A Montalcino è tradizione ormai consolidata: in occasione della presentazione agli operatori di settore della nuova annata dei Brunello questa viene accompagnata da una valutazione in stelle. Da una, annata insufficiente, a cinque, annata eccezionale. Un giudizio frutto di «analisi chimico-fisiche e organolettiche dei campioni di vino prodotti durante la vendemmia» da parte di una commissione «composta da 20 tecnici che hanno una pluriennale esperienza delle produzioni del territorio».

Uno strumento sulla carta utile ad appassionati e consumatori per orientarsi nella scelta dei millesimi. Per decidere cioè se acquistare più Brunello di Montalcino 2019, annata memorabile, che 2014, vendemmia ai tempi salutata in maniera tutt’altro che calorosa. Tuttavia guardando le valutazioni delle ultime annate balza all’occhio quanto i superlativi vengano abusati: negli ultimi 18 anni, dal 2003 al 2020, la sola vendemmia del 2014, appunto, è stata valutata con tre stelle. Tutte le altre come ottime o come eccezionali: a cinque stelle i Brunello di Montalcino 2020, 2019, 2016, 2015, 2012, 2010, 2007, 2006, 2004. Pur con la consapevolezza si tratti di uno dei territori più importanti d’Italia, in cui lavorano alcune delle più qualificate professionalità del vino italiane, viene il dubbio sia strumento ormai svuotato di ogni utilità.

Il valore delle parole

Si è posto la stessa domanda John Sumner su Vinepair partendo dalle dichiarazioni che hanno salutato la vendemmia del 2023 a Napa, in California: «leggendaria», «la migliore in assoluto» fino a «the vintage of a lifetime». «L'iperbole linguistica sta diventando la norma, anche quando le condizioni sono ben al di sotto della magnificenza, anomala, della 2023 a Napa. Si sta arrivando a una stucchevole ripetitività, con più regioni in tutto il mondo che vantano proclami simili ogni anno o quasi. Questo costante rumore di fondo minaccia di annacquare le lodi che dovrebbero essere riservate ad annate davvero rare».

Sempre in Toscana anche il Vino Nobile di Montepulciano può vantare un filotto di annate molto importanti: dal 2015 al 2021 solo quest’ultima e la 2016 sono state valutate come vendemmie da quattro stelle. Tutte le altre da cinque, il massimo. «Se ogni annata viene dichiarata straordinaria, allora nessuna annata si distingue veramente», ha affermato a Vinepair Nicole Muscari, creatrice di contenuti sul vino.

La fine delle brutte annate

«La moderazione nelle valutazioni è un lontano ricordo, con sempre meno brutte annate, rimaste a difendere un minimo di contrasto contestualizzante: il concetto di “less-is-more” sembra essere scomparso dal repertorio del vino». Sulla stessa linea la più importante giornalista di vino del mondo, Jancis Robinson, che concorda sul fatto che «l’euforia descrittiva e la corsa verso l'alto dei punteggi stiano sfuggendo di mano». Niente di nuovo, si tratta di marketing volto a mantenere alta l’attenzione nei confronti di un territorio e dei suoi vini. Certo tutti questi elogi, alla lunga, rischiano di provocare nel consumatore più attento una sorta di intorpidimento psicologico.

Un altro fattore da tenere in considerazione riguarda quanto «la vinificazione e la viticoltura moderne siano diventate molto più sofisticate nel corso degli ultimi anni, e ogni decennio che passa amplia il numero degli strumenti in mano al produttore» continua Sumner. «Il grande know-how e l’accesso a tecniche che una volta non esistevano consentono a molti di superare gli spigoli di annate difficili, sia in vigna che in cantina. Alcune annate sono ritenute terribili a causa di catastrofi come incendi, etc., ma alcuni producono ottimi vini anche in circostanze difficili».

Niente di più vero: assaggiando alcuni 2014 prodotti a Montalcino è possibile imbattersi in vini di grande valore e insospettabile longevità. Per non parlare poi dei gusti di chi assaggia: chi magari preferisce le sfumature floreali dei Brunello di Montalcino 2018 e chi il raffinato allungo dei 2019.


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