L’intellettuale ed ex eurodeputata ha studiato nel liceo di via Sicilia a Roma dove gli studenti rischiano punizioni esemplari per l’occupazione. «Mi domando se siano lecite». L’educazione sentimentale? «Gli studenti ignorino il ministro e scelgano da chi farsela insegnare»
Luciana Castellina, classe 1929, è tante cose. Giornalista, scrittrice, già parlamentare comunista ed eurodeputata, attivista. Una vita intera spesa nelle piazze, accanto a chi non ha voce, e con Nilde Jotti a Botteghe oscure, nella redazione del Manifesto, che ha contribuito a fondare.
La «petit italienne», così come amavano chiamarla Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre, è anche ex studentessa del liceo Tasso di Roma, lo storico istituto a due passi da piazza Fiume, oggi agli onori della cronaca a seguito della “linea dura” intrapresa dal dirigente Paolo Pedullà – che ha pure incassato la solidarietà del ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara – contro i ragazzi che nello scorso mese di dicembre hanno occupato.
Castellina, cosa pensa di ciò che succede al Tasso?
«Anzitutto voglio dire che il Tasso non è stato soltanto la mia scuola, ma anche quella di mio marito e dei miei figli. Possiamo dire che al Tasso ci siamo andati in quattro. Io durante guerra e dopoguerra. E a quei tempi, in epoca fascista, le occupazioni potevamo sognarcele. Dunque credo che oggi, alla luce di quanto accaduto, le autorità scolastiche dovrebbero essere contente. È incredibile come si tenda a punire e non invece a rallegrarsi della tolleranza e della pazienza dei ragazzi, le cui iniziative non trovano spazio».
Che ricordi ha della sua scuola?
«Stavo in classe con Anna Maria Mussolini. Ricordo che eravamo costretti ogni giorno ad aspettare il bollettino di guerra, da ascoltare rigorosamente in piedi. Ogniqualvolta lo si ascoltava Anna Maria gridava: “Papà ha fatto male a fidarsi di quel cretino del Re”. Ecco quella ragazza mi aveva fatto capire quanto fosse divertente, importante la libertà. Al Tasso ho imparato che c’è sempre un giudizio altro e diverso, ho imparato la politica».
A dicembre gli studenti del liceo hanno protestato anche per l’assenza nei programmi didattici di una “pedagogia transfemminista”. Il ministro Valditara, dal canto suo, ha un piano: introdurre nelle scuole l’ora di educazione sentimentale. Cosa ne pensa?
«In realtà rimango perplessa sulla richiesta delle studentesse e degli studenti del Tasso: fin che c’è Valditara io sarei molto spaventata all’idea che sia lui a ideare un regolamento in base al quale la scuola si incarica di insegnare il femminismo. Credo sempre più nella democrazia diretta e penso che la cosa migliore da fare oggi sarebbe quella di riunirsi, decidere come conoscere meglio il problema e quindi scegliere da sé chi invitare a parlarne e poi farsi le lezioni da soli (per trovare chi può aiutare a sapere consiglio di rivolgersi alla Casa internazionale della donna di Roma). La lotta o l’occupazione della scuola dovrebbe consistere nell’ignorare il ministro».
Ministro che ha apprezzato la “linea dura” del dirigente del Tasso e, a sua volta, ha dato vita, col disegno di legge per la revisione della valutazione del comportamento degli studenti, a una “stretta” sui voti in condotta.
«Io mi domando se tutto questo sia lecito, forse le studentesse e gli studenti dovrebbero chiamare un’avvocata e denunciare».
Nel corso della lectio magistralis che nel 2022 ha tenuto a Cosenza dopo aver ricevuto il Premio Sila alla carriera, lei ha sottolineato quanto sia importante che i ragazzi imparino a essere «cittadini attivi e non meri sudditi», raccontando un aneddoto. Il suo arresto negli anni Settanta, che avvenne dopo che prese parte a una manifestazione a Roma a supporto degli operai edili.
«La motivazione esatta del mio arresto, durato quasi due mesi (una bella esperienza devo dire), era – così è scritto nei verbali del Tribunale – “per aver preso a pugni sulla schiena e morsicato un poliziotto”. C’era scritto proprio “morsicato un poliziotto, il quale ha chiamato due colleghi in aiuto”. Evidentemente lo avevo spaventato. E mi domando tuttora come si fa a morsicare un poliziotto. Purtroppo non è vero, non l’ho morsicato, ma prometto che la prossima volta, se mi ricapita, avrò imparato».
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