Nella narrazione di questi Giochi, con salti quantici tra futuro anteriore inclusivo e trapassato remoto reazionario, dopo aver sentito riesumare l’elogio della cattiveria quale elemento necessario alla vittoria, prima che qualcuno rispolverasse anche la paleodieta e l’indispensabilità delle proteine animali nell’alimentazione di un campione, per fortuna, è arrivato a salvarci Novak Đjoković.

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È stato bellissimo vederlo vincere e piangere. Nella sua lunga carriera non aveva mai mostrato cenni di commozione ma la medaglia olimpica fa evidentemente questo effetto anche ai più maturi e vittoriosi professionisti. Lacrime copiose di gioia e liberazione. Di gioia perché era l’unico alloro che ancora inseguiva. Di liberazione perché non deve essere stato facile lottare per il gradino più alto del podio a soli due mesi dall’intervento al ginocchio; e ancora più difficile deve essere stato farlo a 37 anni sapendo che, molto probabilmente, sarebbe stata l’ultima possibilità.

Invece Nole ce l’ha fatta con una efficienza che proprio non tradiva, in nessun modo, l’enorme differenza di età (15 anni) rispetto al suo avversario, astro nascente, Carlos Alcaraz. Đjoković, il più longevo numero uno della storia del tennis, da anni segue uno stile di vita vegano attingendo i nutrienti da cinque categorie di alimenti: cereali, legumi, frutta, verdura, noci e semi. La scienza attraverso i risultati di metanalisi dimostra da tempo che l’alimentazione vegana non solo è compatibile con ogni fase e condizione della vita (compresa l’infanzia, la gravidanza e appunto l’agonismo) ma addirittura è preferibile per evitare patologie e migliorare i livelli di energia fisica (sempre però rispettando l’apporto calorico quotidiano, la varietà e la qualità del cibo).

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La nobiltà (ovvero la presenza di amminoacidi essenziali) delle proteine vegetali elegge il pistacchio a vincitore sul prosciutto crudo. Tra la capacità di assorbire ferro eme (animale) e non-eme (vegetale) la scienza dice che le lenticchie, magari accompagnate da vegetali ricchi di vitamina C, battono carne bianca, maiale, vitello. Il calcio dei latticini, immerso tra grassi, caseina e lattosio, è meglio sostituirlo con sesamo, verdure a foglia larga, legumi.

La vitamina B12 poi è un problema dell’età moderna, a prescindere dalle scelte alimentari, dunque va monitorata e integrata. Lo afferma da tempo la scienza appunto ma, per chi esercita lo scetticismo e snocciola luoghi comuni lasciamo perdere la ragione e inquadriamo solo 4 parole: Djokovic, vegano, campione olimpico.

Sono sempre di più gli atleti di alto livello che scelgono uno stile di vita veg, che non è semplicemente una dieta che fa bene ma è uno stile di vita attento alla causa ambientale e alla sofferenza inferta agli animali. In passato il docufilm “the Game Changers” ha acceso l’attenzione sul rapporto positivo tra dieta vegetale e sport sia di potenza sia di resistenza. Prima ancora grandi campioni da Carl Lewis a Martina Navratilova, da Edwin Moses alle sorelle Williams hanno dichiarato di avere un orientamento nutrizionale plant-based.

Molti altri noti e meno noti invece preferiscono non parlarne perché, pure le scelte alimentari possono risultare una sfida alle norme culturali e sociali radicate e diventare motivo di stigma. Perché che si tratti di ciò che mangi, chi ami o come appari c’è sempre una parte giusta dove stare e una sbagliata da evitare. E allora grazie a Nole Đjoković, perché quando a sfidare i pregiudizi sono uomini, campioni o meglio leggende viventi come lui, la spinta a riconsiderare le proprie convinzioni rimbalza sopra la ragione per atterrare direttamente in pancia.

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