps è stato addirittura squalificato per aver speronato un avversario reo di averlo tamponato pochi giri prima. In palio c’era un tostapane.
L’abbandono all’autogrill
Che sia telecomandato? Il dubbio viene. Di sicuro è stato spinto a correre e a vincere, come se non ci fosse un’altra strada. Mi raccomando vai piano, dicono le mamme da che mondo è mondo. La sua no, lo mise su un quad quando Max aveva tre anni e gli urlava: «Accelera».
Più tardi ha raccontato che suo figlio «controsterzava e dava di gas ancor prima di saper leggere e scrivere». Quanto a Jos, lo ossessionava ma non lo incoraggiava. Lo racconta Max, poco incline a entrare nel suo privato, nel documentario Anatomy of a Champion. «Mio padre non mi ha mai detto che sarei diventato un campione. Mi diceva che avrei fatto il camionista o l’autista di autobus. Era il suo modo per farmi capire che quello che stavo facendo non era sufficiente». L’episodio più clamoroso risale al 2012. Max aveva 15 anni e quel giorno poteva vincere il primo mondiale della sua vita, nei kart. Vennero a correre in Italia, e Max si fece superare, buttò via la vittoria.
«Provai a parlare con lui nel furgone, avevamo 17 ore di viaggio fino a casa. Ma lui non voleva parlare con me, era seccato. Si fermò al distributore di benzina, mi disse di scendere e ripartì lasciandomi lì, in autostrada». Raccontato da Jos, l’episodio è uguale. «Sono stato duro con lui. Molte persone non immaginano cosa ci vuole per raggiungere il massimo livello assoluto di uno sport. So di non essere la persona più facile con cui lavorare e ho preteso molto da Max, ma lui è stato in grado di sopportare tutto. È sempre stato mentalmente molto forte. Questo era il piano».
Un popolo dietro di lui
Questo era il piano: farlo diventare il campione più campione di sempre. Quando Max si affacciò al mondo della Formula 1, sembrò finalmente di respirare: niente più noia, basta trame sempre uguali, ecco un pilota che sapeva sorpassare come ai vecchi tempi, finalmente un brivido.
Con il tempo (poco, in verità) è subentrato un nuovo problema: Verstappen è il pilota più forte e guida la macchina più veloce, oltretutto ha il difetto di non sbagliare praticamente mai. Ed ecco che si riaffaccia quel retrogusto di noia che sempre accompagna i fuoriclasse che non hanno rivali.
Sono i grandi duelli a rimanere nel cuore degli appassionati, la retorica dell’uomo solo al comando in Formula 1 è poco attraente. Certo, diciotto milioni di olandesi la pensano diversamente: la F1 è diventata popolare quasi quanto il calcio, il 57% degli olandesi ha visto almeno una partita dell’ultimo campionato, ma il 52% ha seguito almeno un gran premio, il ciclismo di van der Poel viene soltanto al terzo posto. Prima di Verstappen, la F1 era uno sport per ultraquarantenni, adesso è il preferito nella fascia 16-25 anni.
Si divertono perché lui vince. Ma non ci sono solo gli olandesi. Quest’anno siamo arrivati al punto che lui era sempre là davanti da solo, le telecamere hanno cominciato a inquadrare più spesso la corsa alle sue spalle e gli sponsor hanno protestato. Il colmo c’è stato nell’ultima gara, quando lo ha dovuto chiamare in cuffia Gianpiero Lambiase, per tutti GP, il suo ingegnere di pista, nato a Londra da genitori italiani. «Dobbiamo riprendere il ritmo», gli ha detto GP.
«Cosa significa?», ha replicato secco Max. «Preserva le gomme ma prendi un po’ d’aria». Tradotto: dietro le McLaren stanno arrivando, cerca di stare attento. Va a finire che anche Verstappen si stava addormentando.
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