Quattro ex saldatori da ottobre non percepiscono più il beneficio. Tra questi un invalido. L’Inps gli chiederà indietro quanto erogato.
- Con una sentenza di secondo grado, che ha ribaltato la precedente, l’Inps ha tolto la pensione a quattro ex saldatori delle Industrie meccaniche siciliane di Priolo Gargallo, provincia di Siracusa.
- Uno di loro, Loreto Castrogiovanni, è invalido al cento per cento. Adesso teme che l’Inps chieda indietro quanto gli ha riconosciuto finora. A Domani l’Inps ha fatto sapere che chiederà indietro un totale di oltre 130 milioni.
- Altri sei ex operai hanno perso il diritto al prepensionamento. Negli scorsi mesi hanno manifestato davanti al comune. Ezio Bonanni, avvocato e presidente dell’Osservatorio nazionale amianto, avverte che ci vorrà molto tempo: «Non tutti ce la faranno». Contatta da Domani, l’Inps non ha risposto.
L’Inps usa il pugno duro contro quattro operai che hanno lavorato per anni esposti all’amianto e al suo veleno. E così dopo una sentenza di secondo grado di luglio scorso, che ha ribaltato la precedente, ha tolto la pensione a quattro ex saldatori delle Industrie meccaniche siciliane di Priolo Gargallo, provincia di Siracusa, che per oltre dieci anni hanno respirato la polvere di amianto, una sostanza cancerogena che si intrappola nei polmoni e li corrode lentamente. Ieri l’Istituto ha risposto a Domani che «è stato avviato il recupero degli arretrati indebitamente erogati, pari complessivamente ad € 131.326,79». Gli chiederanno indietro i soldi.
Uno di loro, Loreto Castrogiovanni, è invalido al cento per cento: «È inumano, non posso più prendere neanche la pensione di invalidità a cui avevo rinunciato per prendere quella con i contributi riconosciuti dalla sentenza di primo grado», dice. E così Castrogiovanni aveva ottenuto 200 euro in più, passando dai 900 euro della pensione di invalidità ai 1.100 garantiti dalla contributiva.
Altri sei lavoratori che non sono andati ancora in pensione si sono visti negare le maggiorazioni contributive, perdendo la possibilità di ottenere il pensionamento anticipato.
L’Inps si tira indietro
L’Inps ha usato un cavillo per bloccare il sostegno economico: i lavoratori non avevano presentato in tempo la richiesta di certificazione all’Inail. Una sentenza del tre luglio della Corte di Appello ha così ribaltato il giudizio del tribunale di Siracusa, che nel 2018 aveva accordato il diritto al prepensionamento agli operai.
Una legge del 1992 ha messo fuori legge l’amianto e ha previsto la pensione anticipata per i lavoratori esposti all’asbesto, cioè l’insieme di sostanze cancerogene dell’amianto. Varie letture normative hanno fatto sì che gli ex saldatori non rientrassero nell’alveo dei beneficiari. Inizialmente, infatti, vigeva l’interpretazione che il diritto spettasse solo a chi lavorava l’amianto e non a chi era esposto alle fibre di asbesto. Ma non era così. L’interpretazione era troppo restrittiva.
«Gli operai siciliani non sapevano neanche di poter avere il prepensionamento» dice Ezio Bonanni, avvocato e presidente dell’Osservatorio nazionale amianto, l’associazione che difende in tutta Italia gli ex lavoratori vittime delle polveri d’amianto. Le Industrie meccaniche siciliane nel tempo hanno avuto vari passaggi di proprietà: Belleli, Fantuzzi Reggiane e infine Siteco. I saldatori siracusani si sono accorti che ai loro colleghi di altre fabbriche del medesimo gruppo era stato riconosciuto l’accredito pensionistico.
Gli operai in lotta
«Perché questa differenza di trattamento?» si chiede Calogero Vicario, coordinatore Ona Sicilia. Vicario ha lavorato dal 1985 al 1999 nello stabilimento e dice: «L’amianto non solo era presente nella fabbrica, ma veniva utilizzato negli indumenti protettivi, come i guantoni, perché non ci bruciassimo, e nei teli per coprire i manufatti prodotti, insomma eravamo costantemente esposti». Anche se nel 1992 è stato bandito per legge non ci sono mai state bonifiche «ed è rimasto sottoforma di polveri», aggiunge.
L’ex saldatore è entrato in contatto con l’avvocato Bonanni e nel 2009, insieme ad altri nove ex-saldatori delle Industrie meccaniche siciliane, tra cui Castrogiovanni, ha fatto domanda all’Inail per chiedere la certificazione dell'esposizione. La richiesta, però, ha dato via a un contenzioso, che ha portato a una causa in tribunale.
L’ingegner Marco Cannarella, Consulente tecnico d’Ufficio del Tribunale civile di Siracusa, ha certificato: «I lavoratori per un periodo complessivo di oltre 10 anni hanno svolto la propria attività in un ambiente di lavoro in cui la presenza di fibre di amianto aero disperse, determinata dall’uso e dalla lavorazione di amianto o prodotti contenenti o costituiti d’amianto, è stata continua e in quantità significativa».
L’amianto «utilizzato in grosse quantità presso il sito lavorativo dei ricorrenti non è mai stato sottoposto a bonifica fino alla cessazione dell’attività». Fine attività avvenuta il 13 agosto 2011. Con queste premesse il tribunale di Siracusa nel 2018 ha dato ragione agli ex saldatori.
Un’ambiguità normativa
Una legge del 2003 ha trasformato il prepensionamento in un aumento della pensione, e lo ha limitato al caso in cui venga fatta richiesta prima del 2005. Per il tribunale di Siracusa il diritto a godere del beneficio a fronte degli oltre dieci anni di esposizione è rimasto invariato e rientra nelle opzioni fatte salve per legge visto che è stato maturato prima del 2003. Per la corte d’Appello la domanda di certificazione all’Inail entro i tempi era comunque necessaria, e anni e anni di esposizione all’amianto non sono contati più niente.
Vicario è tra quelli segnati dall’amianto. Ha problemi respiratori, ma nonostante questo non ha mai cessato di rivendicare i propri diritti. Tutti i giorni da tre mesi manifesta con altri ex colleghi a turno davanti al comune di Priolo. Nel primo periodo chi poteva ha fatto lo sciopero della fame.
Castrogiovanni ha lavorato come saldatore per 25 anni, fino al 2010. Nel 2012 si è ammalato di cancro all’intestino. E gli è stata riconosciuta l’invalidità. Tra l’accredito pensionistico e la riforma di quota cento, nel 2020, a 64 anni, ha deciso di andare in pensione. L’ha percepita da aprile a settembre. A ottobre, dopo la sentenza, più niente. Continua a soffrire per la malattia che lo sta divorando:
«Se parlo per più di dieci minuti mi ‘ccupo (mi sento soffocare)», dice in dialetto in siciliano. I postumi del cancro inoltre non gli permettono di stare fuori casa per lunghi periodi: «Ma sono andato anche io davanti al comune quando ho potuto». Adesso «chiediamo che ci sospendano l’esecuzione della seconda sentenza, poi si vedrà in cassazione». Questo trattamento, dice, «è inumano, mi ha levato i contributi, e non mi ripristina l’invalidità. Ormai che ho rinunciato non ci posso rientrare più». La paura ora è quando arriverà la comunicazione dell’Inps per chiedere indietro quanto ha riconosciuto finora: «La pensione e l’integrazione di 11mila euro netti per gli anni precedenti. Non saprei come fare».
L’inquinamento è ancora lì
Bonanni dice: «Siamo pronti a ricorrere in cassazione, ma ci vorranno altri anni. Non tutti ce la faranno». Altri processi sono stati intentati da operai di altri stabilimenti dell’area, per un totale di oltre trecento persone coinvolte. Molti degli ex operai che negli anni hanno lottato «sono molto malati, altri sono morti». L’area è un sito di interesse nazionale che a tutt’oggi non è stata bonificato. Le Industrie meccaniche si inseriscono infatti nell’area del polo petrolchimico, dove si trovano anche la raffineria di Priolo e la raffineria di Augusta. In tutte le strutture era presente amianto: «Sta morendo la popolazione, ma nessuno vuole dirlo…lo stato non può aggrapparsi a cavilli, dovrebbe concentrarsi piuttosto sulle bonifiche mai fatte». L’Ona il 13 ottobre ha organizzato un conferenza stampa a Roma per parlare degli ex operai e dello stato delle Bonifiche. Hanno partecipato parlamentari di vari schieramenti. Fausto Raciti (Pd) ha depositato un’interrogazione alla ministra del Lavoro Nunzia Catalfo «per provare a capire da dove si parte per affrontare la vicenda».
Per quanto riguarda i Sin, Raciti ha detto che servirebbe uno strumento legislativo e fiscale per procedere alle bonifiche «come consentire ai comuni di trattenere una parte delle risorse che le aziende pagano allo stato». La proposta però «per ora è solo politica».
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