Dalle lacrime alla speranza. Gli occhioni verdi di Federica non sono già più bagnati dal pianto di disperazione. Sul volto si alternano smorfie di dolore a sorrisi pieni. C’è forse un silenzioso vaffa alla sfiga ma sono soprattutto le frasi di determinazione a far la differenza. Se qualcuno pensa che a 35 anni da compiere, il prossimo 14 luglio, un infortunio, seppure molto serio, possa sconquassare il mondo della Tigre de La Salle, non sa proprio di che pasta sia fatta Federica Brignone.

Appartiene alla razza dei fuoriclasse, un club esclusivo nel quale si entra solo per meriti e sacrifici, per fatica e fermezza, dopo cadute e risalite. Una carriera da leggenda mondiale dello sci alpino per la pienezza dei suoi successi e per una longevità di risultati che dura da 16 anni. Dal primo podio in Coppa del Mondo da teenager, diciannovenne a Aspen nel 2009, al primo argento mondiale in gigante nel 2013 a Garmisch-Partenkirchen. Dalle tre medaglie olimpiche (un argento e due bronzi) spalmate tra i Giochi di Pyeongchang 2018 e Pechino 2022, al capolavoro dell’oro mondiale in età adulta, a 34 anni, conquistato nel suo amato slalom gigante il 13 febbraio di quest’anno a Saalbach-Hinterglemm. Dalla prima Coppa del Mondo vinta nel 2020 in epoca Covid tra gare annullate, zero contatti con pubblico, recapitata come pacco postale, all’apoteosi della Sfera di cristallo che appena 10 giorni fa alzava al cielo a Sun Valley (Usa), insieme alle due Coppe di specialità, quella di discesa, inimmaginabile fino a qualche anno fa, e quella del suo adorato gigante.

Lo stile

Nello slalom tra i pali larghi si diverte a danzare con morbidezza e velocità, una tecnica sopraffina unita a una potenza frutto della programmazione con il fratello allenatore Davide e il preparatore atletico Federico Colli. La sciata di Brignone è sempre stata definita la più intelligente e sicura del circo bianco, per quel suo sapere dosare la componente della velocità e del pericolo, caratteristiche che le hanno sempre evitato di farsi male.

Non a caso, prima d’ora non aveva mai patito infortuni seri, fatta eccezione per una minima frattura al piatto tibiale nell’agosto 2018. Una bazzecola in confronto alla rovinosa caduta sulle nevi dell’Alpe Lusia tra Val di Fassa e Val di Fiemme. Una beffa per lei che ama avere sempre il controllo di ciò che fa, sapere dove si trova in qualsiasi curva. L’urto con il palo della porta blu, l’extra rotazione del ginocchio della gamba sinistra, la caduta e l’immediata percezione della gravità.

Con professionalità non intende sbilanciarsi sui tempi di recupero il dottor Andrea Panzeri, presidente della Commissione Medica della Federazione Italiana Sport Invernali (FISI), l’ortopedico che tutti conoscono per aver operato più di una volta Sofia Goggia, l’ultima nel febbraio 2024. Con l’intervento chirurgico effettuato nella serata di giovedì si è provveduto alla riduzione e alla sintesi della frattura scomposta e pluriframmentaria del piatto tibiale e della testa del perone, l’equipe medica si è riservata di intervenire ancora, in un secondo momento, per la ricostruzione del legamento crociato anteriore.

Le ipotesi sul rientro

Le variabili sono tante, dal decorso post-operatorio alla terapia riabilitativa che è già iniziata. Giusto per avere un’idea si può azzardare un tempo minimo di sette mesi per il rientro. Non ha senso ragionare sulla base della canonica preparazione per la stagione di Coppa del Mondo, anche perché l’obiettivo per il 2026 è uno solo: quello con Milano Cortina. Che percentuali ci sono davvero di vederla in gara alle Olimpiadi in casa nostra? Niente cifre, continuiamo a ragionare per ipotesi, considerando una preparazione ad hoc di almeno 90 giorni per poter essere competitiva, Federica dovrebbe rimettere gli sci ai piedi a novembre. Il tempo c’è tutto, a essere ottimisti. Il fattore anagrafico non dovrebbe essere un problema. Non è più una ragazzina, ovvio, avrà 35 anni ma è un’atleta in piena forza proprio perché la struttura del suo fisico non ha avuto in passato danni di rilievo. Fondamentale sarà la determinazione da Tigre che tutti conosciamo, la continua voglia di crescere che ha dimostrato nel corso della carriera, la precisione maniacale nel voler migliorare in ogni stagione.

Nella sgangherata enciclopedia dei social si rincorrono le analisi dei laureati in so-tutto-io: ma cosa ci è andata a fare agli Assoluti? Ma perché ha voluto gareggiare quando era evidente la sua stanchezza al ritorno dalla trasferta americana delle Finali di Coppa del Mondo? Non hanno saputo tutelarla obbligandola a disputare una garetta. Ogni opinione va rispettata ma queste francamente sono parole che il vento del pressapochismo deve far volare via.

Dovere o azzardo

Chi pensava a una Brignone in pantofole, o spaparanzata sul divano, a riposarsi dopo una cavalcata storica, lunga e certamente stancante, ignora le dinamiche dell’agonismo dello sci alpino. La stagione di ogni atleta d’élite non si conclude con la fine della Coppa del Mondo. Ci sono le gare nazionali, ci sono i giorni di test con le aziende e gli sponsor per provare i nuovi materiali per l’anno successivo. Per Federica, dopo i Campionati Italiani, erano in programma quattro giorni di allenamento con gli sci lunghi, per affinare la velocità che tante soddisfazioni le ha dato in discesa libera. Altro che riposo, l’intero mese di aprile era da dedicare ad allenamenti e prove. L’incognita di un infortunio può accadere in qualsiasi momento. Ha gareggiato all’Alpe Lusia perché vive per i momenti di sfida, li cerca, li rincorre, si è creata come anticorpo un continuo spirito di adattamento, perché non c’è mai una performance uguale all’altra. Adora il gigante perché deve fare due manche nella stessa giornata, vuole essere sul pezzo per provarci, questo è ciò che le dà gusto.

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Proprio perché Federica Brignone è una fuoriclasse non si permetterebbe mai di chiamare “garetta” una prova degli Assoluti. Perché vale un titolo nazionale. Perché non ha mai voluto saltare un Campionato Italiano. Perché ci tiene a rispettare il suo gruppo sportivo dei Carabinieri che l’ha sempre supportata anche quando le cose non giravano bene, o quando doveva ribattere a chi le dava della capricciosa per la scelta di volersi affidare al fratello Davide. Si chiama senso di appartenenza e riconoscenza. Si chiama pure generosità verso le giovani avversarie che rappresentano il futuro dello sci azzurro, e che non vedevano l’ora di gareggiare con lei. Federica è consapevole di essere un esempio per loro, non dimentica quando, da piccola, lei stessa non vedeva l’ora di carpire da vicino i segreti e le traiettorie delle campionesse già affermate.

Ha un carattere particolare, agonista feroce ma donna semplice, sorridente e patita di qualsiasi sport adrenalinico. Non si fa decifrare all’istante perché riservata. A livello mediatico non rincorre telecamere e social, per lei conta più il rapporto con la famiglia, gli amici, i tifosi. Preferisce i fatti alle parole, l’essere all’apparire. Le persone di sport le riconoscono tutto ciò, con serietà e ammirazione.

L’obiettivo: portabandiera

Sul calendario del 2026 sono cerchiati in rosso tre giorni, 8, 12 e 15 febbraio, le gare olimpiche rispettivamente di discesa, superG e gigante. Su una pista che da due mesi Federica può finalmente definire amica. Dopo anni a provarci, venendo snobbata e rimbalzata, lo scorso febbraio è salita per la prima volta sul podio a Cortina in discesa, per poi addirittura vincere in Super G. Il sogno è di rivederla in gara sull’Olympia delle Tofane, magari dopo aver sbandierato il tricolore nella Cerimonia di Apertura allo stadio San Siro. E se la designazione di Federica Brignone a portabandiera dell’Italia fosse la prima decisione del nuovo (o nuova?) presidente del Coni che verrà eletto/a il prossimo 26 giugno? Un merito sportivo che le spetta ma sarebbe anche il miglior segnale di incoraggiamento, un abbraccio collettivo: l’Italia ti sta aspettando, Federica.

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