- La versione del generale Delfino sul fermo di Balduccio Di Maggio, autista del capo dei capi, fa acqua da tutte le parti. Smentito da una testimonianza dell’ex presidente della commissione parlamentare Antimafia, Luciano Violante: «Mi convocò in caserma fra Natale e Capodanno del 1992 e mi parlò di qualcuno che poteva portarlo a Riina».
- Le date non tornano. C’è sempre mistero intorno al giorno dell’arresto di Di Maggio. Ufficialmente l’8 gennaio 1993, ma anche il gelataio Salvatore Baiardo e i fratelli Graviano sapevano che era avvenuto prima.
- Nel volume l’ufficiale ripercorre le tappe della sua carriera seminando suggestioni e avanzando ipotesi non supportate da fatti.
L’inizio della fine di un generale dei carabinieri ha una data precisa, che poi è anche quella dell’inizio della fine della mafia di Corleone: 15 gennaio 1993. Palermo, il giorno della cattura di Totò Riina. Più che un sospetto, è una sua certezza. Ribadita in più pagine, poco supportata da fatti e circostanze, ma buttata là con suggestioni che si rincorrono fra la Sicilia e il Piemonte. È Francesco Delfino che racconta Francesco Delfino in un libro di venticinque anni fa, la sua difesa dopo il disonore del carcere militare di Peschiera del Garda, rinchiuso lì con l’accusa di avere estorto denaro fra le pieghe di un’indagine su un sequestro di persona.
Memorie e la villa sul lago
È un vecchio volume decisamente poco conosciuto La verità di un generale scomodo (Iet Edizioni, dicembre 1998), ma che oggi ha una sua attualità se calato nell’intricata vicenda della foto che c’è e non c’è: il giallo dell’immagine fra Giuseppe Graviano e Silvio Berlusconi e lo stesso Delfino, che il gelataio Salvatore Baiardo avrebbe mostrato a Massimo Giletti e che ha scatenato il putiferio.
Sono le sue memorie raccolte nella villa di Meina, sulla sponda piemontese del lago Maggiore e a qualche chilometro da Borgamero e da Omegna. Il primo paese è dove si nascondeva il mafioso Balduccio Di Maggio che fece prendere Totò Riina, il secondo paese è dove i fratelli Graviano latitanti avevano trovato riparo a casa di Baiardo.
«Con l’arresto di Totò Riina, il boss dei boss dell’organizzazione mafiosa, è iniziato il mio calvario», annota il generale, figlio del leggendario “massuru Peppi” immortalato da Corrado Alvaro nei suoi scritti, comandante della stazione dei carabinieri di Platì sull’Aspromonte. Da quel momento, dal 15 gennaio 1993, «ho dovuto percorrere a ritroso tutta la strada che mi aveva visto crescere e da eroe della lotta ai sequestri sono diventato intascatore di mazzette, da combattente contro il terrorismo sono diventato stragista».
Un capitolo è dedicato proprio a Totò Riina e a come è caduto in trappola. Una ricostruzione a tratti banale e a tratti inverosimile, con quel Balduccio Di Maggio arrestato per porto abusivo d’arma da fuoco e che davanti a lui se la canta subito, autoaccusandosi di trentadue omicidi e soprattutto indicando la zona di Palermo dove cercare il capo dei capi.
Nome in codice Giaguaro Uno
Il generale mette in fila le tappe della sua carriera – da giovane tenente a Luino a capitano in Sardegna, dal nucleo operativo di Milano alla missione in Egitto come agente del servizio segreto militare – ma torna sempre a quando, di stanza a Palermo come vicecomandante della regione Sicilia dei carabinieri, inizia un’indagine sull’autista di Totò Riina: «L’aver individuato Di Maggio mi comportò un immediato trasferimento; ai vertici si disse che “mi agitavo troppo” e raggiunsi il Piemonte». Dove, casualmente, ritrova proprio Balduccio.
Francesco Delfino svela il suo nome in codice nelle operazioni d’investigazione: Giaguaro Uno. «E Di Maggio e Giaguaro Uno non hanno mai avuto nulla da spartire, Di Maggio scelse solo l’ufficiale più alto in grado per parlare, ed ero io: il generale Delfino».
Dopo le rivelazioni di Balduccio il generale contatta Gian Carlo Caselli, che dì a qualche giorno si sarebbe insediato a Palermo come procuratore capo della Repubblica. «Spedii il mio vicecomandante operativo in Sicilia con i verbali (di Di Maggio ndr), ricevetti subito dopo anche la visita dell’onorevole Luciano Violante, allora presidente della commissione parlamentare Antimafia, che giunse al mio comando in bicicletta».
Una versione che fa acqua. E c’è anche un colpo di scena. Perché una testimonianza precisa di Violante, al processo Borsellino quater, smentisce Delfino e riscrive la storia dell’arresto di Totò Riina: «Ricordo che prima di Natale, al massimo tra Natale e Capodanno 1992, il generale Delfino mi invitò da lui in caserma. Delfino mi disse che nel corso di alcuni controlli, avevano trovato un’officina dove lavorava un tizio che aveva un’arma non denunciata. E che questo tizio ci avrebbe potuto aiutare ad arrestare Riina».
Era sempre Balduccio. E sempre, non tornano le date. Ufficialmente Di Maggio viene arrestato l’8 gennaio 1993. Ma il presidente dell’Antimafia lo sapeva prima, avvertito proprio da Francesco Delfino. Come lo sapevano prima i fratelli Graviano, avvertiti dal gelataio Salvatore Baiardo. Di questo mistero “il generale scomodo” non scrive. È un segreto che si è portato nella tomba nel 2014.
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