ll giudice Falcone annuncia le sue dimissioni dal pool e poi – convinto dalle pressioni degli amici – le ritira. Gli altri magistrati dell’ufficio istruzione confermano la denuncia di Borsellino «sulla fine della lotta alla mafia». Sotto accusa, però, torna il pool antimafia. E l’imputato principale ancora una volta è lui: Paolo Borsellino.
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul giudice Paolo Borsellino e sull’attento di via d’Amelio a trent’anni di distanza.
Il primo «caso Palermo». Ce ne saranno molti altri negli anni a venire.
I magistrati vengono convocati a Roma, a Palazzo dei Marescialli, per tutto il mese di agosto. Il Tribunale è spaccato.
Il Csm vuole censurare il procuratore Borsellino «perché si è rivolto alla stampa e non nelle sedi istituzionali».
Vogliono la testa di Paolo Borsellino.
Il Consiglio Superiore della Magistratura non può prendersela con se stesso per la scelta di qualche mese prima – la vergognosa esclusione di Falcone a capo dell’ufficio istruzione e la nomina di Antonino Meli – e cerca a tutti i costi un colpevole per la polemica che sta scuotendo l’Italia.
Il giudice Falcone annuncia le sue dimissioni dal pool e poi – convinto dalle pressioni degli amici – le ritira. Gli altri magistrati dell’ufficio istruzione confermano la denuncia di Borsellino «sulla fine della lotta alla mafia». Il consigliere Meli vuole querelarlo per diffamazione. Straparla anche di Falcone. Getta sospetti.
È la realtà che viene capovolta. Sotto accusa torna il pool antimafia. E l’imputato principale ancora una volta è lui: Paolo Borsellino.
Lo ascoltano al Consiglio Superiore della Magistratura. Dice: «Ho riferito solo mie convinzioni mentre si discuteva dello stato delle indagini antimafia. O parliamo per enigmi e per allusioni e parliamo di “una caduta di tensione” e la gente poi non capisce bene che cosa significa, oppure, se questi problemi li dobbiamo affrontare concretamente, dobbiamo citare fatti e mettere il coltello nella piaga e dire che c’è un organismo centrale delle indagini antimafia che in questo momento non funziona più».
Paolo Borsellino ripete il suo atto di accusa a Palazzo dei Marescialli.
Il Guardasigilli Giuliano Vassalli annuncia alla commissione giustizia del Senato: «Io non punirò Borsellino». E invia un ispettore ministeriale in Sicilia, Vincenzo Rovello, un magistrato di grande esperienza e di straordinaria umanità che qualche anno dopo sarà nominato procuratore generale a Palermo.
In una relazione di 54 pagine, l’ispettore Rovello ricostruisce ciò che è avvenuto nel Palazzo di giustizia di Palermo negli ultimi mesi. Conferma al ministro la denuncia lanciata da Borsellino: il consigliere istruttore Antonino Meli ha distrutto il pool antimafia.
Il Consiglio Superiore della Magistratura fa finta di niente. Alla fine di una lunghissima seduta notturna, decide di non «punire» il procuratore capo di Marsala per la sua intervista. Certifica che Paolo Borsellino «ha sbagliato», ma «in buona
fede». È il 14 settembre del 1988. Borsellino se ne torna a Marsala. Falcone resta al suo posto all’ufficio istruzione. Sempre più solo e sempre più disarmato.
Ricominciano gli attacchi a mezzo stampa. Questa volta è il Giornale di Indro Montanelli che va alla carica contro Giovanni Falcone e il pool. Dietro, ci sono i soliti «suggeritori» del Palazzo di giustizia di Palermo. Quelli che odiano Giovanni Falcone sono sempre più numerosi. Sono giorni molto difficili per Palermo. Il sindaco Orlando parla di una mafia che «ha il volto delle Istituzioni».
Alla squadra mobile di Palermo vengono rimossi tutti i capi. Cambia anche l’Alto Commissario Antimafia. Il prefetto Pietro Verga viene sostituito da Domenico Sica. I poliziotti che quell’estate si schierano al fianco di Paolo Borsellino e dei giudici del pool di Palermo, vengono tutti trasferiti. Qualcuno nei commissariati della città. Uno nel luogo più distante da Palermo, dall’altra parte dell’Italia.
È Francesco Accordino, capo della sezione omicidi della squadra mobile, uno dei migliori investigatori siciliani. Prima lo «comandano» a Bressanone, in provincia di Bolzano. Poi lo nominano capo della polizia postale di Reggio Calabria.
Dalle indagini sui boss al furto delle raccomandate.
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