Nella prossima puntata di Report parla di un’attività da corriere della droga per i clan. A Domani dice: «L’ho visto solo una volta». Quando con la premier aveva già rotto
La sua frase è diventata famosa per aver raccontato il sistema di smaltimento illecito dei rifiuti, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta: «La monnezza è oro». Nunzio Perrella, di mestiere trafficante di droga e di pattume, è diventato un collaboratore di giustizia nel 1992 e ha riempito verbali d’interrogatorio parlando di chili di spazzatura tossica, imprenditori famelici e assessori compiacenti. La famosa frase si chiudeva così: «E la politica è una monnezza».
Un contributo decisivo all’inizio della collaborazione, il ruolo d’infiltrato, le mille interviste degli ultimi anni con indagini aperte e chiuse per mancanza di riscontri. Ora Perrella tira fuori un altro ricordo, consegnato alla puntata di Report di domenica prossima. Nella sua parabola criminale avrebbe incrociato anche il padre della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.
Erano gli anni Ottanta, quelli dei soldi a palate con la droga, un traffico che Perrella abbandona quando scopre l’oro della spazzatura, bassi rischi penali e alti guadagni.
La rottura
Prima di inoltrarsi nelle mille vite del boss, nato e cresciuto al Rione Traiano di Napoli, partiamo da Meloni, padre e figlia. La presidente ha sempre raccontato di aver interrotto i rapporti con il papà nel 1988, otto anni prima che Francesco Meloni (scomparso nel 2012) venisse condannato a nove anni per traffico di hashish da un tribunale spagnolo.
Una vicenda rimossa dal suo racconto pubblico, con la quale, tuttavia, ha dovuto fare i conti quando un giornale delle Baleari ha pubblicato, poco dopo la vittoria elettorale, un articolo sulla condanna del padre ripreso dalle testate italiane. Un racconto che anche Anna Paratore, madre della presidente, ha fatto suo, ma sul quale sono piombati enormi dubbi quando Domani, lo scorso febbraio, ha rivelato che Paratore ha fatto affari per anni con Raffaele Matano, mentre lo stesso era contemporaneamente azionista dell’impresa amministrata dal padre della presidente.
Dati societari e incroci che sposterebbero molto avanti nel tempo il rapporto tra la famiglia Meloni e il padre “rinnegato” per avere abbandonato le figlie e la moglie. Almeno fino al 2004.
Quello che la presidente del Consiglio ci aveva confermato, quando abbiamo pubblicato la nostra inchiesta, era un dato: «Non so nulla della società in Spagna e anche mia madre non ne rammenta nulla. E confermo di non aver avuto alcun rapporto con mio padre da quando ero ragazzina, né li ha più avuti mia madre».
Una vicenda sulla quale nulla aggiunge il racconto del boss-pentito Nunzio Perrella che, infatti, riferisce di un presunto incrocio con Francesco Meloni risalente al periodo nei quali i rapporti familiari si erano già interrotti. Ma cosa dice Perrella?
Gli anni
Nell’anticipazione del servizio televisivo si legge di un Francesco Meloni al servizio di Michele Senese, boss della famiglia Moccia, di stanza a Roma dagli anni Ottanta. Meloni padre, stando al racconto di Perrella, sarebbe stato un corriere della droga per conto di ’O Pazzo: così è ribattezzato Senese per la finta follia che lo ha tenuto per anni fuori dal carcere.
La ragione sarebbe stata economica, papà Meloni era indebitato con alcuni faccendieri romani e si era messo a disposizione di Senese, andando avanti e indietro su un veliero.
«Perrella aggiunge di aver visto quindi Franco con Senese a Nettuno nel 1992», si legge su Repubblica che ha anticipato il servizio tv. Il 1992 è l’anno dell’arresto e della collaborazione di Perrella, quando inizia a riempire i verbali di pubblici ministeri, e a contribuire all’operazione dei carabinieri contro trafficanti e politici, molti salvati dalla prescrizione e dall’assenza di reati ambientali nel codice penale.
Di certo c’è la conoscenza acclarata tra Perrella e Senese, e il resto? Partiamo dall’anno del presunto incrocio. È il 1992? «Fine anni Ottanta, 1990, 1991, in quegli anni. Nel giro c’erano lui e anche Fabrizio Piscitelli (Diabolik, ucciso nell’agosto 2019), erano vicini a Michele e al fratello Gennaro (anche quest’ultimo poi ucciso)», dice Perrella a Domani.
«Lui arrivava, scaricava e andava avanti». Insistiamo: l’ha visto? «Una sola volta poi l’ho riconosciuto in fotografia di recente». Come fa a ricordarsi di lui a distanza di tre decenni, avendolo visto da lontano? Perrella lo spiega così: «Non da lontano, da sei, sette metri. Ricordo perché ho memoria, era un tipo un poco strano, quando vedi una persona te la ricordi. Lui faceva il traffico Italia, Marocco, Spagna. Aveva debiti e si mise a disposizione dei Senese».
Infiltrato e dichiarante
Perrella è stato un collaboratore importante perché negli anni Novanta ha svelato la piramide criminale che governava la gestione dei rifiuti tossici in Italia tra politici, massoni, imprenditori e camorristi.
Dopo anni di silenzio aveva deciso di raccontare tutto per la prima volta. Chi scrive lo ha incontrato nel 2014 per raccogliere le sue dichiarazioni, Perrella si era anche confrontato con i parenti delle vittime delle terre dei fuochi. In quell’occasione aveva fatto riferimento al nord Italia e al Bresciano, ma i pubblici ministeri, dopo averlo ascoltato, non avevano trovato riscontri alle sue parole.
Negli anni Novanta, le indagini avevano documentato logiche di smaltimento criminale anche nel nord del paese. Nel 2017 Perrella ha assunto i panni dell’infiltrato, diventando agente provocatore per Fanpage e documentando la permeabilità del sistema dei controllori nella gestione dei rifiuti campani.
Da lì un profluvio di dichiarazioni, un libro e decine di interviste. Ora il ricordo improvviso sull’uomo del veliero.
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