I magistrati di Firenze indagano per concorso in strage il fondatore di Forza Italia e il suo braccio destro, l’inchiesta avviata nel 2017, a differenza del passato, potrebbe non chiudersi con l’archiviazione
- Sappiamo che quest'ultima inchiesta non è come le altre. Non sappiamo se finirà con una richiesta di rinvio a giudizio come qualcuno sussurra, sappiamo però che - mai come ora - le indagini sono a un punto dove non erano mai arrivate. Cose da far venire i brividi. E, infatti, c'è chi sta tremando.
- Dopo quattro archiviazioni nelle carte c'è qualcosa di più, ci sono nuovi elementi a carico di coloro i quali con tanti distinguo vengono definiti «mandanti altri» o «concorrenti esterni».
- Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi, fondatore di Forza Italia e padrone del partito, sono indagati per concorso in strage. Comprensibilmente si dicono «inorriditi» per tale sospetto avanzato nei loro confronti, per gli avvocati che li assistono «è un'infamante ricostruzione».
È passato più di un quarto di secolo da quando sono diventati “Alfa” e “Beta” a Caltanissetta e “Autore 1” e “Autore 2” a Firenze, sigle per coprire l'identità di uomini molto importanti, uno nientemeno che a capo del governo italiano. Ancora prima, a Palermo, erano stati anche “M” e “MM” in compagnia di un certo "MMM“ che come occupazione temporanea aveva quella di stalliere, a tempo pieno invece faceva il mafioso della famiglia di Porta Nuova e ad Arcore badava ai “cavalli”. Scritto proprio così: con le virgolette.
Chissà se oggi, Silvio Berlusconi e il suo fedele amico Marcello Dell'Utri sono stati inseriti nel registro degli indagati “per concorso in strage” - e ancora una volta a Firenze - con i loro veri nomi o con qualche altra abbreviazione o monogramma che nasconda le generalità, chissà come diavolo li hanno chiamati per investigare su di loro e intorno a loro per le bombe mafiose del 1992 e quelle “in Continente” del 1993. Non lo sappiamo, sappiamo però che quest'ultima inchiesta non è come le altre.
Non sappiamo neanche se finirà con una richiesta di rinvio a giudizio come qualcuno sussurra, sappiamo però che - mai come ora - le indagini sugli attentati di Firenze e Roma e Milano, sono a un punto dove non erano mai arrivate. Cose da far mettere i brividi. E, infatti, c'è chi sta tremando.
La resa dei conti
Dopo l'uccisione di Falcone e Borsellino, qualcuno ha aiutato e addirittura suggerito ai corleonesi di seminare terrore in Italia e avvertire lo stato che con cosa nostra bisogna sempre scendere a patti.
Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi, fondatore di Forza Italia e padrone del partito, sono scivolati in questo gorgo di sospetti. Comprensibilmente si dicono «inorriditi» per tale sospetto avanzato nei loro confronti, per gli avvocati che li assistono «è un'infamante ricostruzione», da più parti si grida allo scandalo per un'inchiesta infinita che ha come bersaglio permanente la coppia brianzola-palermitana che dal niente ha conquistato l'Italia.
Ma l'ultima indagine sulle stragi, aperta nel 2017 dopo gli obliqui messaggi lanciati dal carcere dal boss Giuseppe Graviano che colloquiava con il suo compagno d'aria Umberto Adinolfi, ha dentro di sè molto altro rispetto alle precedenti esplorazioni sui fiancheggiatori dei boss “a volto coperto”. È una sorta di resa dei conti finale.
Non è un caso che nelle ultime settimane si sia registrata un'intensità di attività investigative fra Firenze e la Sicilia, inseguendo tracce lasciate dai soldi, il pretesto per indagare sui massacri. Di questo impegno particolarmente gravoso dei pubblici ministeri fiorentini vi è perfino testimonianza all'inaugurazione dell'anno giudiziario del capoluogo toscano del gennaio scorso, stralci di relazioni dedicati alle incombenze degli uffici requirenti: «La distrettuale antimafia di Firenze, è tuttora impegnata nella complessa e delicata attività di indagine volta a chiarire i punti ancora oscuri delle stragi di mafia». Più chiaro di così non si può.
Alla procura nazionale antimafia di via Giulia a Roma c'è una riunione dopo l'altra, c'è un via vai di procuratori delle distrettuali coinvolte nell'inchiesta. Quelli di Caltanissetta competenti per territorio su Capaci e via D'Amelio, quelli di Palermo investiti della trattativa Stato-mafia, quelli di Reggio Calabria che hanno già portato a giudizio il siciliano Giuseppe Graviano e il calabrese Rocco Santo Filippone ottenendone la condanna in Corte di Assise. Ergastolo per l'omicidio dei brigadieri dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo uccisi il 18 gennaio 1994 a Scilla, un'altra tessera del quadro: la partecipazione della 'Ndrangheta agli attentati contro lo Stato. È nella sostanza una riproposizione, in versione aggiornata, di quei “sistemi criminali” già individuati negli anni Novanta: le mafie, la destra eversiva, le logge segrete, pezzi di apparati. Nel mirino ci sono loro: Berlusconi e Dell'Utri. Basta incastrare insieme i fatti, metterli in fila, rileggere qualche documento come il verdetto pronunciato a Reggio l'estate scorsa e tornare all'Italia di quasi trent'anni fa.
La mafia terrorista
Le stragi che mandano in frantumi la stabilità del paese, il governo che cede non confermando il carcere duro per 300 mafiosi, la mafia che diventa “terrorista”.
Si comincia a Roma il 14 maggio con l'attentato a via Fauro contro Maurizio Costanzo, famoso conduttore della berlusconiana Canale 5, protagonista di trasmissioni contro la mafia ma anche contrario alla discesa in campo di Silvio Berlusconi. Costanzo e Maria De Filippi si salvano per miracolo. E si continua.
Uno degli “ispiratori” è Paolo Bellini, esponente della destra eversiva, killer per conto di ‘Ndrangheta e oggi a processo per la strage di Bologna. È lui che indica ai boss siciliani di colpire il patrimonio artistico del paese.
Vogliono buttare giù la torre di Pisa, vogliono infettare le spiagge della riviera romagnola con siringhe infettate di Hiv. Un delirio.
L’anticamera della strategia stragista è la collocazione di un proiettile di artiglieria pesante nei giardini di Boboli.
È il 5 novembre 1992. Tra maggio e luglio 1993 le bombe colpiscono gli Uffizi a Firenze, la chiesa di San Giorgio in Velabro e la basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, il padiglione di arte contemporanea a Milano.
La mafia uccide innocenti, mette in ginocchio lo stato. Le bombe del 27 luglio atterriscono i palazzi della politica si teme il golpe. Una sera c'è un black out a Palazzo Chigi, Carlo Azeglio Ciampi che guida un governo tecnico, ha paura per la tenuta democratica.
Il paese è sconvolto. La mafia siciliana è alla ricerca di un'alternativa alla vecchia politica che non è più affidabile e che non ha mantenuto i patti - come per esempio “il buon esito del maxi processo” istruito da Falcone e finito con le condanne in Cassazione nel gennaio del '92 - puntando su una nuova forza politica che potrebbe garantirla in futuro.
Le archiviazioni e le condanne
Sembra una storia vecchia, del passato. È infatti nel lontano 1994 che, per la prima volta, Berlusconi e Dell'Utri rotolano nell'indagine di Caltanissetta sull'uccisione di Falcone. L'archiviazione arriva due anni dopo «per la friabilità del quadro indiziario». E mentre in Sicilia chiudono, a Firenze aprono per l'attentato ai Georgofili. Sempre loro, Silvio e Marcello.
C'è un pentito, Salvatore Cancemi, che racconta di misteriosi accordi fra Riina e «quelli di là sopra». Il riferimento è «ad ambienti imprenditoriali milanesi». I procuratori fiorentini non trovano riscontri, l'indagine accelera e frena, a un certo punto pare decollare ma poi si inabissa. Alla fine del dicembre 2007 l’inchiesta numero 3197/96 è in archivio.
Poi arriva Gaspare Spatuzza che, oltre a riscrivere il processo sulla strage Borsellino che va a revisione sbugiardando il falso pentito Vincenzo Scarantino, svela un incontro. È al bar Doney di via Veneto a Roma, il 21 gennaio 1994 quando Spatuzza è faccia a faccia con “Madre Natura”, così chiamano Giuseppe Graviano che è al tempo è latitante: «Mi fece il nome di Berlusconi. Gli chiesi se fosse quello di Canale 5 e lui rispose in maniera affermativa. Aggiunse che in mezzo c’era anche il nostro compaesano Dell’Utri e che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani».
L'inchiesta su Berlusconi e il “compaesano” rimane sospesa sino a quando è lo stesso Giuseppe Graviano a farla riaprire. È "Madre Natura”, con i suoi messaggi trasversali nelle lunghe conversazioni intercettate nel carcere di Tolmezzo con suo fratello Filippo, a convogliare l'inchiesta sui mandanti esterni dov'è esattamente adesso.
Un piccolo ma non secondario passo indietro. Quando a Palermo nel 1993 viene aperta l'indagine su "M”, "MM” e "MMM”, la posizione di Berlusconi è archiviata e intanto lo stalliere di Arcore Vittorio Mangano passa a miglior vita.
Le indagini proseguono solo su Dell'Utri. Condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa nel 2014, MM viene riconosciuto garante di un patto stipulato, dal 1974 al 1992, fra Cosa Nostra e Silvio Berlusconi.
Subito dopo - ma siamo solo al primo grado - il senatore si prende una condanna a 12 anni anche nel processo sulla trattativa Stato-mafia. Qui non è più “cerniera” fra le famiglie palermitane e il suo amico Silvio, ma “portatore” della minaccia mafiosa contro l'allora presidente del Consiglio. Che è sempre Berlusconi.
La nuova indagine
L'inchiesta è aperta dal procuratore capo della repubblica di Firenze Giuseppe Creazzo, dal sostituto Luca Turco e dal procuratore aggiunto Luca Tescaroli, un pm che ha “il sapere” sulle stragi del '92 e del '93. Dopo aver vinto il concorso in magistratura, Tescaroli è designato alla procura della repubblica di Caltanissetta, primo incarico l'indagine su Capaci.
Alle “dichiarazioni” di Graviano, confidate ad Adinolfi, seguono indagini. Ma cosa dice, in sostanza, di così clamoroso “Madre Natura” dal 2016 al 2017 durante l'ora di socialità? Premesso che Graviano è un mafioso, premesso che Graviano in quanto mafioso è maestro di doppi e tripli giochi, premesso che Graviano in quanto Graviano sa benissimo che in carcere ogni suo sospiro viene catturato dalle “cimici", ecco cosa ci fa sapere.
Primo: «Lo volevano indagare…Berlusca mi ha chiesto questa cortesia.. per questo è stata l’urgenza».
Secondo: «Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa». La decifrazione che ne fanno gli inquirenti è questa.
«Voleva scendere» rimanda all’idea di Berlusconi di scendere in politica già prima del 1994. «Ci vorrebbe una bella cosa» rimanda all’idea di una strage per destabilizzare, in modo da favorire l’arrivo dell’“uomo nuovo”. La «cortesia» rimanda al «colpo di grazia» di cui parla anche il pentito Gaspare Spatuzza. Il «colpo di grazia» è un'altra strage.
Una settimana decisiva
Alla fine del 2020, i procuratori di Firenze vanno ad interrogare Spatuzza. E per analizzare l'ipotetico triangolo Graviano-Dell'Utri-Berlusconi, si concentrano su una settimana decisiva per il destino di quest'inchiesta. E' quella che va dal 21 al 28 gennaio 1994.
Spatuzza incontra il 21 Giuseppe Graviano al bar Doney. In quegli stessi giorni, a Roma, c'è anche Dell’Utri. Dorme all’hotel Majestic, poco lontano da via Veneto e in attesa della convention nella quale sarebbe stata annunciata la nascita del partito di Forza Italia e la famosa “discesa in campo” di Berlusconi. Graviano dimora in una villa a Torvaianica, vicino alla capitale.
C'è un altro pentito che conferma la versione di Spatuzza. È Antonio Scarano (muore nel 2004), che ricorda di avere accompagnato Spatuzza al bar Doney e di averlo visto parlare con un uomo che Spatuzza chiama “Madre Natura”. C'è di più. Scarano dice che, lui e Spatuzza, sono andati anche a Torvaianica. Coincidenze rilevate dalla nuova indagine.
L’ultima parte del racconto di Spatuzza riguarda l’attentato finale, il «colpo di grazia» per destabilizzare il paese in vista dell’uomo nuovo. Il 23 gennaio del 1994, davanti allo stadio Olimpico, c'è un'autobomba «per uccidere un bel po' di carabinieri..non tre o quattro...almeno cento» in servizio d'ordine pubblico. È domenica, la Roma gioca contro l'Udinese e una Lancia Thema color bordeaux, imbottita di tritolo e tondini di ferro, è pronta a esplodere. Fuori dalla stadio Spatuzza ha in mano il telecomando. Qualcosa non funziona, “un problema tecnico”, l'auto non fa strage. Tre giorni dopo, il 26 gennaio, Silvio Berlusconi annuncia la sua discesa in campo con uno spot che viene trasmesso per la prima volta dal Tg4, il famoso «L’Italia è il paese che amo». Berlusconi annuncia: «Ciò che vogliamo offrire agli italiani è una forza politica fatta di uomini totalmente nuovi». L'ultima settimana del gennaio '94 finisce giorno 27, a Milano. Quella sera, Giuseppe e Filippo Graviano vengono arrestati al ristorante "Gigi il Cacciatore”. Cadono in trappola. C'è Giuseppe D'Agostino, un palermitano di Brancaccio, che sta accompagnando suo figlio Gaetano - un talento calcistico che poi giocherà anche in Nazionale - a una prova per i “pulcini” del Milan. Non si sa come, non si sa perché ma i Graviano vengono presi. Dichiarerà sibillino "Madre Natura” nell'aula della Corte di Assise di Reggio: «Se i carabinieri diranno la verità su come sono andati i fatti, se anche D’Agostino dirà chi li ha invitati a fare il provino al Milan..voi scoprirete chi sono i veri mandanti». Chi fa la “soffiata” per far scivolare nella rete i Graviano e proprio in quel momento? E' questo uno dei punti centrali della vicenda delle stragi. La procura di Firenze ha delegato la Dia, la direzione investigativa antimafia, di indagare sulla cattura dei Graviano a Milano.
Bombe e trattative
Facciamo un altro piccolo passo indietro sul fallito attentato all'Olimpico. In quella fine di gennaio 1994 l'Italia è allo sbando, i partiti devastati da tangentopoli, il paese sotto choc per le stragi di Cosa Nostra, il governo dimissionario e le Camere già sciolte. Cosa sarebbe accaduto se il telecomando nelle mani di Spatuzza avesse funzionato? E cosa invece accadde veramente?
Nelle motivazioni della sentenza Stato-mafia della Corte - inchiesta dei pubblici ministeri Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene - che ha condannato in primo grado, oltre il senatore Dell'Utri, anche i capi del Ros, raggruppamento operativo speciale, dei carabinieri Mario Mori e Antonio Subranni insieme a Leoluca Bagarella (Totò Riina è già deceduto) ci sono interessanti indizi da rincorrere. Nelle 5222 pagine delle motivazione c'è scritto che il fallimento dell'attentato e l'arresto dei fratelli Graviano «ha mutato il corso delle cose e forse 'salvato' il Paese da anni sicuramente bui e tristi».
I giudici sono convinti che, senza il «dialogo» dei carabinieri sollecitato ai vertici mafiosi per sospendere la contrapposizione frontale con lo Stato, la “spinta stragista” si sarebbe inevitabilmente esaurita con la cattura di Riina nel gennaio '93. Invece un pezzo di Stato si siede a patteggiare con la Cupola e a quel punto i mafiosi “fanno la guerra per fare la pace”. Seguono altre trattative sul 41 bis da cancellare. La contropartita al «colpo di grazia» e alla «bella cosa», sarebbe arrivata con il primo governo Berlusconi. Quella contropartita si sarebbe tradotta nel cosiddetto “decreto Biondi” che viene ritirato per l'opposizione della Lega e di Roberto Maroni, un decreto che vuole rivedere la carcerazione preventiva e che è appoggiato da un fronte che tra i sostenitori più accesi ha anche Licio Gelli. Il contenuto del provvedimento sarebbe stato conosciuto con anticipo da Cosa nostra. Una misura riproposta anche mesi dopo in altra forma, poi cancellata, però, dalla caduta del governo.
Vecchie indagini di procure che s'incastrano, sentenze che diventano pilastri di impianti accusatori, investigazioni che cercano i pezzi mancanti.
Graviano che “parla”
Sepolti vivi al 41 bis, Giuseppe Graviano e suo fratello Filippo, cominciano a "parlare” di Berlusconi quando sono a Tolmezzo nel 2007. Sono delusi perché Berlusconi ha reso definitivo il 41 bis e non ha mantenuto i patti. Loro, i più irriducibili fra i Corleonesi, fanno capire «di essere stati venduti» dopo gli accordi degli anni '90. Per un po’ stanno zitti.
Poi riprendono. Di Berlusconi, "Madre Natura” dice che avrebbe tradito la sua fiducia lasciandolo marcire nei bracci del 41 bis: «Ti ho portato benessere, 24 anni fa mi è successa una disgrazia, mi arrestano, tu cominci a pugnalarmi, per che cosa? Per i soldi..» Gli avvertimenti sono ciclici, ma in qualche modo “pesati”. Diventano macigni il 7 febbraio del 2020, in udienza pubblica, al processo sulla 'Ndrangheta stragista a Reggio.
"Madre Natura” cita ancora Berlusconi: «Da latitante l'ho incontrato per tre volte». L'ultima, aggiunge, nel dicembre del 1993, quindi un mese prima del suo arresto a Milano e in coincidenza della famosa "discesa in campo”. Continua: «Con Berlusconi abbiamo cenato insieme..a Milano 3 in un appartamento..».
Poi spiega che all'imprenditore sono finiti i soldi di suo nonno materno Filippo Quartararo: «Li aveva messi nell'edilizia al Nord, il contatto è col signor Berlusconi ...». Gli avvocati del leader di Forza Italia annunciano querele a raffica.
Giuseppe Graviano ha un risentimento profondo con Berlusconi. Non è un pentito e non è un imputato qualunque, è un mafioso, anzi è il mafioso che più di ogni altro - insieme a Riina - quelle stragi le ha volute. È un mago nel mescolare il vero e il falso, giocoliere delle mezze parole. Così si arriva fino al novembre scorso, quando lo interrogano nel carcere di Terni e lui, per la prima volta, risponde. È di qualche settimana fa la notizia della sua decisione di dissociarsi, approfittando delle sentenze della Corte di Strasburgo e quelle della Corte costituzionale che apre ai permessi premiali ai boss. Il suo obiettivo è uscire dal carcere. In un modo o in un altro.
Nelle indagini di Firenze una “fonte” significativa è diventata anche Salvatore Baiardo, un gelataio di origini siciliane che all’inizio degli anni 90 offre riparo ai fratelli Graviano durante la latitanza. Baiardo, recentemente intervistato da Paolo Mondani per “Report”, rivela di altri incontri fra “Madre Natura” e Berlusconi e particolari in più su quei soldi che da Brancaccio sono partiti per Milano. Baiardo,poco ma sicuro, parla per conto di "Madre Natura”. Che sia vero o no quello che dice, lo scopriranno i procuratori di Firenze, gli stessi che stanno valutando se chiedere un processo per Berlusconi e dell'Utri per le stragi che hanno insanguinato l'Italia.
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