Per quanto piccole, le lenticchie sono state per millenni alimento base dell’umanità e sono annoverate tra i cibi del futuro. Piante adattabili ai climi più svariati e alle terre più siccitose, le lenticchie sono delle guerriere della natura: grazie alla loro capacità unica di fissare l'azoto atmosferico nel suolo, migliorano la fertilità del terreno dove vengono coltivate e, oltretutto, riducono la necessità di fertilizzanti sintetici.

Ma una recente rilevazione ha aperto nuove, interessanti prospettive su questo legume e sulla natura in generale, lasciando intuire che potrebbe esistere una forma di comunicazione anche verso l’esterno.

La fisica applicata alle lenticchie

In una struttura all'avanguardia immersa nelle colline a sud di Roma, tra imponenti macchinari e esperimenti all'apice della tecnologia, un'immagine inaspettata cattura l'attenzione: una ricercatrice intenta a studiare delle lenticchie. Il contesto è quello dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) - Laboratori Nazionali di Frascati, centro nevralgico per la ricerca scientifica d'avanguardia, dedicato a svelare i misteri del Modello Standard, la nostra migliore teoria per descrivere la realtà a livello fondamentale. La ricercatrice è Catalina Curceanu, scienziata di fisica quantistica e definita “ricercatrice degli atomi impossibili”.

Primo Ricercatore presso l’Istituto, Curceanu è impegnata nella progettazione e gestione degli esperimenti dei laboratori nazionali del Gran Sasso sulla fisica adronica e nucleare. Sembra strano vedere una fisica osservare dei legumi, ma Curceanu spera che gli strumenti e i metodi della fisica nucleare possano fare luce sul mistero, vecchio di un secolo, del perché le lenticchie – e altri organismi – emettano costantemente un flusso estremamente debole di fotoni, o particelle di luce, chiamati biofotoni.

I biofotoni

Da lungo tempo si sa che gli organismi viventi comunicano attraverso la luce. I batteri bioluminescenti, come quelli che vivono nelle buie profondità marine, creano spettacolari scie luminose quando disturbati. I funghi luminosi del Brasile segnalano la loro presenza a coleotteri, vespe e altre piccole creature che possano trasportare le spore in altre parti del bosco. Le più note lucciole e le meduse emettono segnali luminosi ben visibili. Ma questi segnali sono diversi dai biofotoni – che emettono una luce a bassissima intensità, non visibile a occhio nudo – scoperti nel 1923 dallo scienziato russo Alexander G. Gurvich mentre faceva esperimenti sulle radici delle cipolle, accorgendosi che emettevano luce.

Hanno affascinato gli scienziati per oltre un secolo, ma siamo ancora lontani dall’averne scoperto la funzione. Mentre alcuni ricercatori li considerano semplici sottoprodotti, altri li vedono come una potenziale via di comunicazione, la cui portata sarebbe rivoluzionaria per la comprensione del mondo e per nuove innovazioni in campo scientifico. Curceanu appartiene a quest'ultimo gruppo e sospetta che all'interno degli impulsi biofotonici si nasconda un regno di segnali quantistici. «Abbiamo sviluppato dei rilevatori, quindi dei misuratori di luce chiamati fotomoltiplicatori, con cui si può misurare in maniera molto sensibile la luce, come quella dei biofotoni», racconta la fisica.

«Uno dei nostri colleghi, il responsabile dell’analisi dati Maurizio Benfatto, è arrivato con l'idea di provare a misurare la luce dei biofotoni, emessa dall'interno degli organismi viventi, ad esempio dalle piante che stanno germinando. Dunque abbiamo creato un ambiente buio e studiato una settantina di semi di lenticchie, misurando con questi rilevatori di luce per qualche giorno cosa succede quando queste lenticchie stavano germinando. Abbiamo visto che emettono una luce molto debole ma rilevabile, l’abbiamo misurata e poi analizzata per capire se queste emissioni fossero “randomiche”, cioè casuali, oppure avessero una struttura più interessante. Ebbene, abbiamo scoperto che l'emissione di per sé ha una struttura temporale, cioè abbiamo trovato delle indicazioni che ci fanno pensare che l'emissione sia correlata a qualche linguaggio. Potrebbe rappresentare la punta dell'iceberg di, potremmo dire, una grammatica delle piante».

Intelligenza vegetale?

Il team di Curceanu, finanziato in parte dal Foundational Questions Institute, FQxI (che mira a catalizzare la ricerca sulla scienza fondamentale) ha monitorato i semi in finestre temporali che andavano da 10 a 60 ore, e il modello di emissioni supporta l'idea che il rilascio di biofotoni sia correlato all'attivazione di diversi gruppi di cellule durante il processo di germinazione.

Ma quali implicazioni ha questa rilevazione, che la scienziata non vuole chiamare “scoperta”? «L’osservazione della luce è un fatto», spiega Catalina, «mentre l'interpretazione dell'analisi non è ancora confermata: per il momento si tratta di nostre ipotesi di lavoro, in attesa di altri finanziamenti. Sarebbe molto interessante scoprirne di più, perché ovviamente le piante e gli organismi comunicano all'interno, ma ora sappiamo che esiste anche una sorta di comunicazione verso l'esterno. Non sappiamo ancora a cosa serva e cosa la produca ma proprio il fatto che abbia una complessità ci fa pensare che potrebbe rappresentare un indicatore di processi che possono in futuro essere dimostrati come un linguaggio delle piante». Magari la capacità di trasmettere informazioni codificate, per esempio sulla crescita, la difesa da minacce esterne o la salute generale, una forma di "intelligenza collaborativa" tra organismi vegetali.

Secondo Curceanu, questo apre spazi per studi molto più complessi e mirati, quali, ad esempio, provare a cercare l’esistenza e l’eventuale funzionamento di fenomeni quantistici nelle piante. «Io personalmente credo che misurare con strumenti così sofisticati come quelli che usiamo per le particelle anche la materia vivente abbia molto senso. Siamo solo agli albori, ma ci arriveremo, come sta già succedendo per lo studio dei fenomeni quantistici nei neuroni».

Possibili scenari futuri

Chiedo a Catalina se questo progetto può aprire a nuove conoscenze relative alla nutrizione. «Guarda, non sulla nutrizione di per sé, perché non sappiamo cosa succede, ma se si riuscirà a capire qualcosa sullo stato di salute della pianta tramite i biofotoni, magari si può ipotizzare di rilevare in futuro le differenze fra piante sane e quelle meno sane, in sofferenza. Poi, come questo si riflette nella nutrizione, non è possibile dirlo con sicurezza, ma intanto possiamo immaginare di avere nuovi strumenti per capire la biologia delle piante, o magari capire come funzionano. Sarebbe una vera svolta, anche per riuscire ad avere una nutrizione più sana».

E un’agricoltura più sostenibile, probabilmente. Il messaggio finale è che serve investire seriamente in questo tipo di ricerca, in cui far collaborare fisici e biologi, con l’obiettivo anche di riuscire a selezionare semi sani, più salutari sin dall’inizio. Sarebbe un bene per tutti. L’umile lenticchia, a quanto pare, ha più da offrire di quanto sembri.

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