- Se nell’ultimo ventennio avessimo chiesto a un elettore di destra di disegnare l’identikit fisico e morale del suo avversario di sinistra, questo avrebbe probabilmente avuto i tratti di Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti.
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Che sorpresa dunque vedere Matteo Salvini twittare in difesa di Jovanotti, e l’intera stampa di destra compatta nell’elogiarlo mentre gli ecologisti lo attaccano. Pietra dello scandalo la seconda edizione del suo tour nelle spiagge italiane, il Jova Beach Party, accusato di avere un impatto ambientale non proprio “positivo”.
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È il fatto stesso di essere di sinistra, oggi, a essere sempre più difficile, a fronte di uno zoccolo duro iperinformato e militante, attento alle innumerevoli intersezioni dell’oppressione.
Se nell’ultimo ventennio avessimo chiesto a un elettore di destra di disegnare l’identikit fisico e morale del suo avversario di sinistra, questo avrebbe probabilmente avuto i tratti di Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti.
Ovvero un eterno adolescente con capelli e barba arruffati, look etnico e una straripante propensione per i buoni sentimenti.
Non escluderei che ogni volta che un editorialista conservatore stigmatizzava l’ingenuità degli attivisti, o l’ipocrisia dei radical chic, fondamentalmente ce l’avesse col cantante di "Io penso positivo”, perseguitato dal ricordo del suo sorriso beato, dei suoi versi festosi e dei suoi inni al multiculturalismo.
Che sorpresa dunque vedere Matteo Salvini twittare in difesa di Jovanotti, e l’intera stampa di destra compatta nell’elogiarlo mentre gli ecologisti lo attaccano.
Pietra dello scandalo la seconda edizione del suo tour nelle spiagge italiane, il Jova Beach Party, accusato di avere un impatto ambientale non proprio “positivo” malgrado il patrocinio del Wwf.
Alla denuncia delle associazioni, dei giornali, incluso questo, alla critica del geologo Mario Tozzi a mezzo Stampa, si sono col tempo aggiunte altre analisi, come quella puntuale di Sarah Gainsforth sull’Essenziale, che ha insistito sui costi sociali dell’evento.
Gli econazisti
Lorenzo ha risposto duramente agli attacchi, definendo «eco-nazisti» i suoi critici, mentre il Wwf ha parlato di «polemiche strumentali» a fronte di «valutazioni rigorose» delle criticità ambientali.
Da parte sua la destra, per rispettare i rigidi schemi della quadriglia delle opinioni, si è trovata ad appoggiare Jovanotti pur di dar contro alla sinistra. «Ma lasciate che gli artisti si esprimano e che i giovani si divertano, accidenti!», ha twittato Salvini.
Potrebbe sembrare una vicenda aneddotica – a parte per le specie selvatiche che su quelle spiagge nidificano – nel pieno di una campagna elettorale nel pieno di una guerra nel pieno di una crisi ambientale nel pieno di quell’incubo chiamato Storia.
Ma ci dice qualcosa di come sono cambiati negli ultimi anni gli immaginari di destra e di sinistra.
Icona della sinistra, Jovanotti lo era diventato come logica prosecuzione del suo pensare positivo: «Io credo soltanto che tra il male e il bene è più forte il bene».
Forse era davvero questo la sinistra negli anni Novanta: abbandonato il marxismo, restava soltanto il “buonismo”. Il termine si diffondeva massicciamente nel 1999 a ridosso del primo festival di Sanremo condotto da Fabio Fazio.
Frattanto Lorenzo, via via che gli cresceva la barba, maturava politicamente e musicalmente, contaminando il suo rap giocoso con la world music.
In quello stesso 1999 firmava con Piero Pelù e Luciano Ligabue il brano “Il mio nome è mai più”, contro il coinvolgimento dell’Italia nell’operazione militare della Nato in Serbia.
Qualche mese dopo, Jova era da Fazio sul palco di Sanremo a promuovere la cancellazione del debito dei paesi poveri; seguì polemica in quanto la destra accusò il cantante di avere violato la par condicio per essersi rivolto al premier D’Alema come in un’epistola dedicatoria rinascimentale.
Intellettuale organico
Se nei due decenni successivi l’impegno politico di Jovanotti si è fatto meno evidente, il cantante è sempre stato in qualche modo associato alla sinistra, passando dal sostegno a Walter Veltroni – a cui nel 2008 il cantante cedette la sua “Mi fido di te” per la prima campagna elettorale del Pd – all’appoggio esplicito a Matteo Renzi tra il 2011 e il 2013.
Praticamente un intellettuale organico del Partito, in ognuna delle sue trasformazioni per almeno quindici anni. In fondo l’idea stessa che stava dietro alla nascita del Pd, fusione tra postcomunisti e cattolici, era la realizzazione della «grande chiesa che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa» profetizzata dal cantante nel 1994.
Le vicissitudini del Jova Beach Party sono l’estremo approdo di questa parabola. Da una parte, il Pd è sempre meno percepito come un partito di sinistra, al massimo come una grande chiesa che va da Pier Ferdinando Casini a Laura Castelli.
Per quanto il cantante tenti di smarcarsi dal partito, le loro storie sono intrecciate: il disamore per l’uno si traduce, quasi meccanicamente, in un disamore per l’altro. Dal Partito al Party.
D’altra parte, è il fatto stesso di essere di sinistra, oggi, a essere sempre più difficile, a fronte di uno zoccolo duro iperinformato e militante, attento alle innumerevoli intersezioni dell’oppressione.
Non sono poche le rivendicazioni sulla base delle quali una personalità pubblica viene giudicata, ed eventualmente “cancellata”.
Solo tre anni fa, in occasione della prima edizione del Party, l’opinione pubblica aveva chiuso un occhio sul problema della nidificazione del fratino eurasiatico: alcune associazioni avevano protestato, ma con molta meno risonanza.
Nella segmentazione tra un’opinione pubblica più esigente, a sinistra, e una di manica larga, a destra, il risultato è la straordinaria fragilità reputazionale dei rappresentanti culturali e politici della prima; mentre i secondi sembrano uscire indenni dagli scandali più atroci, vedi alla voce Trump.
La sinistra, come il dio Crono, ha una bizzarra propensione a uccidere i propri figli. Di fronte a questa elevata pressione reputazionale, i progressisti hanno soltanto due scelte: accettare la sanzione, ed eventualmente scomparire; oppure migrare verso l’altra sponda, dove ad attenderli troveranno porti aperti (una volta tanto).
Molti, negli ultimi anni, sembrano aver scelto questa strada. Sarà anche il destino di Lorenzo Cherubini? Malgrado l’endorsement di Salvini, è difficile immaginare l’autore de “L’albero” suonare al Papeete.
Certo, un ultracinquantenne che continua a farsi chiamare Jovanotti è una bella metafora del paese. In questo senso le proteste contro il Party rispondono a una semplice logica generazionale: malgrado il nome e la straordinaria forma fisica, il buon Lorenzo appartiene demograficamente alla categoria dei baby boomer, oltre ad essere il simbolo di una stagione politica chiusa dieci o vent’anni fa.
Più che uccidere i figli, per la sinistra in questo caso si tratta di uccidere i padri.
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