Divertenti, sono divertenti. Le regate veliche di Coppa America a Barcellona sono molto di più di uno spettacolo sportivo, chi sul cellulare, chi su pc al lavoro, chi chiuso nel proprio studio, in migliaia le seguono a pezzi, cambiando magari per qualche giratina altrove ma la partenza e l’arrivo di Luna Rossa Prada uno sguardo prolungato lo meritano quasi giornalmente. Regate che sono sì un trionfo della tecnologia applicata alla nautica – e con l’annoso dibattito “ma questa non è più vela, è una gara di F1”, sì, no, ni, e sul tema si potrebbero scrivere paginate – ma in realtà quei super bolidi a forma di polmone aerodinamico, quelle aerobarche che volano sull’acqua, una volta in regata incorrono anche in situazioni molto basic, molto poco high tech. Per esempio quando talvolta non si abbassa bene il foil e restano piantate tipo pattino zoppo, oppure quando c’è una tempesta di fulmini che le sfiora e lì c’è poco da essere bolidi, meglio fuggire via di gran carriera e mettersi al riparo. O anche quando diventano preda dei capricci del vento, forse uno dei pochissimi elementi chiave delle regate che non può essere addomesticato, controllato, predetto dall’intelligenza artificiale. E così accade che si possano svolgere regate in dislocamento, cioè senza volo, alla modestissima (per loro) velocità di sei nodi e con l’avversario che invece di badare alla sua rotta si metta di traverso e cerchi in tutti i modi di sbarrare la strada. Così si è conclusa la regata in cui la svizzera Alinghi si è presa un punto sui britannici di Ineos, con Ben Ainsle, onorato timoniere inglese da 5 medaglie olimpiche, 4 d’oro e una d’argento, trasformato in una specie di pirata e diretto a tagliar la rotta di chi in quel momento andava più veloce di lui.

E “fattore umano” può essere interpretata anche la manovra azzardata di Luna Rossa in boa che ha cercato una manovra furba per azzoppare gli avversari americani e si è trovata a mollo senza volo, a pasturare ferma con i foil inutilizzabili, appendici inutili se non spira una folata di vento. In fondo è anche in tutto questo il bello o diciamo anche l’imponderabile dello spettacolo velico in corso in Spagna, non sono solo macchine volanti governate dai computer, hanno un’anima che ogni tanto prende qualche clamorosa e inaspettata toppa.

Un circo di sponsor e di velisti ma anche di personaggi che con la nautica hanno ben poco a che fare. I cyclor, ad esempio, i ciclisti a bordo, quattro su un totale di otto membri dell’equipaggio, insieme a due timonieri e due trimmer che regolano soprattutto vele e foil. Nelle regate del 2021 sugli A75 l’equipaggio era composto da undici persone, ora la ciurma si è ridotta e quei quattro chiamati solo a pedalare fanno il lavoro massacrante di una dinamo umana, producono con le loro falcate l’energia elettrica necessaria al movimento delle attrezzature di bordo. Ognuno di loro può produrre tra i 350 e i 450 watt a regata, con punte che possono arrivare a 700 ma quando la tivvù li riprende nel loro sudario di lavoro, grondano gocce di fatica e hanno lo sguardo rivolto verso il basso o anche verso poppa, insomma non vedono niente della regata e restano incollati con le loro scarpette con i tacchetti al pedale-generatore. Vengono persino cazziati se, finita la regata, camminano sulla coperta e rischiano con le loro suole di bucare il rivestimento della barca. 

I pregiudizi sulla partecipazione femminile

E se il mondo del ciclismo in questa edizione 2024 ha preso una clamorosa ribalta, resta invece ancora lontana un’altra fetta del mondo, quella più popolosa, quella delle donne, a bordo non ce n’è nessuna, giusto qualcuna nei team di terra, ma in regata strada sbarrata, né timoniere, né trimmer, cyclor figuriamoci… anche se donne veliste ce ne sarebbero a volontà, campionesse mondiali, olimpioniche, navigatrici solitarie, grandissime skipper. Qualche anno fa Max Sirena aveva accennato alla possibilità di reclutarne una su Luna Rossa ma poi non se ne fece nulla, tutto finì in un chiacchiericcio. «Il concetto di parità di genere, al contrario di quanto accaduto per le Olimpiadi o in altre competizioni veliche di alto prestigio come The Ocean Race o il Vendée Globe, qui non si è ancora concretizzato» sottolinea Alberto Casti, direttore della storica rivista Bolina, «perché la Coppa America è il trofeo più ambito del mondo, dove a sfidarsi sono prevalentemente dei miliardari, si tende a tenere l’asticella più alta e gli assi sono i campioni di sempre». E però ci si sforza verso le “quota rosa”: da questa edizione ai primi di ottobre si correrà infatti la Puig Women America’s Cup, su barche simili ma più piccole, gli AC 40, con Giulia Conti al timone della Luna Rossa e la sua storica compagna di regate mondiali vittoriose, la triestina Francesca Clapcich, andata ad allenare il team femminile della barca Usa.

«Diciamolo, la vela della Coppa America è estremamente maschilista» sorride ma non troppo Caterina Banti, velista fenomeno, oro alle Olimpiadi di Parigi sui Nacra 17 insieme a Ruggero Tita, bis del successo ottenuto ai Giochi di Tokyo nel 2020, «in quel mondo per noi donne ci sono poche opportunità. Devo dire che qualche tempo fa, in maniera indiretta, mi chiesero se fossi disponibile a correre nell’equipaggio femminile della Coppa America ma scelsi di avere più tempo per preparare le Olimpiadi. Ho fatto bene. Dopo quell’approccio molto generico mai più avuto nessun contatto. Però le regate di Coppa America le vedo volentieri, sono molto interessanti, su tattica e tecnica di match race c’è sempre tanto imparare e comunque, se mi chiamassero per la prossima edizione della Coppa ne sarei onorata».

Ma intanto si corre questa e resta il dubbio che ancora sia diffuso il mantra che le donne a bordo siano portatrici di guai, pregiudizi duri a morire. Resta celebre quello che si sentì dire Ida Castiglioni, prima e unica donna italiana a partire nel ’76 per una Ostar in solitario sulla sua barca Eva. Una leggenda della vela come Eric Tabarly la gelò con un: «Parti pure ma non è una cosa per donne».

Il vocabolario della Coppa

Adesso riprendono le semifinali e occorre un piccolo glossario per comprendere i tanti nuovi termini tecnici che ben poco hanno a che fare con la tradizionale terminologia nautica. Boundary, per esempio, confine virtuale entro il quale le barche devono correre, delimitato sia per ragioni di sicurezza che di spettacolarità della performance. Nel caso che uno scafo vada oltre questo confine gli viene assegnata una penalità dagli arbitri, «e qui dentro le barche vanno come flipper» per dirla come Max Procopio, velista del Moro e uno dei più sapienti in tema di Coppa America. O Diamante, che è la linea elettronica, sempre virtuale, che delimita il perimetro dell'imbarcazione e che va da prua a poppa e comprende anche i foil nella loro massima estensione.

C’è anche il Keep Clear Board, che è a due metri all'esterno del diamante ed è un'ulteriore linea definita di sicurezza che costituisce il confine che gli avversari non devono superare. Se i Keep Clear Board di due barche vengono a contatto gli arbitri devono stabilire a chi assegnare la penalità (che consiste in un rallentamento per dare all'avversario un vantaggio di 75 metri, più o meno tre lunghezze della barca). Gli AC75 sono le barche stesse, gli America’s Cup Class di 75 piedi. Sono le "aero-barche" (termine inventato dalla rivista Bolina), polmoni alati in carbonio di 6,5 tonnellate nati dalla collaborazione tra l’architetto francese Guillaume Verdier e Dan Bernasconi, capo del design team di Emirates Team New Zealand, che ha alle spalle la lunga sperimentazione con l’ingegnere genovese Giovanni Belgrano, il genio dei foil.

I wingwash sono invece i "rifiuti" delle vele, col vento che nelle vicinanze dell’imbarcazione subisce variazioni di direzione e intensità soprattutto perché la randa è ormai più simile a un’ala che non a una vela. Trovarsi in questa zona impedisce all'avversario di raggiungere la velocità massima. La VMG, velocity made good, è la velocità di avvicinamento alla boa mentre il Rake è l’inclinazione dell'albero verso poppa che modifica assetto e comportamento della barca. L’ Arm, il braccio, è la struttura che supporta il foil. È uguale per tutti i regatanti e tutta di progettazione e costruzione italiana.

Tecnologia spinta ma queste barche con le appendici del volo arriveranno mai a navigare da diporto, a portare famigliole a fare il bagno nella caletta con le acque chiare? Max Procopio è convinto di sì. «Ci sono già sistemi sperimentali come la prua che si alza e si abbassa e anche i foil potranno essere applicati per barche “da passeggio”: secondo me sono davvero il futuro della vela». 

© Riproduzione riservata