In diverse parti del mondo, qualcuno sta provando a creare mele a prova di calura, per quanto farlo voglia dire ridurre la biodiversità a favore della resistenza. Nel Maryland, da incroci con la Gold Rush e la Fuji sono nate MD-TAP1 e TAP2, una varietà gialla e una rossa, resistenti al calore e alle malattie crittogamiche
Com’era la mela colta da Eva? Tutti la immaginiamo uniformemente rossa. Ma quella mela potrebbe presto sparire, svanita come il Paradiso perduto in cui è cresciuta. La Wapa (World pear & apple association, associazione che riunisce tutti i produttori dei due frutti) nel solo 2023 ha stimato un calo della produzione del 4 per cento rispetto all’anno precedente, per il sopraggiungere di eventi climatici estremi. E così, se il Paradiso pare immune a ogni rivisitazione dogmatica, purtroppo la mela non resiste alla rivoluzione climatica.
A rischiare di più sono le varietà rossastre, perché il colore della buccia dipende dalla temperatura. Per ottenere una mela rossa, occorre un clima temperato: sopra i 40 gradi, i livelli della proteina MYB10 e dell’antocianina (un pigmento colorante), che conferiscono al frutto le sue sfumature vermiglie, crollano.
È una perdita, non solo estetica: il rosso ha un valore economico, specie sul mercato asiatico. Non a caso, è nata rossa la Cosmic Crisp, una varietà così resistente che si conserva per un intero anno, che è stata lanciata sul mercato nel 2019. La Cosmic è stata concepita nel 1997, nei laboratori della Washington State University, ma sono occorsi quasi dieci anni per metterla a punto. Da molto più tempo, comunque, gli specialisti si interrogano su come la mela, che è il secondo frutto più consumato al mondo (dopo la banana) e che cresce ovunque, possa non solo adattarsi al climate change, ma anche rimanere disponibile tutto l’anno.
Variabili da regolare
Ottenere una triangolazione tra dolcezza, perenne disponibilità e durevolezza sugli scaffali però è molto complicato, e molto costoso. Le mele, come gli umani, sono eterozigoti: due figli degli stessi genitori sono molto diversi. Analogamente due semi di una stessa mela produrranno frutti diversi. Le variabili da regolare dunque sono infinite. Inoltre servono da 5 a 8 anni per capire se una varietà concepita nei laboratori più soddisfare il palato e circa vent’anni per passare dal seme alla commercializzazione di un nuovo tipo di frutto.
Eppure, in diverse parti del mondo, qualcuno sta provando a creare mele a prova di calura, per quanto farlo voglia dire ridurre la biodiversità a favore della resistenza. Nel Maryland (gli Stati Uniti sono i secondi produttori di mele al mondo, dopo la Cina), da incroci con la Gold Rush e la Fuji sono nate MD-TAP1 e TAP2, una varietà gialla e una rossa, resistenti al calore e alle malattie crittogamiche, che richiedono poca manutenzione (gli alberi vanno potati una sola volta) e con rami ricadenti, per facilitare la raccolta.
Un esperimento promosso dalla Hot Climate Partnership (una collaborazione tra l'istituto spagnolo Irta, il Plant & Food Research neozelandese, l'associazione di produttori catalana Fruit Futur e VentureFruit, un'azienda di genetica e gestione delle varietà creata dalla multinazionale neozelandese T&G Global) ha prodotto una seconda mela resistente al caldo e soprattutto alla siccità: la Tutti, nome in codice HOT84A1.
Per arrivarci, tra il 2002 il 2022 ben 253.510 semi sono stati inviati dalla Nuova Zelanda all'Irta, l'istituto di ricerca del governo catalano. In Catalogna, dove d’estate le temperature superano i 40 gradi e la siccità impera, i semi hanno dato vita a 90mila alberi, di cui 357 varietà sono passate al secondo turno di prove, 18 al terzo e 13 al turno finale. Infine, nel 2019, a 17 anni dal primo impianto e dopo due fasi di test in varie località europee, gli alberi sono stati venduti ai coltivatori ed entro la fine del 2024 le prime Tutti potrebbero arrivare nei supermercati spagnoli. Per rientrare dalle spese però gli agricoltori dovranno attendere vari anni.
Costi elevati
L'acquisto di nuovi alberi, il pagamento delle royalties sui brevetti e sui marchi (per ripagare e sostenere la sperimentazione scientifica, l’acquisto di un nuovo tipo di mele è previsto secondo la “formula Club”, ovvero solo ai soci), l'installazione dell'irrigazione a goccia e la protezione dei frutti con reti possono costare fino a 40mila euro per ettaro. D’altro canto, accelerare i tempi di produzione di nuovi frutti non è semplice: l'editing cisgenico, ovvero l’incrocio tra vari tipi di mele, magari tra varietà antiche e moderne, che non è autorizzato dovunque, conferisce vantaggi in termini di resistenza alle malattie, ma rischia di dare poca soddisfazione in termini di gusto dato che, nel corso dei decenni, le elevate temperature hanno incrementato il contenuto zuccherino nei frutti e oggi siamo abituati a mele molto più dolci che in passato.
Una scorciatoia è rappresentata dall’editing genetico tramite la tecnologia nota come Crispr. Invece di aspettare che gli alberi maturino per testarne i frutti, gli scienziati potrebbero silenziare o inserire geni nelle piantine per determinare l risultato. Uno degli strumenti elaborati dal citato Irta catalano è Genodrawing, una metodologia basata sull’intelligenza artificiale che, in base a un data set di oltre 10mila immagini, dai geni prevede i tratti fisici di una mela, come la forma o l’agognato rossore della buccia. Ma la legislazione sulla Crispr è restrittiva e il tempo (anche meterologico) tiranno.
VentureFruit prevede di commercializzare nei prossimi anni cinque nuove varietà di mele e pere, tutte selezionate per tollerare il caldo. Basteranno a soddisfare il fabbisogno mondiale in un clima sempre più arroventato? Il fatto stesso che una mela nata da una partnership tra Spagna e Nuova Zelanda abbia un nome italiano dimostra che la risposta all’emergenza climatica sta nella globalizzazione scientifica. La siccità si contrasta con la collaborazione.
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