«Io non sono amica di nessuno da queste parti. Non conoscevo niente della Calabria, ma la parola Locride la conoscevo pure io che vivevo nelle Marche. Appena sono arrivata qui c'è stata una retata, hanno portato via dei medici, già che erano pochi li hanno pure portati via». Lucia Di Furia, medico chirurgo con specializzazione in psichiatria e oncologia, è dal giugno dell’anno scorso la nuova direttrice generale dell’azienda sanitaria più disastrata d’Italia, l’ASP di Reggio Calabria, sciolta per infiltrazioni mafiose nel 2019 e di cui Di Furia è stata commissaria straordinaria per circa un anno, dopo una lunga carriera nella sanità marchigiana.

Presadiretta l’ha incontrata all’Ospedale di Locri gestito direttamente dall’ASP reggina. Durante l’intervista, che verrà trasmessa lunedì 11 marzo all’interno della puntata dal titolo “Sanità S.p.a.”,  Di Furia va dritta al punto: «Ho avuto paura, devo essere onesta, ho avuto un episodio legato al mio ruolo, per altro poco tempo dopo che ero arrivata. Subite le pressioni ho capito una cosa sola, che stavo nel posto giusto. Ho detto: se è così che mi vogliono mandar via, allora è sicuro che rimango».

Sanità a pezzi

Al centro di scandali giudiziari che hanno portato ad arresti di medici conniventi con la criminalità organizzata, la Calabria è oggi l'ultima regione in Italia per spesa corrente in sanità ed è la prima per migrazione sanitaria.  Lo spiega l’ultimo Rapporto Svimez, l’autorevole agenzia per lo sviluppo industriale del mezzogiorno, dal titolo: “Un Paese, due cure. I divari Nord-Sud nel diritto alla salute”. Negli ultimi 10 anni tredici regioni del sud hanno versato 14 miliardi di euro a quelle del nord per far curare i propri cittadini, 2,7 miliardi sono della Calabria. «Il caso calabrese è emblematico della debolezza dei servizi sanitari regionali del Mezzogiorno», si legge nel rapporto Svimez «caratterizzati da bassa intensità dell’intervento pubblico in sanità e deludenti livelli di servizi di prevenzione e cura di qualità».

In Calabria abbiamo incontrato il dottor Vincenzo Amodeo, primario di cardiologia dell’Ospedale “Santa Maria degli Ungheresi” di Polistena, nella Piana di Gioia Tauro, nominato lo scorso settembre primario ad interim anche presso l’Ospedale di Locri. «Qui bisogna fare una rivoluzione culturale e poi dopo che avrai fatto la rivoluzione culturale, vai a combattere e vincerai la guerra», dichiara Amodeo alle telecamere di Presadiretta, per poi aggiungere che «quando sono arrivato a Locri ho detto: siamo in regime di guerra. Quando si va in guerra bisogna avere armi e soldati. Le armi sono le attrezzature, i soldati sono i medici».

Da anni Amodeo combatte contro le nicchie di potere che soffocano la sanità calabrese e che, come nel resto d’Italia, soffre di drammatiche carenze di personale. In suo soccorso, nell’ultimo anno, sono arrivati in questa regione quasi 300 medici cubani. Nonostante questo, nel reparto guidato dal dottor Amodeo a Polistena, polo di eccellenza tra i primi in Calabria, si lavora ancora sotto organico, con la metà dei medici e degli infermieri necessari. «Io sono per la sanità pubblica da sempre, però mi rendo conto - e non riguarda solo la Calabria - che c'è una forma di deriva verso la sanità privata», conclude il primario.

La crisi del servizio pubblico

Ed è proprio questa deriva privatistica occulta della sanità italiana il tema al centro della puntata di Presadiretta di lunedì sera. Attraversando l’Italia da nord a sud (Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Calabria) abbiamo documentato le difficoltà degli ospedali pubblici e lo stato di sofferenza dei pronto soccorso italiani, la diffusione di ambulatori di urgenza e di primo soccorso a pagamento (l’alternativa privata al pronto soccorso), l’aumento incrementale su tutto il territorio nazionale di poliambulatori, frutto di un accordo tra sanità privata e assicurazioni, l’alternativa a pagamento delle case della salute.

Racconteremo in prima persona gli ostacoli affrontati dai cittadini per fissare visite ed esami diagnostici con il Servizio Sanitario Nazionale nei tempi stabiliti dalla legge, documentando al contempo la nascita di sportelli SOS liste di attesa ad opera di volontari della società civile, che si sono attrezzati per applicare la legge e far rispettare il diritto alla salute.

Racconteremo, inoltre, come il privato occupa sempre di più gli spazi lasciati liberi dal pubblico, spiegando le strategie del privato convenzionato per agganciare i clienti. La puntata inizierà con una storia emblematica, che mostra l’inesorabile emorragia di operatori sanitari che abbandonano il nostro paese per fuggire all’estero. Un dato drammatico fotografa la situazione attuale: tra il 2020 e il 2022 180 mila tra medici e infermieri hanno scelto di lasciare la sanità pubblica, migliaia di loro sono fuggiti in Paesi come la Francia, dove abbiamo raccolto le testimonianze di medici anestesisti che guadagnano molto di più e non sono costretti a turni massacranti.

Gettonisti

A sostituirli negli ospedali sono arrivati i medici e gli infermieri a chiamata, comunemente detti gettonisti. Sono organizzati in cooperative e si spostano a seconda del bisogno, dell’offerta e delle condizioni. L’Anac, l’autorità nazionale anticorruzione, ha calcolato che in 4 anni dal 2019 al 2023 i medici e infermieri gettonisti sono costati allo Stato 1,7 miliardi di euro. Una montagna di soldi, con cui si sarebbero potuti assumere 34 mila medici ospedalieri. La spesa più alta in Lombardia con 1400 liberi professionisti in corsia.

Ma c’è chi continua a lavorare nel pubblico, che ha fatto di ospedali come il “Maurizio Bufalini" di Cesena un polo d’eccellenza, punto di riferimento per tutti. Per far capire che cosa rischiamo di perdere, se continuiamo a sotto finanziare la sanità pubblica (48 miliardi di euro tagliati negli ultimi 14 anni), le telecamere di Presadiretta sono entrate in questo grande ospedale pubblico, dove passa non solo la cura, ma anche un pezzo della nostra democrazia.

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