Alla Coppa di Spagna partecipano oltre 100 squadre, da tutti i livelli della federazione. In corsa sono rimaste in 16, l’Unionistas è l’unico club non professionistico
Ho imparato da un poeta castigliano che tutto ciò che ha a che fare con l’intimità è sferico: ventre, madre, famiglia (famiglie, anzi), casa, padella, pane, piatti, vasellame, ciotole, pozzi (quelli da cui risalire, soprattutto), cucchiai. Alla lista aggiungo il pallone.
Soprattutto il pallone del calcio di Unionistas de Salamanca, che in questi giorni ha invaso l’intero campo dell’informazione sportiva spagnola e sta tracimando nella biosfera della società.
I fatti: si giocano le eliminatorie di Copa del Rey, trofeo che insieme al campionato e alla Champions League costituisce il sacro triplete a cui gli dei della Liga aspirano. Vi partecipano oltre 100 squadre, provenienti da tutti i livelli della federazione.
Ora ne rimangono in gara soltanto 16 e Unionistas è l’unico club non professionistico negli ottavi di finale: ha eliminato una squadra di serie B, una di serie A — il Villarreal, trascinatosi sui gomiti ai rigori, in una partita durata due giorni — e adesso attende in casa il Barcellona, unico detentore nella storia del calcio spagnolo del sacro triplete (vinto nel 2015 e nel 2019).
Il silenzio di Xavi
Questa coppa al Barcellona importa, ma trovarsi ad affrontare Unionistas agli ottavi non è un’autostrada a sei corsie verso i quarti. Nel precedente impegno la squadra di Xavi Hernández, terza in campionato, a sette punti dal capolista Real Madrid, ha battuto di misura il Barbastro, la squadra del paese dello scrittore Manuel Vilas, sotto le montagne dell’Aragona.
Non in tutto c’è stata bellezza, durante la partita. Sull’incontro di Salamanca, fissato il 17 gennaio alle 21, l’allenatore catalano non ha detto una parola, nonostante la vittoria di Unionistas sul Villarreal sia sulla bocca tutti: sul (fu) Twitter i momenti chiave della partita hanno sfiorato i 9 milioni di visualizzazioni e se proviamo a immaginare il totale delle interazioni social il verdetto è «Quita, Ferragnez», lévati proprio.
Il silenzio di Xavi non è noncuranza. Al contrario. Sa che Unionistas de Salamanca-F.C. Barcelona non è e non sarà una partita di calcio. Non sono gli ottavi di finale della Copa del Rey 2024. Non è la pulce sperduta che per caso salta fin sulle pendici dell’Olimpo. Unionistas-Barça mette in campo due modi di interpretare il mondo e di giocarci il futuro.
Gli Unionisti sono blanquinegros, bianconeri; nulla a che vedere, tuttavia, con vecchie signore. Hanno dieci anni di vita e vengono dal basso più basso. Nel 2014 debuttano nel campionato provinciale di Salamanca, dove «iniziare dal basso» non è una frase fatta né la paternalistica esortazione di chi conosce solo l’alto.
«Non dimentichiamo mai da dove veniamo» scrive Unionistas sui propri social all’indomani della vittoria sul Villarreal «perché veniamo dal fango e dalla certezza che un altro calcio sia possibile: quello popolare» e correda la frase con una foto di quando la squadra non disponeva nemmeno di un campo da gioco e affondava i tacchetti tra zolle fradicie.
Le radici
Sulle spalle portano però la leggenda della Unión Deportiva Salamanca, novant’anni di storia, fondata nel 1923 e affondata dai debiti di una pessima gestione nell’estate del 2013.
Dodici campionati in serie A e trentasette in B, categoria a cui la UDS riesce ad approdare nel 1936, proprio quando lo scoppio della Guerra civile paralizza il calcio per tre anni in quasi tutto il paese.
È infatti agli inizi del Novecento e grazie a un gruppo di studenti universitari irlandesi che il fútbol arriva in questa città di 150.000 abitanti dove il cosiddetto establishment non esiste; non ci sono grandi fortune private ma solo il patrimonio inestimabile di un’università pubblica, comunità di docenti e studenti che da oltre otto secoli (dal 1218) lavora alla costruzione e condivisione della conoscenza e della libertà intellettuale.
Nel Cinquecento all’Università di Salamanca sono nati il diritto internazionale e l’economia morale, sotto la guida dell’umanista e giurista Francisco de Vitoria (a lui è dedicata la Sala del consiglio dell’Onu a Ginevra, e non dovrebbe essere un caso). Più o meno negli stessi anni in cui de Vitoria difendeva lo Ius Gentium e la teoria del giusto prezzo giungono in città i primi irlandesi cattolici, i futuri promotori del calcio, perseguitati da Enrico VIII e accolti dalla corona spagnola.
Così si è costituita una società del sapere e dell’accoglienza in cui ognuno è serenamente hijo del vecino, figlio del vicino, e non solo di casa propria. Da queste vette discende Unionistas.
Il suo vocabolario
Unionistas è, innanzitutto, un dizionario d’uso comune. Nel suo statuto appaiono parole oggi inusitate: il calcio, per loro, è popolare, solidale e trasparente. Subito dopo il tracollo economico che portò alla scomparsa dell’antica Unión Deportiva Salamanca un gruppo di tifosi si unì per pensare a un modello di gestione effettivamente cooperativo.
Una squadra di tutti e un calcio alla portata di tutti. Il 10 gennaio 2024 Unionistas ha raggiunto il limite massimo di soci: 4.895. Votano insieme i bilanci, analizzano l’etica degli sponsor, apportano idee; allo stadio montano, smontano e puliscono ciò che serve durante le partite. Il Reina Sofía, il campo in cui adesso giocano per concessione del Comune di Salamanca, può contenere un massimo di 5.000 persone.
Quando ti chiedi dove incontrare i proprietari e dirigenti della squadra, eccoli, sono tutti e cinquemila sugli spalti — spalti senza distinzioni di posti. L’idea di calcio popolare e cooperativo si è rivelata talmente forte che fin dalla (ri)nascita del club i soci sono stati 2.000; fin da quando Unionistas si iscriveva all’ultimo girone delle provinciali e non pensava di arrivare al Gruppo 1 della Prima RFEF (circa il girone B della serie B, per capirci) in cui incontrerà il Barça per la Copa del Rey. Pensare, per Unionistas, è il primo verbo.
Non sogna, non ambisce, non immagina. Unionistas pensa e costruisce in forma collettiva. Gioisce nel farlo, indipendentemente dal risultato. Così insegna senza pretenderlo, e oppone al paradigma sociale della competizione accanita le sue celebri «giornate di convivenza» con i tifosi delle squadre che incrocia in campionato.
In piena ondata di entusiasmo per gli ottavi di coppa il presidente Roberto Pescador ringraziava la squadra e i soci ma rammentava il valore delle sconfitte, che «vanno accettate con dignità», sottolinea lo statuto. «Hola familia», scrive Unionistas nei comunicati del club, in rete, sui social.
È il calcio accessibile che ci trasforma nell’unione quotidiana con gli altri e non solo sul terreno di gioco; è il calcio consapevole, responsabile, goduto dalle famiglie, dalle donne — tante, e nessuna che allo stadio si senta nella fossa dei leoni — dai bambini e dagli adolescenti — che entrano gratis fino ai 6 anni, e dai 7 ai 17 spessissimo pagano soltanto 1 euro a partita.
«Come pensiamo» è il primo punto del sito ufficiale del club. Il come, rispetto al cosa, e l’uso della terza persona plurale oggi più che tratteggiano la colonna dorsale del futuro; una difesa solida e un rapido contrattacco — caratteristiche, sul campo, di Unionistas — alla disgregazione del domani, alle intemperie dell’individualismo. La sfera protettrice della società democratica che non va nel pallone.
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