La prima delle due sessioni conclusive del sinodo convocato da Francesco si è chiusa senza sussulti clamorosi. Tutti i temi controversi sono ancora sul tappeto, dal diaconato aperto alle donne al celibato obbligatorio per i sacerdoti. Tuttavia l’assise ha chiesto che i vescovi siano coadiuvati nel governo delle diocesi da laici, uomini e donne. E che rispondano alle loro comunità, in base a criteri di trasparenza, sulla gestione finanziaria, pastorale e sui casi di abuso sessuale.
Si è chiusa domenica, con la messa celebrata da papa Francesco nella basilica vaticana, la prima delle due sessioni conclusive del sinodo sulla sinodalità nella chiesa. Dalle quattro settimane di discussione non sono emerse novità sconvolgenti rispetto a tanti temi controversi in discussione da tempo: dal celibato obbligatorio dei sacerdoti, al diaconato femminile, al tipo di accoglienza che si intende realizzare nella chiesa verso le persone Lgbt. Su tutte queste problematiche, tuttavia, il dibattito resta aperto e di fatto si invita la chiesa, attraverso le sue istituzioni, a individuare delle risposte concrete per la sessione conclusiva del sinodo che si terrà nell’ottobre del 2024.
Le novità più significative dell’assise, riguardano invece l’esercizio del potere e le funzioni di chi lo esercita. Di fatto, e qui la richiesta votata dall’assemblea è esplicita nella relazione conclusiva, si propone «di rendere obbligatorio il Consiglio episcopale, e il Consiglio pastorale diocesano o eparchiale, e di rendere più operativi, anche a livello di diritto, gli organismi diocesani di corresponsabilità» intervenendo sui relativi articoli del codice di diritto canonico. Il principio viene poi spiegato per esteso: «Sulla base della comprensione del popolo di Dio quale soggetto attivo della missione di evangelizzazione, si codifichi l’obbligatorietà dei consigli pastorali nelle comunità cristiane e nelle chiese locali. Insieme, si potenzino gli organismi di partecipazione, con un’adeguata presenza di laici e laiche, con l’attribuzione di funzioni di discernimento in vista di decisioni realmente apostoliche». In sostanza, si chiede una guida il più possibile collegiale, o sinodale, della diocesi in cui il vescovo si debba confrontare con chierici, laici e laiche, quando prende delle decisioni.
Abusi e accountability
Nella medesima direzione va la richiesta di attivare «in forme giuridicamente da definire, strutture e processi di verifica regolare dell’operato del vescovo, con riferimento allo stile della sua autorità, all’amministrazione economica dei beni della diocesi, al funzionamento degli organismi di partecipazione e alla tutela nei confronti di ogni tipo di abuso».
In questo senso, inoltre, si spiega che il primo luogo in cui applicare la pratica della rendicontazione (l’accountability, alla base della trasparenza gestionale in ogni ambito, dagli aspetti finanziari a quelli legati ai procedimenti nei casi di abuso sessuale), è quello degli organismi di corresponsabilità. «Gli organismi di partecipazione – si afferma infatti nella relazione conclusiva dell’assemblea – rappresentano il primo ambito in cui vivere la dinamica del rendiconto di chi esercita compiti di responsabilità. Mentre li incoraggiamo nel loro impegno, li invitiamo a praticare la cultura del rendiconto nei confronti della comunità di cui sono espressione».
Ma anche da parte dei vescovi, arriva una richiesta importante, il tema è quello degli abusi sessuali e il rischio, quasi inevitabile, di cadere in un conflitto di interessi: «La questione delicata della gestione degli abusi – afferma il testo votato dall’assemblea – pone molti vescovi nella difficoltà di conciliare il ruolo di padre e quello di giudice. Si chiede di valutare l’opportunità di affidare il compito giudiziale a un’altra istanza, da precisare canonicamente». Non è cosa da poco, si tratterebbe di affidare a un organismo specifico l’aspetto giuridico dei casi di abuso a livello diocesano.
Nomine dei vescovi e sinodi
Anche sulle nomine dei vescovi, nel documento conclusivo ma comunque provvisorio in attesa della sessione del prossimo anno, c’è un passaggio importante: «L’Assemblea – si afferma – chiede di avviare una verifica dei criteri di selezione dei candidati all’episcopato, equilibrando l’autorità del nunzio apostolico con la partecipazione della conferenza episcopale. Si richiede anche di ampliare la consultazione del popolo di Dio, ascoltando un maggior numero di laici e laiche, consacrate e consacrati e avendo cura di evitare pressioni inopportune».
Anche il governo centrale della chiesa è stato investito dal vento della sinodalità: «Si propone di valorizzare e rafforzare l’esperienza del Consiglio dei cardinali (C-9) come consiglio sinodale a servizio del ministero petrino». Il C-9 è il consiglio dei cardinali, istituito da Francesco per coadiuvare il vescovo di Roma nel governo della chiesa universale. Ancora, ci si chiede se «alla luce dell’insegnamento del Concilio Vaticano II, occorre esaminare attentamente se è opportuno ordinare i prelati della curia romana vescovi».
In generale poi, a conferma di quanto sia stato rilevante, perlomeno in alcuni Paesi e aree continentali, il processo sinodale in atto, si chiede di ampliare ogni istanza partecipativa: «Sulla base degli approfondimenti richiesti circa la configurazione dei raggruppamenti di chiese, si dia attuazione all’esercizio della sinodalità a livello regionale, nazionale e continentale», quindi si aggiunge un’ulteriore richiesta di codificazione giuridica: «Si elabori una configurazione canonica delle assemblee continentali che, nel rispetto della peculiarità di ogni continente, tenga nel dovuto conto la partecipazione delle conferenze episcopali e quella delle chiese, con propri delegati che rendano presente la varietà del popolo fedele di Dio».
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