Era il 5 ottobre 2017 quando le giornaliste Jodi Kantor e Megan Twohey hanno pubblicato sul New York Times una storia che negli anni successivi si è allargata a tutto il mondo. Era un resoconto dettagliato di decenni di accuse di molestie sessuali contro il produttore cinematografico statunitense e fondatore della Miramax Films Harvey Weinstein. Appena cinque giorni dopo sul New Yorker il giornalista Ronan Farrow rende note le accuse di altre tredici donne, tre delle quali erano per stupro.

In questi sei anni sono emerse molte altre denunce, le accuse si sono moltiplicate e così le negazioni o le giustificazioni di Weinstein. L’ex produttore nel 2020 è stato condannato a 16 anni di carcere da un tribunale di Los Angeles, mentre nei giorni scorsi lo stato di New York gli ha revocato la condanna a 23 anni che gli aveva inflitto. Quei fatti hanno dato vita a quello che si ricorda come Me Too, anche se quello slogan era nato anni prima, nel 2006, quando l’attivista Tarana Burke aveva deciso di aiutare le donne che, come lei, erano state vittime di stupro o molestia sessuale.

Quel 5 ottobre 2017 ha scoperchiato situazioni di violenza diffusa, esercizio del potere, disparità e silenzi forzati che esistevano da molto prima e che continuano a esistere oggi. Il think tank francese Le lab femmes de cinéma dal 2016 lavora sulle disuguaglianze nel cinema e nell’audiovisivo, pubblicando lo “Studio qualitativo sul ruolo delle donne registe in Europa”. L’ultima edizione evidenzia che le donne rappresentano il 50 per cento delle persone che studiano nelle scuole di cinematografia. Ma poi la situazione cambia quando entrano nel mondo del lavoro.

A livello europeo, analizzando i cortometraggi, le registe sono il 34,36 per cento del totale. Percentuale che diminuisce al 23,92 per cento nei lungometraggi e al 15,41 per cento nei film, pari a una donna su sei.

Basandosi sulle statistiche fornite dall’European audiovisual observatory (Eao), Le lab femmes de cinéma ha evidenziato che la quota maggiore di registe in Europa (30 per cento) dirige documentari. Il report sottolinea che «le registe sono proporzionalmente più presenti nei documentari, dove il budget medio è molto inferiore a quello di un film d’animazione o di finzione. Al di là della domanda da parte delle registe in Europa, si pone quindi anche la questione della piccola parte dei bilanci totali che vengono loro assegnati». A livello europeo la media di registe è pari al 23 per cento. Un dato superato da Islanda (37 per cento), Austria (34 per cento) e Francia (26 per cento). Tra i paesi sotto la media c’è anche l’Italia, con appena il 15 per cento di registe sul totale.

Le percentuali comunque sono migliorate se si guardano gli ultimi anni. Tra il 2013 e il 2022, infatti, si è passati dal 19,9 per cento al 22,4 per cento. Se il miglioramento però proseguirà a questa velocità bisognerà aspettare il 2080 per raggiungere la parità.

La maggioranza dei paesi europei negli ultimi anni però si è impegnata per garantire un’industria cinematografica più equa. Solo cinque paesi – Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Serbia, Slovacchia e Ucraina – non hanno introdotto o non prevedono di introdurre in tempi brevi misure per promuovere la parità nella loro industria.

Molestie

Un numero sempre più crescente di stati si interessa al tema della violenza di genere in quest’ambito: nel 2021 erano 12, nel 2023 sono diventati 16. I casi di violenza noti sui set cinematografici hanno incoraggiato alcune troupe, in particolare in Finlandia, Regno Unito, Lussemburgo e Cipro, a ricorrere ai servizi degli intimacy coordinator (coordinatori dell’intimità cinematografici). Si tratta di figure che gestiscono le scene di nudo e di sesso davanti alla telecamera al fine di mettere a proprio agio attori e attrici, nel rispetto delle persone e senza rendere le scene volgari.

Tra gli istituti che più stanno mettendo in campo iniziative per contrastare le molestie c’è il Centre national du cinéma et de l'image animée che dal 2021 ha subordinato i suoi aiuti al rispetto di obblighi specifici in termini di prevenzione e individuazione delle molestie sessuali, prevedendo una formazione obbligatoria e una certificazione in materia.

Inoltre, ha introdotto una clausola assicurativa nei contratti di assicurazione per le riprese cinematografiche che copre il costo di sospensione delle riprese in seguito a denunce di molestie, violenze o aggressioni al fine di consentire alle vittime di parlare senza dover avere paura di perdere tempo e denaro.

Probiviri

Sostegno alla genitorialità

Alcuni centri stanno introducendo anche politiche di sostegno alla genitorialità. Non sono azioni rivolte unicamente alle donne, riguardano chiunque diventi genitore, anche se gli studi dimostrano che sono ancora una volta le madri quelle in una posizione di maggiore svantaggio nel mondo del lavoro. In particolare, ad oggi, sei paesi si sono impegnati su questo tema: Germania, Svizzera, Austria, Croazia, Slovenia e Montenegro.

Pregiudizi

EPA

«Il settore audiovisivo si trova in una posizione privilegiata per plasmare e influenzare le percezioni, le idee, gli atteggiamenti e i comportamenti prevalenti nella società», si legge nella raccomandazione del comitato dei ministri (2017). «Riflette la realtà delle donne e degli uomini, in tutta la loro diversità. I contenuti audiovisivi possono ostacolare o accelerare il cambiamento strutturale verso la parità di genere».

Il settore però è dominato ancora da una maggiore presenza maschile, di conseguenza spesso le storie sono narrate dal punto di vista degli uomini. Secondo lo studio Inequality in 1.100 Popular Films: Examining Portrayals of Gender, Race/Ethnicity, LGBT & Disability from 2007 to 2017 (Annenberg school for communication dell’Università della California del sud, 2018), «un totale di 4.454 personaggi parlanti è apparso nei cento migliori film del 2017, con il 68,2 per cento maschile e il 31,8 per cento femminile.

Questo si traduce in un rapporto di genere sullo schermo di 2,15 maschi per ogni femmina. La percentuale di donne sullo schermo nel 2017 era solo 1,9 punti percentuali superiore alla percentuale nel 2007». Per queste ragioni, alcuni paesi europei si stanno muovendo in quest’ambito, portando avanti un lavoro mirato a decostruire le narrazioni stereotipate.

La situazione italiana

L’Italia si colloca sotto la media europea per numero di film diretti da donne. A partire dal 2016 ha introdotto azioni per cercare di contrastare le diseguaglianze, anche se il raggiungimento – e, perché no, il superamento – dei paesi che guidano la classifica europea rimane ancora lontano. Nel 2021 il ministero ha proposto un bando per progetti sul tema della violenza contro le donne. E Le lab femmes de cinéma sottolinea che «è l’unico bando in cui è stata raggiunta la parità tra direttori uomini e donne». Inoltre, seguendo il modello francese che ha istituito l’Observatoire de l’égalité entre femmes et hommes dans la culture et la communication, l’Italia ha creato un Osservatorio per l’uguaglianza di genere con l’obiettivo di sensibilizzare gli spettatori sulle questioni di genere nell’industria culturale.

Tra le misure che più hanno inciso c’è l’introduzione di una legge (220/2016, anche conosciuta come legge cinema e audiovisivo) che promuove misure a favore delle produzioni realizzate da donne con un sistema di punti che valorizza i progetti in cui il team creativo e quello tecnico sono composti da una buona percentuale femminile. Il ministero della Cultura diffonde annualmente un rapporto che verifica l’impatto della legge di quell’anno. Il più recente è stato pubblicato nel 2023, ma è riferito alla situazione del 2021. Dal report emerge che il 51,82 per cento dei lavoratori nelle imprese di programmazione e trasmissione tv e il 53,85 per cento degli impiegati nelle imprese di postproduzione sono donne. Ma le lavoratrici sono distribuite in modo disomogeneo tra le varie professioni: sono soprattutto truccatrici, parrucchiere, scenografe, arredatrici e costumiste. Scarsa è la presenza tra direttori e maestri d’orchestra (7,35 per cento), regia (43,02 per cento), direzione di scena (45,14 per cento) e di doppiaggio (45,88 per cento).

Negativa anche la situazione riguardante la retribuzione, continua infatti a esistere un divario salariale particolarmente evidente tra i direttori e maestri d’orchestra, per cui le donne ricevono una paga inferiore in media del 62 per cento rispetto agli uomini e del 37 per cento nel caso di regia e sceneggiatura. In aggiunta, i progetti a direzione femminile o prevalentemente femminile sono finanziati meno rispetto a quelli a conduzione maschile.

Qualche passo in avanti si sta facendo nelle opere che beneficiano di aiuti alla distribuzione: il divario di genere in questo ambito è diminuito di cinque punti percentuali rispetto al 2020. Ma il gap continua a essere evidente con l’83 per cento delle opere a direzione maschile.

Quello dell’audiovisivo pare essere quindi uno dei tanti settori che, nonostante gli sforzi e gli incentivi esterni, fatica a coinvolgere le donne per colmare un divario frutto di decenni di predominanza maschile.

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