Quando ero bambina, a casa della mia amica del cuore era stato dichiarato un embargo sulla Nutella. Non solo su quella, erano banditi tutti i prodotti Ferrero e anche quelli della malvagia Nestlè. Veniva tollerata la produzione di Mulino Bianco, perché siamo di Parma e il campanilismo a volte vince sull’ideologia. Anche mia mamma ogni tanto provava a prendere delle decisioni esecutive sulla corretta alimentazione di sua figlia, ma poi realizzava che adottando la linea proibizionista avrebbe dovuto preparare delle merende con le sue mani, quindi l’ideologia finiva per cadere di fronte all’indolenza.

In casa mia la Nutella c’era sempre e anche per questo veniva consumata con parsimonia da tutti tranne che dalla mia amica, che quando passava il pomeriggio da me costeggiava con sprezzo del pericolo il crinale del picco glicemico. Non la spalmava neanche sul pane, faceva merenda inzuppando direttamente grossi cucchiai stracolmi di Nutella nel latte freddo, per poi ciucciarli con voluttà.

Sua madre provava a corromperla con dei succedanei: creme di nocciole equosolidali che andavano scalfite a colpi di piccone, imitazioni senza speranza dal sapore blando e deludente. Non esiste in tutto il mondo qualcosa che si possa avvicinare, nemmeno lontanamente, alla perfezione della Nutella.

Per questo motivo, unito all’imperituro scetticismo che nel nostro paese accompagna per legge la parola “vegano”, la nuova Nutella plant based – cioè senza latte di mucca, qui sostituito da ceci e sciroppo di riso – è stata accolta dai più con sospetto, per non dire con sdegno, come se qualcuno avesse proposto di disegnare i baffi alla Gioconda o un tatuaggio tribale sulla faccia della Venere di Botticelli.

Bene di lusso

Io invece, che sono esattamente il tipo di persona per cui il marketing esiste e prospera, ho sentito l’urgenza di assaggiarla il prima possibile. Gusto pizza, gusto cocco, limited edition: devo provare tutto. La missione però si è rivelata fin da subito più ardua del previsto. Mentre su Instagram imperversavano già i video di assaggi al buio della nuova Nutella, a detta di molti indistinguibile da quella classica, io giravo per i supermercati di tutta Milano in cerca del tappo verde e tornavo sempre a casa a mani vuote.

Mentre mi rassegnavo a fare mezz’ora di tram per spingermi all’Esselunga più vicina, realizzavo che non solo la nuova Nutella era irreperibile – risvegliando lo stress post traumatico dei primi giorni di vita dei Nutella biscuits – ma anche che la Nutella di sempre aveva raggiunto un nuovo status di inaccessibilità. Nella Pam sotto casa mia ora è conservata sotto chiave, in una piccola teca che la differenzia dalle altre patetiche creme spalmabili alla mercé di chiunque. «Rivolgersi al personale in cassa» recita la targhetta che eleva la Nutella a bene di lusso, alla stregua dello zafferano e del Bombay gin.

La perfezione

C’è stato un tempo in cui la Nutella era di sinistra, grazie a Nanni Moretti, poi Salvini l’ha resa di destra. Ora che è plant based ed elitaria procede a grandi passi verso la gauche caviar, in attesa che il barattolo venga ridisegnato da Fornasetti per un Fuorisalone (mi sento che è questione di mesi).

Intanto io ho comprato la Nutella nuova all’Esselunga e sarà che non compravo nemmeno quella vera più o meno da quando la mia amica se la mangiava a cucchiaiate, sarà che da anni ormai faccio colazione con un latte vegetale che si chiama “Non è latte” e sa di latte vaccino ma non proprio, sarà che mi sembrava di stringere fra le mani un oggetto preziosissimo e raro, ma quando finalmente la assaggio ritrovo l’inequivocabile sapore della perfezione.

Poco dopo arriva un retrogusto ancora più dolce, l’idea del tutto infondata che essendo un prodotto vegetale sia anche dietetico. Praticamente è come mangiare una verdura, mi dico mentre spalmo un’altra fetta biscottata. Il latte è stato sostituito da ceci, sciroppo di riso e pensiero magico, ma nessuno di questi ingredienti fa dimagrire.

© Riproduzione riservata